Il Gargano disse che

12 Settembre/ IL SILENZIO PARLANTE


12 Settembre/ IL SILENZIO PARLANTE   Stampa Email  
  Un giorno Teofilo, vescovo di Alessandria, andò in un monastero del deser­to. I monaci lo festeggiarono e tutti avevano qualcosa da dirgli. Soltanto abbà Pambone taceva. Allora i confratelli gli dissero: «Su, di' qualcosa anche tu al nostro pastore, così che la sua anima ne goda!». Pambone replicò: «Se il mio silenzio non gli dice niente, neppure le parole potrebbero giovargli». APOLOGO DEI PADRI DEL DESERTO Ci sono in italiano due proverbi antitetici. L'uno afferma che «chi tace acconsente» e l'altro controbatte che «chi tace non dice niente». Entrambi contengono un'anima di verità, perché il silenzio è per sua natura ambiguo: spesso è solo taciturnità indifferente o priva di pen­sieri, ignavia mentale e sociale. Tuttavia sappiamo anche che esisto­no silenzi che colpiscono più di una parola urlata. È ciò che si vuol sottolineare in questo che è uno dei tanti apologhi dei cosiddetti Pa­dri del deserto egiziano. Per cogliere il messaggio dell'uomo autenticamente silenzioso, per intuirne il rimprovero, bisogna essere capaci a propria volta di silenzio. Quel vescovo si lasciava cullare dalle acclamazioni dei mo­naci, dai loro convenevoli, dalle frasi di cortesia e forse di adulazio­ne. Abbà (cioè «padre» e maestro) Pambone non si accoda al coro e subito - volenti o nolenti - quel silenzio risulta più forte del chiac­chiericcio. C'è, dunque, da imparare anche il vero tacere, tutt'altro che facile quando ci si vuole far notare dagli altri, soprattutto dal potente di turno. Il Salmista fa questo proposito: «Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; porrò un freno alla mia bocca!» (39,2). Esercizio importante ma arduo, perché «gli uomini - diceva il filosofo Spinoza - non governano nulla con maggior diffi­coltà che la lingua». Gianfranco Ravasi