Il Gargano disse che

Il prezzo (alto)della prima ostia


Il prezzo (alto)della prima ostia
Parliamo del business delle comunioni. C'è l'abito per il piccolino o la piccolina, gli abiti da cerimonia per tutti i congiunti, ci sono le bomboniere, c'è un pranzo luculliano per decine di invitati. Insomma, prima di andare in chiesa si passa obbligatoriamehte dalla banca. E così oggi, nonostante la crisi, c’è gente che si indebita fino in fondo pur di «non fare brutta figura» e uno dei sacramenti importanti per la vita di un bambino («l’incontro con Gesù Cristo») si trasforma in una passerella, anzi una vera e propria esposizione in pubblico del bambino
BARI - «Ho visto quella figlia, era proprio bella. L’abito così raffinato. E hai visto i fiori nella chiesa? belli. Non parliamo della sala; abbiamo mangiato veramente bene». I commenti sono quasi sempre gli stessi. Cambiano le persone, la forma delle frasi, ma la sostanza è sempre la stessa. Dire «amen» oggi ha un costo. Anzi, a dire il vero, lo ha da sempre. Parliamo del business delle comunioni che oggi affligge più di prima le famiglie che si avventurano in questo evento ormai considerato una prova generale da matrimonio. Prima di andare in chiesa si passa obbligatoriamehte dalla banca. Parliamo di business perchè oggi, nonostante la crisi, c’è gente che si indebita fino in fondo pur di «non fare brutta figura». E così uno dei sacramenti importanti per la vita di un bambino («l’incontro con Gesù Cristo») si trasforma in una passerella, anzi una vera e propria esposizione in pubblico del bambino. O, per dirla tutta, di una vera e propria competizione a «chi fa la festa più bella» soprattutto se ci si avventura nelle zone popolari. Un «rito» che, al contrario di quello previsto dalla Chiesa, antepone il banchetto, l’abito e le bomboniere all’importanza di quel momento in cui il bambino si nutre del corpo di Cristo. «Mangia l’ostia», come dicono in tanti. Maggio, si sa, è tempo di comunioni. Ogni anno, nella nostra diocesi si registrano mediamente 6mila comunioni. A Bari, secondo una stima approssimativa, se ne celebrano più di 3mila. Alla diocesi non si hanno notizie certe perchè, negli archivi, non figura una statistica precisa: le comunioni non vengono annotate nei registri. La comunione, ormai, è vissuta come uno stress: prima di tutto la sala (menu medio 80 euro, l’abito (500-1000 euro), i fiori, il fotografo, le bomboniere. E, se avanza tempo, la catechesi. Ma quanto costa una festa? Difficile fare un calcolo preciso: di certo, se si considera il taglio «medio» di una comunione, il costo non va al di sotto dei 5mila euro. Ci riferiamo a una cerimonia con 25-30 persone. Ma in gran parte dei casi i numeri degli invitati sono destinati a salire vertiginosamente, come se si trattasse di un matrimonio. Una delle zone più «sensibili» alle tradizioni segnate dall’opulenza è la città vecchia: ogni anno - qui le comunioni si celebrano a ottobre - c’è una vera e propria corsa a chi fa la festa «in grande». L’obiettivo finale? Far parlare di sè e lasciare «traccia» nel tam tam dei vicoli. Poco importa, poi, se la mattina dopo la crimonia, non ci sono i soldi per pagare le bollette della luce. Insomma, le comunioni da tempo non sono considerate più quello che rappresentano: la tappa di un percorso di fede in cui, oltre al bambino, anche i genitori dovrebbero dare il buon esempio. Eppure questo «linciaggio» al sacramento riguarda soprattutto le famiglie meno abbienti, mentre quelle più «ricche» spesso circoscrivono tutto a una festa intima in famiglia. Ma ciò lascia spazio ad altri interrogativi. Vi siete mai chiesti, ad esempio, quante gente torna in chiesa dopo la comunione? Dire il 50 per cento è già tanto. O ancora: quanti genitori accompagnano il bambino all’altare unendosi alla comunione con Cristo? O seguono il percorso di catechesi? Più andiamo avanti e più la percentuale diminuisce. Intanto, nonostante gli anatemi lanciati dai parroci, la «mensa dei frutti di mare» ha la meglio sulla «mensa del Signore». Davvero la Chiesa non può far nulla per frenare questa vergogna?NICOLA PEPE