Il Gargano disse che

SUL GARGANO nelle corrispondenze del 1902 della scrittrice statunitense Caterina Hooker. Versione dall’inglese del 1958 di Livi


SUL GARGANO nelle corrispondenze del 1902 della scrittrice statunitense Caterina Hooker. Versione dall’inglese del 1958 di Livia Vocino. PRIMA PARTE.StampaEmail
PRESENTAZIONELa scrittrice statunitense Caterina Hooker ha visitato a più riprese l’Italia, rimanendovi talvolta anche per più di un anno, cosi da conoscerla minutamente tanto da far scrivere dal suo editore: «Non vi è paese che non le sia familiare, della familiarità di un amico che conosce, comprende ed ama il popolo italiano». Ella aveva già pubblicato due volumi, (nel 1902 Way- farers in Italy — «Viaggiatori in Italia» — che ebbe 6 edizioni; e nel 1918 Byway in Southern Tuscany — «Vie della Toscana del Sud»), quando inserì nei suoi itinerari anche la Puglia che percorse in automobile guidata da un intelligente autista italiano (il quale le fu prezioso, ella dice, sia nella ricerca e sistemazione degli alloggi, sia per la interpretazione dei dialetti), unita ad un suo congiunto, M.O. Hooker, che fu il fotografo della comitiva, e forse da un’amica, «la cara vecchia Dennis», come ella la chiama. Poi scrisse il suo terzo volume di viaggi, Through thè Hoel of Italy — «Attraverso il Tallone d’Italia» — pubblicato nel 1927 in elegante veste tipografica dalla Rae D. Heukel Co. Ine. di New York. Questo libro è diviso in 12 capitoli, di cui i 2 primi sono dedicati al Gargano, il 3° a Lucera, Biccari, Troia, Bovino, Barletta; il 4° a Bari e a Bisceglie; il 5° ad Andria, Castel del Monte, Raro, Trani, Bitonto, Mola, poligna.no; il 6° ad Alberobello, Tolve, Turi, Gioia del Colle, Altamura, Gravina; il 7° a Potenza e a Lagopesole; l’8° ad Avigliano, Acercnza, Pietragalla; il 9° a Venosa; il 10° ad Atella, Rionero, Barile, Rapolla, il Vulture, Melfi, Lavello, Canosa; l’11° ad Ostuni, Oria, Francavilla, Massafra, Lecce, Novoli, Arnesano, Copertine), Nardo; e il 12° ad Otranto, Galatina, Galatone, Gallipoli, Scorrano e Corigliano.Poiché, per quanto ci consta, il libro non è stato tradotto in altre lingue, riteniamo interessante per i lettori garganici, e non solamente per loro, pubblicare tradotti in italiano i due primi capitoli non perchè in essi vi siano nozioni o notizie relative al Promontorio che non siano già note e largamente divulgate (le notizie storiche son tratte, spesso di peso, dai miei libri di argomento garganico e dal noto volume del Beltramelli), ma per far conoscere le fresche impressioni, i pensieri, i commenti, ed anche i palpiti di schietta ammirazione che i nostri paesi e le nostre genti possono aver suscitato nell’animo aperto ad ogni emozione e ad ogni sorpresa, sgombro da prevenzioni, da avversioni, o da predilezioni, di una visitatrice che è nata ed è vissuta in paesi tanto diversi dai nostri, e vi è venuta di lontano, d’oltre oceano, sobbarcandosi a disagi di viaggio e di dimora per appagare il suo desiderio di conoscere il mondo. Nel libro non mancano rilievi di qualche nostra deficienza, che tuttavia è sempre mostrata con garbo; ma occorre tener presente che esso è stato scritto più di trentanni (la pubblicazione in riferimento è datata 1958 ndr) or sono, e molte cose d'allora anche sul Gargano, come ad esempio per l’acquedotto, sono cambiate in meglio. Comunque, se qualcuna di quelle deficienze tuttora permane, vuol dire che il garbato rilievo di una straniera vorrà servire di spinta ad emendarla; e tutto il quadro può indurre ad un gustoso raffronto tra come erano allora e come sono oggi i nostri paesi, col bene e col male. Qualche piccola inesattezza di dettaglio non mette conto rilevarla, e non si è creduto necessario perciò rettificarla in nota, poiché il lettore lo farà da sé, senza darci peso, visto che in errori ben più grossi incorrono ancora adesso scrittori nostrani pur avendo ben altre possibilità di consultazioni bibliografiche che la straniera viaggiatrice non aveva. L’Autrice, che era nata nel 1840 a Milwaukee e che normalmente risiedeva in California, è morta quasi centenaria dopo il 1943.MICHELE VOCINO (1958) SUL GARGANOQuando a Firenze preparavo il mio viaggio