Il Gargano disse che

Vieste - VINCENZO DIGIFICO DOPO UN ANNO ALLA CORTE DELLO CHEF CATALANO PACO PÉREZ


Vieste - VINCENZO DIGIFICO DOPO UN ANNO ALLA CORTE DELLO CHEF CATALANO PACO PÉREZ Stampa Email
«Per me la cucina, e la pasticceria in particolare, sono il modo più efficace che ho per esprimermi. Quando vedo un piatto bianco, vuoto, vedo la possibilità di trasformare le mie idee in qualcosa di concreto, di buono, che possa sorprendere e conquistare chi lo mangerà». Parla così Vincenzo Digifico, classe 1992, pugliese di Vieste, da un anno pastry chef del ristorante Miramar di Paco Pérez (due stelle Michelin e sono in molti a pronosticare la terza), a Llançà, nella parte più settentrionale della Catalogna, vicino al confine con la Francia. Esattamente a un anno dal suo arrivo in Spagna, lo abbiamo raggiunto per farci raccontare la sua storia.  «La passione per la cucina è arrivata quando ero bambino - continua Digifico -. Forse anche per le mie origini meridionali, la mia famiglia si è sempre riunita nel momento in cui si doveva cucinare. Così posso dire di aver imparato guardando mia nonna e mia mamma e aiutandole sempre di più. Poi ho fatto l’alberghiero e ho iniziato il mio percorso».
Paco Pérez: oltre alle due stelle Michelin per il suo Miramar, lo chef catalano ne ha ricevute altre due per il ristorante Enoteca, all'interno dell'Hotel Arts di Barcelona, e una per il Cinco by Paco Pérez di Berlino. Inoltre dirige anche il ristorante Terra a S'Agarò, e i locali tematici Eggs, Royale e Bao Bar a Barcellona (rispettivamente dedicati a uova, burger e panini bao) Quali sono state le tappe più importanti per la tua crescita? La mia prima esperienza importante è stata con Sergio Mei, quando ancora guidava la cucina del Four Seasons di Milano: ci sono arrivato a 17 anni, appena finita la scuola, per uno stage. E lì poi mi sono fermato per un po’, anche perché Mei è stata la persona che mi ha fatto davvero capire che quello sarebbe stato il mio mestiere. Poi ho girato ancora molto, crescendo sia a livello professionale che caratteriale e umano: sono stato anche al Four Seasons di Firenze, con Vito Mollica, poi da Gianfranco Vissani e all’Armani di Milano con Gozzoli, quando abbiamo preso la stella. Proprio all’Armani è venuto da noi per un quattro mani Paco Pérez. Così l’ho conosciuto e poi, grazie allo chef Antonio Arcieri (per nove anni sous chef al Miramar e oggi chef del ristorante Terra a S’Agaró, sempre sotto la direzione di Pérez, ndr), ho avuto un contatto per andare a lavorare in Spagna da lui.
Conoscevi Pérez e la sua cucina? Sì, ho sempre seguito molto la cucina d’autore a livello internazionale e ho sempre avuto un particolare interesse per Adrià, per i Roca, per Pérez appunto. E’ stato per questo che ho chiesto ad Arcieri di aiutarmi, perché avevo una grande curiosità di conoscere questo diverso approccio alla cucina. E così sono partito. Il 3 maggio del 2017. Paco Pérez ti ha affidato la responsabilità di guidare la pasticceria del suo ristorante Miramar. Dopo un anno di lavoro in Spagna, come racconteresti le principali differenze tra l’approccio italiano e quello spagnolo alla pasticceria nei ristoranti di cucina d’autore? La differenza principale tra le mie esperienze italiane e quella spagnola è una maggiore attenzione che veniva data in Italia all’estetica e al rigore di stampo francese nella creazione delle ricette. Qui in Spagna, invece, si va costantemente fuori dagli schemi: quello che conta è l’ingrediente, che va rispettato al massimo, ma poi la libertà è assoluta. Certamente siamo anche messi in condizione di lavorare al meglio grazie alle moltissime tecnologie all’avanguardia che abbiamo in cucina. Tutto questo mi ha fatto comprendere le infinite possibilità che ogni prodotto ci offre, ho imparato a vedere lo stesso ingrediente da migliaia di prospettive diverse: in Italia sicuramente mi mancava.  E anche il tuo stile come pasticciere si è aggiornato, quindi, in base a questa visione? Sì, prima il mio stile era decisamente francese, geometrico. Però con questa esperienza sto capendo come sia possibile trasmettere qualcosa di vero e importante anche solo con uno schizzo sul piatto. Quando devo creare un dessert da presentare allo chef, cerco sempre di partire dalla mia cosiddetta “piramide”: alla base di tutto ci sono la stagionalità e la materia prima, che devi assecondare nelle sue evoluzioni. Poi c'è la creatività emozionale, perché un dessert deve essere un'esperienza e deve raccontare una storia. Il percorso finisce con la fase di studio, con i disegni, la condivisione dei pensieri, il confronto. Io penso che anche in questo tipo di cucina avanguardista sia fondamentale attingere ai propri ricordi, non dimenticando le radici, la famiglia, ma soprattutto la terra e i suoi prodotti. La tua terra è l’Italia, ma ora vivi e lavori in Spagna. Pensi di fermarti a lungo o hai altri progetti? No, non penso di restare a lungo in Spagna. Ho progetti ambiziosi per il mio futuro, voglio ancora crescere tanto e affermarmi, anche se nel campo della pasticceria è ancora più difficile. Però voglio viaggiare, impegnarmi al massimo, fare altre esperienze in luoghi come Giappone e Australia, ma non posso nascondere che il desiderio di tornare in Italia è forte.  Paco Pérez oggi è uno degli chef più stimati e importanti di Spagna: ci racconti questo cuoco con le tue parole? E’ una persona davvero speciale, non lo dico per piaggeria. Tiene tantissimo al gruppo, al lavoro di squadra, e cerca sempre di spiegare a chi lavora con lui le sue idee, per aiutare tutti noi a essere maggiormente coinvolti. Non sempre è facile capire cosa abbia in testa, perché è veramente un visionario, un professionista all’avanguardia. Nel nostro menu degustazione c’è una grande attenzione ai prodotti del territorio, a dimostrazione del suo legame con questa terra. E’ anche un grande appassionato d’arte e infatti proponiamo tra gli altri un dessert che si chiama Pan de Dalì, in cui cerchiamo di riprodurre un’opera di Salvador Dalì che porta lo stesso titolo, come omaggio a un artista che Pérez ama intensamente. In Italia non è ancora molto conosciuto, ma io credo che chi verrà al Miramar a provare la sua cucina si renderà conto che sta al livello dei più grandi cuochi di Spagna, dai Roca fino ad Adrià. Prima di salutarci, ci dici qual è il piatto più buono che hai mangiato al Miramar? Direi proprio l’Arroz meloso de sepia y bogavante, il Risotto mieloso di seppia e astice. Ci sono tantissimi piatti straordinari che vengono creati in questa cucina, ma penso che questo classico del Miramar sia il più buono che abbia assaggiato.
Niccolò Vecchia (www.identitagolose.it)