Il Gargano disse che

Nella 3 giorni sui “Grani Futuri” si parlerà anche della ‘farina’ di Paglicci di 32 mila anni fa? La raccolta delle piante


Nella 3 giorni sui “Grani Futuri” si parlerà anche della ‘farina’ di Paglicci di 32 mila anni fa? La raccolta delle piante e le successive fasi di lavorazione e preparazione per la cottura erano infatti attività che richiedevano molto tempo, indicando quindi che lo sfruttamento delle risorse vegetali per l'alimentazione aveva un ruolo importante nelle strategie di sussistenza 
Paglicci Pestello  Di: Redazione    150000San Marco in Lamis. L’imminente manifestazione di “Grani futuri tra sostenibilità, lotta agli sprechi e biodiversità” in programma, a San Marco in Lamis nei giorni 17 -18-19 giugno prossimi , tesa a richiamare l’attenzione sull’alimentazione e la cultura del pane. A lanciare il tema, come, è noto è l’ antico forno di via Lungo Jana, i cui prodotti farinacei, oltre al pane, sono assai diffusi in tutta Italia, in special modo a Milano. E qui non a torto. Infatti, l’azienda, portata avanti dal dinamico e giovane imprenditore Antonio Cera, è ospite costante alla Bit, come pure lo fu all’Expo dell’alimentazione svoltasi due anni addietro. La stessa potrebbe assumere presto una valenza in più, per via della farina di 32 mila anni fa (Paleolitico Superiore), scoperta alcuni mesi or sono nelle vicinanze, di cui sicuramente se ne riparlerà per l’occasione.  Nell’attesa dell’evento, rieccovi la notizia già data al riguardo alcuni mesi or sono. ”A Grotta Paglicci (Rignano garganico), la farina e il pane più antichi del mondo (32 mila anni fa). Grotta Paglicci continua a stupire il mondo con i suoi sensazionali ritrovamenti e scoperte. Ora è la volta della farina, il cui uso si attesta a partire da 32 mila anni da oggi. Ossia in pieno Paleolitico Superiore. Finora si riteneva che la capacità di lavorare i cereali in modo da ottenere la farina si fosse affermata molto più tardi, nel corso del Neolitico, più o meno in coincidenza con l’avvento dell’agricoltura. A stabilirlo è un gruppo di ricercatori delle Università di Siena (Anna Maria Ronchitelli) e Firenze (Bruno Foggi), della Soprintendenza archeologica della Toscana (Biancamaria Aranguren) e dell’Istituto italiano di Preistoria e Protostoria (Anna Revedin). Gli stessi hanno analizzato uno poderoso strumento litico recuperato nella campagna di scavo 1989 a Grotta Paglicci, nelle vicinanze di Rignano Garganico. Si tratta di un pestello da macinazione. Lo si rileva dai residui di grani di amido trovati su di esso.  Sono stati propri questi resti di graminacei, con ogni probabilità avena, a spingere gli studiosi ad approfondire. Da evidenziare che allora, gli scavi sin dal 1972 erano diretti da Arturo Palma di Cesnola, professore emerito della suddetta Università senese. Come è illustrato in un articolo a prima firma Marta Mariotti Lippi pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” e riportato da Stefano Ricci (tecnico, Università di Siena), gli abitanti dell’insediamento di Grotta Paglicci, nonostante fossero cacciatori-raccoglitori, avevano acquisito la sofisticata tecnica di manipolazione delle piante necessaria a ottenere farina. L’analisi condotta dai ricercatori indica che la tecnica adottata prevedeva almeno quattro fasi di preparazione: l’essiccazione della parte da macinare, che veniva accelerata con un trattamento termico, la macinazione, il mescolamento con acqua e la cottura. La prova che prima della macinazione le piante subissero preriscaldamento – utile anche a rendere più agevoli le fasi successive – deriva dal particolare stato di conservazione dei granuli di amido recuperati sul pestello. L’analisi dei grani ha rivelato anche che gli abitanti di Grotta Paglicci raccoglievano per lo più chicchi di graminacee selvatiche, con una chiara preferenza per l’avena. In assenza di forme spontanee di altri cereali – domesticati solo in un periodo più tardo nel Vicino Oriente – l’avena poteva comunque rappresentare una buona fonte nutrizionale per quelle popolazioni europee. Il fatto che i residui derivino da chicchi di graminacee, e non da tuberi e radici, secondo i ricercatori, offrirebbe utili informazioni sullo stile di vita di quelle popolazioni.  La raccolta delle piante e le successive fasi di lavorazione e preparazione per la cottura erano infatti attività che richiedevano molto tempo, indicando quindi che lo sfruttamento delle risorse vegetali per l’alimentazione aveva un ruolo importante nelle strategie di sussistenza. Siamo, dunque, ai primordi dello sviluppo dell’Agricoltura che sarà dominante migliaia di anni dopo, cioè nel neolitico, unitamente all’addomesticazione degli animali e all’affinamento e levigatura degli strumenti in selce…”.  Da rilevare ancora che nella sottostante piana di Rignano fu sperimentato alla fine dell’800 presso l’azienda dei marchesi Cappelli (omonima masseria presso Mezzanagrande e l’altra presso Saldoni) il famoso grano duro ‘senatore’, dal nome del parlamentare Raffaele Cappelli, la cui coltura dominò per oltre mezzo secolo, in larga parte d’Italia e d’Europa per le sue straordinarie qualità organolettiche. E si coltiva ancora in Puglia e in altre regioni, nonostante la concorrenza di altre qualità a più alto rendimento.  N.B. Per saperne di più sull’argomento: www.grottapaglicci.it (A cura di Antonio Del Vecchio, Rignano Garganico)