nel Sud mi si chiedeva: «Perchè va in Puglia?» Ed io non ero pronta a rispondere ad una così sconcertante domanda, sebbene avessi potuto dire che in Italia non vi era luogo che non desiderassi vedere, massime quelli meno frequentati. Quale cosa infatti avrebbe potuto essere più seducente di un viaggio in una grande regione dove non avreste incontrato nessuno che vi avrebbe riconosciuto come turista, dove per settimane non vi sareste imbattuto in nessuno che capisse l’inglese tranne qualche emigrante per caso rimpatriato, e dove la popolazione è tutta, italiana? Certo non mi recavo colà in cerca principalmente di bellezze panoramiche poiché la Puglia non ne è tanto ricca quanto il Nord, benché anche in questo le opinioni siano discordi. Comunque, prima di partire, io parlai del viaggio con un colto pugliese, il quale mi descrisse la sua terra così: «E' la più bella regione d’Italia, le ferrovie sono eccellenti, le strade per le macchine sono perfette, vi sono molti alberghi, si viaggia con sicurezza dovunque, la popolazione non vi darà molestie, essa è migliore di quella toscana». Del resto non v’era pure il mio vivo interesse a visitare una regione, come quella, ristretta e tuttavia onusta di una grande e nobile storia, ricca di chiese architettoniche e di piccole gentili città disseminate lungo la marina, esotiche ed orientali più di quanto si passa immaginare che ne esistano in Europa? Partii; e lentamente fermandomi spesso dove volevo, attraversai l'Umbria e l’Abruzzo, e varcai i cancelli del remoto Sud. Appena in Puglia, la prima grande città che s’incontra è Foggia, e lì mi son fermata qualche giorno come base per le mie gite e per studiare le carte topografiche, massime quelle ottime del Touring Club Italiano. Si può pensare nulla di più allettante delle carte, le quali ti prospettano le possibilità di viaggio, ti accendono la fantasia, ti eccitano lo spirito di esplorazione? Esaminai dunque il territorio prossimo, e mi fermai a guardare verso il Gargano, il promontorio che si protende a levante sull’Adriatico, ed è chiamato anche Sperone d’Italia, di cui le pendici meridionali sono più o meno conosciute dai viaggiatori, ma le settentrionali non lo sono affatto. In queste non ci sono tesori d’arte, non chiese famose, non ferrovie, nè ve nè accenno nelle guide turistiche. Era dunque la mia una sfida alla curiosità. E scoprii per questo una buona fonte d’informazioni in un piccolo libro del sig. Michele Vocino, che è nativo di quella regione ed è amante di essa; del quale mi professo piacevolmente debitrice. Fu quindi deciso che il Gargano sarebbe stato scelto per il nostro viaggio esplorativo. Certo, per una tal quale prudenza, esso non poteva non essere preceduto da una qualche inchiesta, e perciò chiesi, in Foggia, se in quella gita noi avremmo almeno trovato posti da dormire: allora ci indicarono Vieste, il paese più lontano e più grande. Quindi telegrafammo a Vieste per fissare le camere. Dice una leggenda che il Gargano si sollevò dalle profondità del mare per unirsi al continente come ad una sposa, ma gli scienziati, fuori da questa leggenda romantica, sostengono che nel passato geologico esso era un'isola. La tradizione narra anche come Diomede, re degli Argivi, quando tornò in patria dalla guerra di Troia e vi trovò sua moglie in adulterio, provò tanto dolore e tanta indignazione che più filosoficamente di molti mariti traditi, prese il largo sul mare con i suoi compagni ed approdò alle Tremiti, le isole che stanno proprio di fronte al promontorio garganico, e che, per questo approdo per lungo tempo si chiamarono Diomedee. Di là egli si mosse alla conquista del continente, che rapidamente e valorosamente assoggettò, e vi sposò la figlia di Dauno, re di quella regione, che come canta Ovidio, egli poi ebbe in dote, e fu chiamata Daunia; nome che in seguito i Romani mutarono nell’altro di Apulia. Il giorno dopo ci raccomandammo a S. Giuliano, patrono dei viaggiatori, e partimmo. C’è sempre un senso di euforia in ogni partenza mattutina pur se non le si dà importanza, ed avendo bene alloggiato la notte si sente un tal quale eccitamento nella prospettiva di un nuovo giorno con nuove cose