Il Gargano disse che

Giuseppe Tusiani - M’ascolti tu mia terra? Ode al Gargano -


Giuseppe Tusiani - M’ascolti tu mia terra? Ode al Gargano -   Stampa Email  
 Ai miei genitori garganici Terra natale, io non ho mai sofferto, io non ho pianto e non son mai partito, se alla mesta pupilla, che ti ritrova, tu sei bella ancora e sei materna. Forse per selvaggi mari avanzò la sola mia paura; forse per venti e per valli e per sere illuni procedé, sempre sgomento, il mio pensier soltanto; ma l'anima, quel sangue tra le vene, passò per tue radici eternamente e l'uomo restò bimbo e fu sereno Serena, sì, tu sei, mia terra grande, or che sì vergine e vasto l'azzurro sopra di te tangibile s'espande e ti chiama sua terra; e l'onda a te rifluisce, scontenta delle raggiunte distanze infinite, ed ecco canta e ti chiama sua madre. Qui mi son io fermato, su quest'erba che sempre rigermoglia, e con l'orecchio trepido ho seguito nel fiottar del mio sangue il lieve, arcano crescere della foglia e l'appressar del tuono di lontano. E quando poi crosciò sui sassi stridula tutta la pioggia improvvisa, il tuo volto ho visto asperso e splendere d'umida meraviglia, chetando nelle tue sacre spelonche il mio terrore fino al nuovo sole. Ecco il sole è già parte di te, parte di me, sì basso che quasi ci tocca con l'ultimo suo dir melodioso. E sta su quella roccia a brucar l'erba imporporata la capra (e ci pare che mangi il sole), e su questo declivo, che sente il fresco favellar del mare, sta presso il gregge il pastorel silente, lieto di regger sull'aperta mano un cielo d'oro e per la prima volta — fatto da te, sua madre, madre nostra — un vestito di raggi. E son campane lontane e campani vicini, ed è la sera, questa cosa tranquilla che inumidisce la nostra pupilla all'improvviso e ci fa te guardare pensosamente prima della notte. Quando la notte è grigia, e il grillo ed io sembriamo i soli spiriti viventi sotto un del ch'or si copre or si discopre all'occhio malinconico assonnato, l'ultimo fil di ristoppia che brucia esala una fragranza di frumento e fiore. Ah no, veglia lontano e canta una fiaba di vita un vecchio, e ascolta un pastorello, ed è religione questo silenzio della giovinezza al detto del profeta. Il mare tace, anch'esso, ad ascoltare, e ancora un poco il vecchio canta, e sulla stessa pietra, che serve da giaciglio, nella mobile notte sono immoti il bianco capo e i lievi ricci biondi. Ora il silenzio gli abissi profondi colma, e la notte l'attonito cuore che veglia. E vegli tu, Terra d'amore, anche sul mio pensiero? lo so che sotto il rigido tuo ciglio trema pel figlio il tuo pianto di ieri, il tuo pianto nel sole. E so che dentro il tuo marmoreo cuore è la speranza di nuov'erbe e d'uccelli e di pastori, è la stessa preghiera che non manchi domani il dolce volo e la pastura ad ogni tua novella creatura. Madre, io ti canto la lode notturna ancora, e tu m'ascolta, come udivi una volta il mio canto di maggio ! lo son tornato dai mari lontani, e se pur sembri in allegrezza spento ogni anno amaro, non potrà nessuno annullare il passato e ricondurre al seme antico il già perfetto fiore. Era si lieve, ai miei dì, questa pianta, ch'io con mano piccina ne scotevo tutta per me la brina; ed ora è tronco, e la mano robusta tocca la scorza e non più nuoce ai rami. Ma in quest'albero forte scorre ancora l'umore del tuo grembo immacolato. Immacolato io mi sento tuttora (eppure m'han fatto rude gli anni e il male) come si fosse fermato il mio giorno alla sua prima aurora senza il declino alla sua prima sera. E costumi ho veduto diversi e gente diversa e, per vivere anch'io, quasi ho dovuto scordare i tuoi linguaggi e i tuoi silenzi e le tue selve fiere ed incorrotte. Ed ho imparato a dormir la mia notte senza i tuoi cieli, per sentirmi pronto a correre affannato, il dì seguente, allo stesso tramonto. E qui correvan liberi e veloci i tuoi venti, e sui greppi e dentro i solchi saltellavano lepri e nascevan viole. Tu non conosci il mondo sotto il sole, o severa montagna che amo. Or, di noi due, io non so dire chi più sappia o valga: io, che ho appreso il soffrire de' fratelli, o tu, che, sotto la pioggia che bagna e rode, all'alba nuova ancor possiedi l'innocenza di ieri. Io non-lo so, perché sapere il male è forse un po' dimenticare il bene. Ma certo vive senza l'uomo il fiore, e l'uomo è triste senza un fiore almeno. Tua la grandezza soltanto, se, al seno immune ritornati, si soffre di non esser più frammento vivo di te, come il boccio dormente beato, e come quei pastori avvinti in unico sonno quasi dolore e amore stretti per sempre in un'istessa vita. M'ascolti tu, mia Terra? All'infinita tenebra (a me sembra infinita, eterna) il grillo ancora invia il suo messaggio antico, ed alla luna esce a guizzar la serpe, e sul pantano canta la vecchia vicenda la rana, ed or si sente nascer sulla via una canzone: è il carrettier che torna. In questo mondo innocuo e tranquillo, in pace sì sovrana, forse son io soltanto che parlo a te questo linguaggio strano, questo amarissimo, inutile pianto. Io so che tu m'ascolti. Ha róso il vento e portato nell'onda un masso di tua roccia, e sette inverni han gravato i tuoi fianchi seppellendo nelle nevi i tuoi fiori, e sette aprili hanno ferito di gioia il tuo grembo, ed hai sofferto lacerazioni d'uomo e schianto di nembo. Eppur sei buona ancora e sei materna, e tutto tu perdoni, mia terra, e il tuo silenzio è più che voce al fior che, nato nell'Idea eterna, questa notte, fra breve, la corolla aprirà sulla zolla stupita, a me che, giunto qui per mille gestazioni amare, qui rinasco e dico all'aure : "O mistero di gloria, dove nascere è bello io sono nato! " Uomini e cose, udite ! Il fiore è nato e il fiore brama il sole, e vuol l'infante la vita. Aspetta il vento giù la vela spiegata e ad esser bella attende il raggio la rugiada ch'esiste e non si svela ancora, lo sento ch'è segno d'aurora questo brusio tra le cime, quest'alito caldo di rosa ch'è luce e ch'è suono sopra la vetta più grande, su tutte le vette, lo ti conosco, fremer di cento cerri, canto d'arpa timida e tinnula, ora che ogni sogno sembra finire in colore, e il colore sembra mutarsi in cuore d'uomo. Correte, accorrete alla festa del monte che si dora, della foresta che bella si desta al giorno! E' tardi già: quel che fu oro è croco, e cresce già sopra la crosta glabra un filo di bianchissimo crespe, e in un mar di candore la notte è naufragata, e in tutta questa luce il mio dolore. Giuseppe Tusiani