Il Gargano disse che

Tra zona rossa e arancione l’occasione per riflettere Siamo infatti agli sgoccioli dell’Avvento e si avvicina il Natale.


Tra zona rossa e arancione l’occasione per riflettereSiamo infatti agli sgoccioli dell’Avvento e si avvicina il Natale. Quest’anno però sembra più una quaresima, non meno triste e pesante dell’altra Quaresima, quella di marzoMichele Partipilo21 Dicembre 2020
Foto d'archivioAAADa oggi l’Italia entra in zona arancione. Colore insolito per il periodo e che non trova riscontro né in natura, dove dominano i toni brulli dell’inverno, né nelle tradizioni legate al rosso delle candele o al verde intenso degli abeti. La zona arancione è una stonatura che ci porterà ahimè verso la zona rossa dei tre giorni di Natale. Siamo infatti agli sgoccioli dell’Avvento, tempo per dedicarsi spiritualmente – e non solo – al Dio che si fa uomo. Quest’anno però sembra più una quaresima, non meno triste e pesante dell’altra Quaresima, quella di marzo. Non piace a nessuno, ma questo è il tempo che ci è dato di vivere.È naturale cercare un capro espiatorio. Il governo incerto, i ministri incompetenti, gli scienziati litigiosi, i presidenti delle Regioni e i sindaci malati di protagonismo, gli ospedali male attrezzati, medici e infermieri insufficienti. La lista delle doglianze potrebbe continuare a lungo e tuttavia non servirebbe a cambiare la situazione, a darci un sorriso, a farci dimenticare la tristezza di vivere distanti da tutti, senza un abbraccio né una stretta di mano. Le responsabilità esistono, ma non vanno confuse con il «nemico», con il virus che ormai da un anno si è insinuato nell’esistenza di ciascuno, ovunque egli si trovi.Del resto basta guardarsi intorno: altri Paesi, cui spesso sono tributati elogi per efficienza e capacità organizzativa, sono messi male al pari dell’Italia. Anzi, qualcuno anche di più. Allora bisogna rassegnarsi, anche se questo non vuol dire arrendersi.Occorre accettare la sfida del presente e farsi carico dell’impegno a fronteggiarla al meglio, ciascuno nel suo piccolo e con le sue armi. Certo, è difficile non perdere la testa quando vedi andare in fumo i sacrifici di una vita per aprire un bar, gestire un negozio, lanciare un ristorante, avviare un agriturismo. Su questo fronte si può fare molto, non solo con gli aiuti di Stato, ma anche inventandosi forme nuove di servizi e di commerci. In fondo le scoperte sono arrivate quasi sempre per caso, per rispondere alle esigenze del momento. Crisi per gli antichi greci voleva dire anche cambiamento. È quando siamo messi alla prova che riusciamo a dare il meglio di noi stessi, a scoprire energie che neppure pensavamo di possedere. Non basta implorare i contributi pubblici, che pure devono esserci, anche se sono debiti che stiamo caricando sulle spalle di figli e nipoti, occorre anche offrire idee e strategie, campo in cui noi Italiani possediamo una marcia in più data da fantasia e creatività.L’altro giorno nel consueto appuntamento nella Cattedrale di Napoli, non si è «sciolto» il sangue di San Gennaro. In molti vi hanno tratto segni di allarme e preoccupazione. La tradizione vuole che il mancato prodigio sia un cattivo presagio. È curioso che anche chi abitualmente afferma di non credere al «miracolo» ora se ne preoccupi. È la fragilità umana che viene a galla in momenti come questi, quando vacillano le certezze date dalla routine quotidiana, dall’illusione di governare le nostre vite, dalla presunzione di poter essere padroni del nostro tempo. E invece scopriamo all’improvviso che non è così e che anche Scienza e Tecnica, dispensatrici di tante certezze, ora annaspano, vagano a vista, procedono più per congetture che per confutazioni.Se questo stramaledetto virus, che ha lastricato di cadaveri e privazioni i nostri giorni, potrà avere un merito sarà quello di averci ricordato i nostri limiti. L’ha fatto nella maniera più violenta e paradossale possibile: un invisibile microrganismo per tenere sotto scacco l’umanità. Dovremo riflettere su questo per mutare la nostra concezione di persone al centro della natura. Il Covid insegna che possiamo essere solo persone «nella» natura, ovvero mettendo da parte l’istinto dominatore esaltato dal progresso tecnologico e scientifico. Occorre recuperare una funzione mitigatrice della morale e della religione. Stare un po’ più soli in queste feste magari ci aiuterà a farlo e forse anche a farci capire la solitudine di chi da molti anni vive ogni giorno in solitudine.Non si tratta di recuperare una funzione consolatrice della religione, che pure ha, ma di chiedersi perché religioni come il cristianesimo e l’ebraismo vanno avanti da migliaia di anni. A questo proposito due sottolineature di fatti certamente minimi, ma rivelatori della mentalità che cambia. Il primo.Da qualche tempo ha preso piede la moda importata dagli Stati Uniti di indicare l’anno leggendo la doppia cifra: questo che resta ancora per pochi giorni è il venti-venti, cui seguirà il venti-ventuno. Un vezzo? Certamente, ma anche la cancellazione di un terminus a quo, del punto di partenza che ha sconvolto l’umanità, poiché venti-venti è una cifra anonima, un numero insignificante con una mera funzione ordinatrice, come il bigliettino della fila dal salumiere.Il secondo è racchiuso in questa voglia della Chiesa cattolica di aggiornare i sacri testi. Operazione forse lodevole sul piano culturale, ma che non tiene conto del vissuto delle persone e, talvolta, neppure della comunicazione.Durante la messa della «notte» di Natale sarà letto il salmo 9 del profeta Isaia, quello che comincia così: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce…». Bene, per la prima volta chi andrà a messa ascolterà la nuova versione: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce…». Un passato prossimo invece di un passato remoto. Per aderenza alla versione originale si dirà. Peccato, perché quel passato remoto recava un alone di certezza, era perentorio, potente. Il passato prossimo colloca ogni azione nella quotidianità effimera. Non è un caso se il giornalismo da tempo ha messo da parte il passato prossimo, privilegiando il cosiddetto «presente storico» o, appunto, il passato remoto.Piccole cose, piccoli pensieri che passano per la mente quando si è costretti a stare in casa dalla zona arancione.