Il Gargano disse che

Cercasi 1.500 cuochi che parlino inglese. La Puglia esporta anche chi sta ai fornelli


Cercasi 1.500 cuochi che parlino inglese. La Puglia esporta anche chi sta ai fornelli Stampa Email
Cucinare, un sogno che attira molti giovani. Una professione sempre più impegnativa. Un pensiero, costoso, per le famiglie e ora che settembre si avvicina la domanda è: che fare? Il miraggio degli chef, da tv, attira moltissimo ma la realtà è ben più 'laboriosa e complessa. Le certezze? Solo una, è un, mestiere che va a gonfie vele. «Dall’inizio dell’anno ad oggi, abbiamo ricevuto ben 1500 richieste di cuochi pugliesi, dall'estero ed anche dall'Italia, alle quali non siamo riusciti a dare una risposta», dice Michele D'Agostino, presidente dell'Associazione Cuochi di Puglia, executive chef che porta da anni la nostra cucina nel mondo. Sullo sfondo di questa richiesta di cucina pugliese c'è nostra la diffusa cultura casalinga per la gastronomia, che diventa arte. La professione di cuoco è cambiata, lo chef è anche comunicatore e non più solo chi prepara da mangiare. C'è chi, da subito, cede alla passione per i fornelli e sceglie una delle nostre 25 scuole alberghiere fra Puglia e Basilicata, moltissime con un alto livello formativo. C'è poi chi, dopo aver studiato altro, vuole fare un salto in cucina: come fare? La strada è lunga, spiega lo chef di grande esperienza D'Agostino, il lavoro c'è e riguarda ogni grado: commis di cucina, chef di partita, chef, sous chef, executive chef. «Oggi fare il cuoco, senza alberghiero, partendo da zero, è più difficile. Suggerirei a chi vuole farlo, di iniziare con i corsi serali degli alberghieri. Certo, sarebbe ottimo avere più ore di pratica, ma l'alberghiero offre una formazione tecnica di base che consente di affrontare, la qualità - conclude il presidente dei cuochi pugliesi - . Prima di andare in una costosa scuola privata, bisogna ricominciare dalla base, perché c'è bisogno di fare un percorso. Poi oggi c'è un'opportunità in più che è quella dell'Its Agroalimentare». E l'home restaurant? «Sono una moda, non hanno futuro. Lo abbiamo visto coi catering, hanno iniziato in tanti, ne sono sopravvissuti molto pochi», commenta D'Agostino.