da scoprire; così era per noi in quel mattino. Salimmo di collina in collina con orizzonti sempre più vasti; indi scendemmo in una distesa irregolare di basse valli qua e là intersecata da stretti burroni ed ampi pascoli in cui ogni tanto una casetta solitaria appariva con intorno un breve spiazzo coltivato, un campicello di grano o di lino dal delicato colore glauco come il cielo, che ci stupiva al pensiero del raccolto che avrebbe potuto dare una cosi minuscola coltivazione. Ecco dunque sull’ultima altura già si vede occhieggiare in fondo il mare blu-pavone; ed io non vi so dire quanto sia stata per noi gentile e seducente quella vista. In curve degradanti lentamente si snoda la strada bianca per chilometri di campagna deserta, tra macchieti ed alberi che si alternano con verdi pianori deliziosamente tinti di piccole chiazze gialle di zafferano e purpuree di timo. Lontano, lungo il litorale, luccicano due silenziosi laghi divisi dal mare da una fulva duna di sabbia, i quali riflettono i cieli variamente colorati d’ombre e di luci. Noi per quella strada scendemmo; e poi svoltammo a levante dopo avere attraversato un bosco di faggi. Nessuna foresta può essere tanto gioiosa come quella dei faggi, coi loro enormi tronchi grigio-argento ed il fogliame frullante ai barbagli del sole, mentre nel sottobosco le ginestre, le rose selvatiche, i caprifogli son troppo belli per essere abbandonati alla loro felice solitudine. Vi ci indugiammo a lungo, quanto ci parve prudente; poi lasciandoci alle spalle quel ridente faggete, entrammo in una solenne meravigliosa navata di alberi di pini, in una foresta cioè di un altro genere. In quel pomeriggio dorato nessun albero ci parve triste, però essi ci fecero sognare. Con le impressioni di quelle due dissimili fareste ecco che fummo sorpresi arrivando in un paese, Vico, che ha un’architettura nuova, in contrasto con quella delle case delle città della pianura. E qui avemmo la prima visione dell’aspetto fortemente orientale di questa parte della Puglia. Sul pendio della ripida collina vi erano case addossate a case in un solido ammassamento con ogni sorte di irregolarità, con ogni specie d’incrostazioni, archi enormi e profondi che sostengono tratti di facciate, interrotti da logge, sormontati da comignoli svettanti come obelischi, il tutto nell’oro rovente del tramonto del sole. Facce brune, dai grandi occhi lampeggianti guardavano dalle finestre, gruppi di uomini si avvicinavano nella strada quasi a sbarrare la nostra macchina presi da stupore e da curiosità. Era una folla, non così linda come le bianche pareti delle case, che mostrava un senso di disagio ed un atteggiamento in apparenza non ospitale. Decidemmo perciò di non scendere, e proseguimmo; ma dopo questa decisione ce ne siamo pentiti. Un proverbio italiano dice: «la prima è ispirazione, la seconda è tentazione». Perchè avemmo paura? perchè non ci avventurammo un poco di più? quegli occhi neri, brillanti in quelle facce brune, avrebbero ben potuto essere ammansati; certo non ci potevamo aspettare l’ospitale cordialità toscana, ma nemmeno vi avvremmo trovata una ostilità dichiarata, e poche parole avrebbero potuto alla fine procurarci almeno una tolleranza In viaggio, del resto, non mancano mai riflessioni, perplessità, e rimpianti. «Quando rivedemmo il mare fu da un alto costone sul quale si ergeva una bassa e massiccia torre quadra, leggermente rastremata in alto; e la scoperta di essa fu per noi un inaspettato piacere: dunque le torri di guardia non erano ancora scomparse del tutto! Nei secoli XV e XVI vi era una catena di queste torri costruite lungo il litorale por segnalare la minaccia dei pirati turchi, che imperversavano in quei mari contro quelle popolazioni. Oggi là non vi è nessun villaggio, nessuna capanna di pastori, tuttavia quella diserta torre silenziosamente e fedelmente continua a fare buona guardia. Noi ci fermammo a guardare verso levante, verso la costa albanese che stava li, di fronte, oltre la tenue linea azzurra dell’orizzonte. Poi scendemmo lungo la via verso il mare, allo sbocco di una stretta valle: ed ecco in alto Peschici, svettante di contro al cielo tinto di rosa.Fine prima parte