Il Gargano disse che

L’incanto di Vico. A picco sul mare, la salita mozzafiato che parla di storia. A ogni chilometro si sale di 100 metri: un’erta


L’incanto di Vico. A picco sul mare, la salita mozzafiato che parla di storia. A ogni chilometro si sale di 100 metri: un’erta fra carrubi secolari, pinete e ulivi che corre per incrociare le foreste   Stampa Email  
  Vico del Gargano non è lontana ma è su, a 500 metri sul mare, quasi a picco sulla piana alluvio­nale di Calenella e di San Menaio. Arrivarci dalla calura dagli areni­li affollati non è improbo ma può non essere semplice. Certo, c’è una strada più comoda ma ci so­no percorsi molto più acclivi e stretti da tenere gii occhi ben aperti e i nervi ben saldi. Sono questi i più scenografici, da poter fare a piedi oppure a dorso di mu­lo o di cavallo. Ogni chilometro si siile di 100 metri ed è un’erta tra carrubi secolari, pinete e ulivi portati in modo molto diverso da quelli, per esempio, di Terra di Bari. Qui, in questa parte del pro­montorio, le olive si raccolgono da terra e l’olio è molto particola­re, con il sapore della Montagna del Sole. Vico diventa, quindi, per dirla con un anglismo forse antipatico, un hub, un incrocio tra mare e foreste. E che foreste. Il padre francescano Michelange­lo Manicone tra fine XVIII e inizio XIX secolo, così descriveva i “Bo­schi di Vico, e di altre popolazio­ni garganiche”: «Nell’età di Orazio il Gargano era tutto boscoso: Garganum mugire putes nemus (Lib.2, delle sue Epist.). Boscoso è stato sino al 1764. Da quell’epoca ha cessato di muggire. La cesinazione ne’ monti si è fatta in una maniera talmente barbara, che toglie ogni speranza di spontanea riproduzione. Dove sono ne’ tenimenti di San Marco in Lamis, di San Meandro, di Carpino, di Vi­co, e di altre popolazioni gargani­che le folte boscaglie, gli smisura­ti faggi, i robusti cerri, le annose querce, ed altri grossi alberi ghiandiferi? Son passato, e non ci erano più. Tai monti non offrono al presente all’Amico del Prossi­mo, che un orrido aspetto, uno spiacevole spettacolo, un rattri­stante oggetto». Eppure, quasi tre secoli dopo gli alti lai di Manicone e dopo ulteriori devastazio­ni, questi boschi e queste foreste relitti sono per noi fonte di ammi­razione e di animo protettivo. Non è un caso che qui, sul pro­montorio ponte nell’Adriatico con i Balcani, vi siano tipologie fo­restali di prim’ordine scientifico ed ecologico. Quasi vent’anni fa è stato fatto un po’ di ordine siste­matico in queste tipologie da par­te dei professori Vittorio Gualdi e Patrizia Tartarino dell’università di Bari. Si possono così organizzare vi­site guidate in alcuni veri e pro­pri scrigni botanici del Gargano, gui­de escursionistiche come quelle di Gargano Natour a Vico del Gar­gano (www.garganonatour.it - info@garganonatour.it - su Facebook @GarganoNatour - telefono +39 393.175.31.51). Partendo da Vi­co, per esempio, e seguendo la strada che porta a Foresta Um­bra, all’altezza della caserma Sfilzi si può deviare a sinistra per ca­serma Caritate seguendo Valle della Carpinosa. Il percorso si fa a piedi. Si giunge, dopo circa 4,5 chilometri, in un bosco di cerri con carpino orientale e fametto. È una fustaia (cioè un bosco matu­ro) di cerro (quercia molto ambi­ta per il legname) accompagnata da porzioni di bosco in parte ta­gliate nelle quali vengono lascia­te delle piante “madri” per la riproduzione (ceduo matricinato). Una buona gestione forestale ha consentito che riemergessero specie prima quasi scomparse co­me il farnetto e il sorbo, molto ap­petito dagli uccelli dei boschi. Ma ora tocca inoltrarsi nell’Umbra, nella foresta antica del Gargano, nelle faggete che da poco l’Unesco ha riconosciuto patrimonio dell’Umanità. Uno dei nuclei più importanti e conosciuti di foreste vetuste in Italia e in Europa. Accanto a esse ci sono piccoli nuclei di diversità forestale come il bosco di cerri con acero napoletano che si trova­no a monte del pantano di Sant’Egidio, non molto distanti dalla strada che collega San Giovanni Rotondo a Carpino. Non sono al­beri vetusti, in questo caso, ma popolazioni forestali di grande pregio scientifico e naturalistico in un contesto paesaggistico straordinario. Si è a poca distanza da monte Calvo e monte Calvello e a est si arriva a Valle Carbonara sovrastata da bosco Spigno. Vale la pena una deviazione verso que­st’ultimo dove una faggeta di pic­cola estensione lascia il campo a carpino nero, acero opalo e cerro. Qui iniziano a vedersi anche i lec­ci perché il versante è esposto a sud. Riscendendo verso Valle Car­bonara, incassata tra i boschi cen­tro-occidentali del promontorio e la parte sommitale del sistema dei valloni meridionali, si può ave­re la fortuna di avvistare, soprat­tutto nelle ore notturne, qualche esemplare di gatto selvatico che ancora qui resiste. Quindi, si può scavallare verso sud scendendo da San Salvatore (frazione di San Giovanni Rotondo) oppure da Monte Sant’Angelo. Avvertenze: è un panorama che può determi­nare sperdimento e togliere il fiato. Per i naturalisti è forse questa la parte garganica più importan­te. Se, certo, i boschi e le foreste vetuste costituiscono il brand più conosciuto della Montagna del Sole, i valloni ne sono la parte ruvida, quella che non lascia scam­po tra l’amore e l’odio. L’acqua ha fatto il suo lavoro geologico nei millenni e ora non c’è più se non nella falda profonda. Eppure, quando gli eventi meteorologici sono intensi i valloni tornano a es­sere torrenti. Qui, eremi di frati in romitag­gio e monasteri sperduti come quello di Pulsano dominano l’A­driatico come lo fanno corvi im­periali, falchi pellegrini e avvoltoi capovaccai. Qui si sono insediate specie botaniche transadriatiche rare come la Scabiosa di Dallaporta. Qui è il regno della steppa mediterranea, quel complesso di specie vegetali e animali quasi scomparso altrove e per questo tutelato a livello continentale. Qui, camminando tra i campi di cereali e seguendo le greggi al pascolo sotto i valloni, si può avere la fortuna di vedere la parata nu­ziale della gallina prataiola. Una rarità per completare la gioia gar­ganica che ci ha inondati.     Fabio Modesti Chi è Direttore del Parco Nazionale dell’Alta Murgia per oltre 10 anni, esperto di politiche per la conservazione della natura. Autore di numerose pubblicazioni di carattere scientifico