Così il Gargano si racconta attraverso la sua cucina. Ricette di ieri e di oggi nel volume di Grazia Galante
Stampa Email Il luogo dove viviamo ci ha offerto delle risorse, ci ha nutrito di climi e di paesaggi, ci ha insegnato a resistere. Ecco allora che il cibo rinnova questo antico racconto e questo antico patto. Ci alimentiamo della terra che calpestiamo e mangiamo la sua saggezza. Mangiare bene significa oggi vivere meglio, apprezzare l’energia che la natura circostante ci consegna nella sua gratuità e nella sua forza. All’apparenza sembrerebbe un ricettario, con la sua rilegatura impeccabile, i due se-gnalibri che fissano la memoria. Ci si avvedevi, che le oltre quattrocento pagine di questo II Gargano a tavola. Le ricette della cucina di ieri e di oggi (pref. di Guido Pensato, Levante, pp. 431, euro 35) di Grazia Galante viaggia con intenti diversi, ambisce ad offrire in filigrana il profilo di una storia e il destino particolare di una civiltà. Impossibile intitolarlo ad un singolo paese (San Marco in Lamis o Vieste o Rignano) giacché il Gargano è almeno da mille anni un’isola robusta di ponti interni e di relazioni esterne ed è stata segnata in tutte le sue contrade dal crisma di una religiosità che ha unito il passato (Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo) e il presente (Santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo) ritrovato sulla stessa via che si chiamò Francigena e che oggi veicola decine di migliaia di turisti. In principio, si potrebbe dire evangelicamente, fu il Pane, metafora del Cristo e alimento base di un popolo povero. Nel libro della Galante (autrice di molti altri libri sulla cultura delle genti garganiche) ritroviamo con le ricette ad esso relative, il rinvio a quel processo vivificatore che è la panificazione. Ne vediamo le fasi salienti in un forno moderno, gustiamo le immagini delle sue fattrici in due foto degli Anni ‘30 che ritraggono le fornaie e «li panettère» di San Marco in Lamis. Scopriamo, così, che se attorno al pane ruotava la vita di una volta, erano le donne a sfamare letteralmente le famiglie numerose che affollavano le umili case del paese ancestrale. I volti di quelle donne sono rugosi ma fieri, quasi sentissero la responsabilità di questo compito cruciale per la comunità. Per una certa generazione ancora bambina negli Anni ‘60, gli occhi rivedono i fotogrammi di queste matriarche che portano aderente al cercine un lungo vassoio di legno con tre o più pani pronti per il fuoco. Per quanto tempo, poi, la virtù del risparmio fece del pancotto il più delizioso dei cibi? Nel libro ce n’è un vero tripudio di ricette (almeno 25), da quello con cicerchie e zucca rossa a quello con le cime di rapa e a quello più calorico con le melanzane ripiene, fino al più spartano con la verdura spontanea. E se il pancotto fu cantato con lode da Pasquale Soccio nel suo poetico racconto Gargano segreto (Adda, 1965), un’altra gloriosa ricetta garganica fu immortalata nell’esplicito titolo di Nino Casiglio Acqua e sale (Rusconi, 1977). Alla via romana del pane e della pasta si aggiunse e si sovrappose col tempo la via germanica della carne. Era destino che con i pellegrinaggi religiosi, di cui si fecero battistrada gli «immigrati» longobardi, e poi aprendosi in tempi immemorabili la via della transumanza tra Puglia e Abruzzo, la carne assumesse un ruolo non secondario e alimentasse, ricambiando con le sue nobili proteine, selezionati allevamenti di bovini e ovini che s’ingrassarono nei secoli con le molteplici vitali essenze vegetali offerte da boschi e pianure. In realtà, ed è il senso della lunga pastosa prefazione al libro di Guido Pensato, la cucina garganica invece di vedere il promontorio chiuso nei suoi recinti rocciosi, ha significato e testimonia oggi in modo eccellente la qualità e la ricchezza degli scambi che questo alto lembo di Puglia ha intrattenuto con altre popolazioni e altre culture. Ed ecco perché molte delle ricette che la Galante ha ricostruito amorosamente, interpellando decine di testimoni sparsi sul territorio con 18 comuni e una popolazione di 140 mila abitanti, presentano delle varianti, che a somiglianza di quanto avviene nei testi letterari, esprimono un’altra mano creativa. Ora che il Gargano si è inventato una veste turistica e offre meraviglie di interni e di coste ineguagliabili, i nuovi chef e i raffinati gourmet sono gli eredi di una tradizione consolidata negli scambi e uscita dall’antica casa del contadino e dell’artigiano. La lingua golosa resta tramortita tra tante garganiche sirene, dalla «ciambotte» (zuppa di pesce) di Manfredonia così come dalle orecchiette alla salsa di noci di Vico, e può scegliere alla fine del pasto la marmellata di limoni «Femminello» di Rodi o i classici «crùstele» (cartellate) intrisi di succoso miele di fichi e ingentiliti di frizzanti confettini multicolori.SERGIO D'AMARO