Il Gargano disse che

Vieste/ Salve Bellezza, advocata nostra


Vieste/ Salve Bellezza, advocata nostra   Stampa Email  
  Non una riflessione ma un’emergenza. Un bisogno di redenzione pervade nella nostra vita:“la bellezza salverà il mondo”. Grazie a questa frase, luogo comune di culto, nelle Puglie si vuol formulare una legge in suo nome - la Bellezza - per tutelarla tra i banchi politici e professionali - e questo ci fa onore. Nell’attesa, tavoli tecnici in tournee per varare nuove norme giuridiche tra le preesistenti, procedure consuete: il problema resta rispettarle e disattenderle. In fin dei conti si tratta di una forma magniloquente per recuperare un po’ di legalità espatriata, insieme ad un pizzico di buon senso. Quale miglior occasione nominare nostra avvocata la Bellezza in riscossa. Assistente d’ufficio o di fiducia, non certo in veste di guida e consigliera. Assisteremo alla sua sovranità legale, alle sue arringhe inconfutabili, eviteremo che il brutto si trasformi in bello, il male in bene, la condanna in assoluzione. Bisogna fermare lo scempio - l’uomo ne ha combinate, impunemente. Basta, ci sarà una pena e un patibolo (un diletto mai tramontato sugli orizzonti umani). L’unica incertezza è chi emetterà il verdetto, chi sarà il giudice imparziale. Un enigma che ci aggroviglia. Non credo che i legislatori pugliesi vogliano ripristinare l’oracolo delfico: “il più giusto è il più bello”, una voce fuori dai tribunali, sia umani che divini (infatti Delfi appartiene alla necrofilia storica-archeologica, il suo tripode è stato sostituito dalle cattedre). Ma ancor più importante, è sapere quale bellezza dovrà salvarci, e da cosa dovrà salvarci, quale redenzione. Sì, perché di bellezza non ce n’è una sola, l’occidente ne ha coniate tante per ogni evenienza tutte profumate: come saponette domenicali, sempre più svendute per far cassa. Dall’antichità ai nostri giorni quanti volti ha dovuto cambiare, sottoposta alle peggiori chirurgie plastiche, piegata alle nostre più svariate necessità, dalle più infime alle più nobili: la funzionale, la semplice, la complessa, la popolare, la raffinata. Quella morale, intellettuale, spirituale; per finire a quella ambientale, naturale, quella del paesaggio. A proposito, storici e docenti del paesaggio affermano che il territorio era salvaguardato nella sua bellezza dal contadino, cioè dagli analfabeti. Risparmiamoci allora riflessioni umilianti sulle pariglie cultura-bellezza, lettura-sapere. Quante bellezze, ognuna per ogni occorrenza, pronte a soddisfare il bisogno del momento, secondo il metro e il giudizio a disposizione. Frantumi, disuniti e catalogati nel tempo: nessun corpo unico, nessuna visione unitaria, nessuna esperienza della totalità deve insinuarci. Nulla deve riportarci all’unità, solo così si può dominare ed essere dominati. Lo stordimento è un ottimo veicolo. Dimenticavo l’arte, quella che gli allocchi la fanno coincidere con la bellezza, spesso senza saperla riconoscere (le gite rassicuranti e dispersive in mostre e musei è un’illusione temporanea). Purtroppo nella vita reale, l’arte e la sua bellezza è decisa da una oligarchia ben organizzata, composta da galleristi, critici e mercanti, di imbonitori con il loro corteggio di artisti questuanti. Quanti acquirenti esperti d’arte, investitori felici e gabbati. Tutti dobbiamo campare. Insomma, il problema è spinoso e complicato, non ci resta che la dialettica del bello e del brutto, del piacevole e dello sgradevole. Sono due secoli, dalla metà dell’ottocento, che le carte della promiscuità sono state scoperte, riscattando e legittimando il brutto sullo stesso tavolo dell’estetica: entrambi, il bello e il brutto possono barare tranquillamente, scambiandosi reciprocamente i ruoli. Oggi non basta più nemmeno relativizzare, bisogna universalizzare la bellezza. Anche l’oriente ha ceduto al nostro fascino, superficiale ma efficace, costringendo il loro pensiero a forgiare termini prima sconosciuti: estetica, filosofia, bellezza, sono solo alcune parole da inventare per dialogare con l’occidente. A pensare che, per gli intenditori orientali, il valore di un’opera è già tutto nell’intenzione: basta fermarsi alla dimensione psichica, prima di inoltrarsi in quella mentale e in quella spirituale (la perfezione tecnica è un presupposto scontato). Un mondo colonizzato anche culturalmente e artisticamente. Con la bellezza divenuta chiacchierona non ci sono ostacoli. Uno scempio ma con un gran ritorno di fortuna turistica. Eppure, restando nella nostra tradizione, c’è stato un tempo in cui la Bellezza, dea dalle mille trasformazioni, sostava silenziosa e armoniosa nel mondo, quando il mondo scaturiva da uno sbadiglio del Caos. Un tempo dove l’uomo captava, tramite quella superficiale, l’armonia profonda, celata, quella vera e sovrana, perciò più bella. Ci furono canoni distillati da regole intelligibili, elementi sensibili frutto del pensiero che non indietreggia e getta luce nell’abisso della vita. Finché non ci libereremo dall’ideale del bello, dai suoi contorni delimitanti e opportunistici, oltre che tranquillizzante, il brutto ha il diritto di regnere sovrano insieme alla sua regina degenerata, la bellezza. P.S. Suonano al citofono: “vedi che siamo noi a dover salvare la bellezza.” Appunto, abbiate pietà. Buonanotte. Franco Lorusso