Il Gargano disse che

Il mito Gargano, monte del sole e scrigno prezioso di dune e paludi. Un’isola biologica e antropologica, quasi per caso


Il mito Gargano, monte del sole e scrigno prezioso di dune e paludi. Un’isola biologica e antropologica, quasi per caso collegata alla penisola, con il suo mare e il gioiello della Foresta Umbra.   Stampa Email  
  Un blocco unico di calcare che si protende in Adriatico cercando il contatto con i Balcani occidenta­li. Questo è il promontorio garga- nico come appare ed è apparso a chiunque gli si sia avvicinato e gli si avvicini ancora adesso. Un’iso­la biologica ma anche antropolo­gica, quasi per caso collegata alla penisola italica ma comunque ben distinta. Il Fortore ad ovest ed il Candelaro a sud a fare da confini. Poi, lagune e terre fertili da bonifica a nord, accompagna­te da declivi che quasi si gettano in mare e che salgono insistente­mente e prepotentemente verso l’interno della Montagna del So­le. Un misto di arcaica potenza, di mitologica forza e di sacra mae­stosità. Nel 2020 queste percezio­ni sono ancora in gran parte intat­te. Se si arriva in auto dall’operoso nord, prima di arrivare al casello d’uscita di Lesina-Poggio Impe­riale bisogna oltrepassare il tor­rente Saccione, confine con il Mo­lise, e tutta la parte relitta dello splendido litorale adriatico baffo del Fortore per buona parte com­promesso ma ancora con alcune vestigia di dune mobili e fossili con ginepri. Guardando a destra, nell’entroterra, ecco Chieuti, co­munità arbèreshè che vorrebbe andare col Molise, e Serracaprio- la il cui nome racconta della diste­sa di boschi termofili pieni di ca­prioli. E si è già nel parco naziona­le del Gargano. Si continua e si su­pera il Fortore, primo vero corri­doio ecologico della Puglia che ancora oggi funziona così. Si giunge alla sacca occidentale del­la laguna di Lesina anticipata dal­la devastazione urbanistica degli anni 70 ed ’80 del secolo scorso. Il canale Acquarotta fa da limite all’oltraggio che ha coinvolto pu­re Punta pietre nere, straordina­rio complesso di rocce vulcani­che del Triassico. Prima di prose- guire, possibilmente a piedi, a ca­vallo oppure in bici, conviene fa­re un salto al centro visite’della la­guna di Lesina (www.centrovisi- telesina.it - centrovisite@comu- nelesina.it - tei. 0882 707455) an­che per organizzare visite guida­te su battelli. Da ora, un lungo, emozionante cammino sul tom­bolo (istmo) della laguna. Circa 12 chilometri di lunghezza per una larghezza che varia da 500 metri ad 1,5 chilometri. E sembra di es­sere lontani dal mondo. Si comincia in una bella pineta di pino napoletano, si prosegue tra spiagge equatoriali e macchia mediterranea, ancora stupefa­cente nonostante gli incendi che pure ne hanno banalizzato la composizione. Lì c’è la variante garganica dell’orniello con il fras­sino meridionale. Ed ancora, tra mirto, erica arborea, leccio e gine­pri coccoloni e fenici, testuggini palustri e testuggini di terra ecco il cisto di clusio, specie rarissima ed endemica salvata dall’estinzio­ne con un progetto regionale negli anni ’90 ed oggi di nuovo a ri­schio. A foce Cauto dove l’acqua di mare e l’acqua dolce coesisto­no grazie alle fantine, risorgive di quest’ultima, si allevano anche le mazzancolle. Poi ci si trova a Tor­re Scampamorte (torre di avvista­mento del XV secolo). Fino a qual­che anno fa, pure di fronte al relit­to della nave Eden (misteriosa­mente naufragata agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso e senza che si sia mai avuta notizia di cari­co ed equipaggio), ora rimosso. Lo spazio stringe e quindi si prosegue soffermandosi sulla sac­ca orientale della laguna di Lesi­na, riserva naturale statale bioge­netica. Qui si può vedere una ric­ca varietà di uccelli migratori e stanziali. Si tralascia l’obbrobrio di Torre Mileto che ancora grida vendetta, e sulla strada a scorrimento veloce ci si può fermare, tornando un po’ indietro, alla fon­te di San Nazario (o Càldoli) dove l’acqua sgorga alla temperatura costante di 18°. Vicino, l’omoni­mo santuario, luogo del cuore Fai, sovrapposizione cristiana ad un antico tempio pagano dedica­to al taumaturgo Podalirio. Dopo circa 20 chilometri da qui, si scende a San Nicola Imbuti sul lago di Varano, dopo monte d’Elio. Un idroscalo della prima guerra mondiale ma ben prima monastero benedettino dipen­dente da quello di S. Maria delle Tremiti e da quello di S. Maria di Kàlena a Peschici. E tra Cagnano Varano, Carpino, Ischitella e Vico del Gargano si risale per il sacro monte garganico nei boschi comunali per poi arrivare a Foresta Umbra. È per il bene dell’anima che ci si perde in questi boschi. Dalla fi­ne del XVIII con frate Michelangelo Manicone da Vico del Gargano e la sua "Fisica Appula”, alla metà degli anni ’50 del secolo scorso con l’istituzione della prima riser­va naturale a Foresta Umbra ad opera del professor Pàvari (4 etta­ri a valle Sorgentola), all’acquisi­zione di ulteriore territorio fore­stale al demanio statale prima con i boschi di Manatecco e di Ischitella e poi con le acquisizio­ni da parte del professor Vittorio Gualdi tra il 1964 ed i 1973, la tute­la delle foreste garganiche (il nemus garganicus) si è rinforzata. Hanno certo contribuito anche Italo Insolera con Italia Nostra e Sabino Acquaviva ed un giovane Franco Tassi. Ora quelle foreste, patrimonio molto materiale ma anche dell’anima, sono tutelate e fruite. Le faggete depresse di Ischitella dove il faggio vegeta già a circa 250 metri sul mare, in cui si riscontra spesso anche l’agrifo­glio, sono testimonianze delle vestigia naturali straordinarie del promontorio. E lì i faggi si alterna­no ai cerri (il nome Ischitella deri­va da “Ischio” che identifica il ge­nere quercus) che si congiungo­no a quelli di Vico creando un uni­cum spaziale, dove i boschi non vengono più gestiti per ritorno economico. Sono boschi comuna­li che quelle comunità hanno ben gestito nei secoli. Questa è solo la parte nord del Gargano. Da ora si ci addentrerà nel nemus garganicus per uscire a sud della Montagna sacra, agli eremi tra i valloni e la pseudosteppa, sul golfo di Manfredonia speran­do di cogliere il volo della gallina prataiola. Fabio Modesti repubblicabari Chi è Direttore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia per oltre 10 anni, esperto di politiche per la conservazione della natura. Autore di numerose pubblicazioni di carattere scientifico