Michele Castoro: “Voglio morire di giorno quando c’è la luce”

 

«Voglio morire di giorno, quando c’è la luce e ascoltando la Parola di Dio e voglio intorno a me un gruppo di frati che intonino l’Alleluja»: era stata la richiesta di Michele Castoro, vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, al padre Francesco Dileo, rettore del Santuario di San Pio. “Morire quando c’è la luce”: cioè consapevole, accompagnato dalla comunità con il canto dell’Alleluja. L’accettazione pasquale del passaggio alla casa del Padre l’aveva espressa anche nel testamento scritto il 2 aprile, lunedì dell’Angelo, due giorni prima dell’ultimo ricovero nella Casa Sollievo della Sofferenza. Testamento che termina con la parola “Alleluja”:

In questo lunedì dell’Angelo […], desidero testimoniare ancora una volta la mia gioia di cristiano, di prete e di Vescovo […]. L’insorgere della malattia e l’avvicinarsi dell’anzianità mi mettono davanti all’orizzonte della vita eterna […] che ho desiderato lungo tutto il cammino dei miei giorni. In tutto l’amore che ho ricevuto l’ho già assaporata: ne ho intravisto la bellezza nella mia famiglia di sangue, nell’amore che i miei genitori hanno saputo dare a me, alle mie sorelle e ai miei fratelli, in uno stile semplice e laborioso, che ci ha nutriti ed incoraggiati. L’ho scorta soprattutto nella evangelicità della vita ecclesiale [rievoca i compiti ai quali è stato chiamato e il rapporto con i Papi fino a Francesco: “maestro per me di evangelico ardore”]. La stessa luce che brillava negli occhi dei Sommi Pontefici l’ho ritrovata nello sguardo dei bambini nelle parrocchie che ho visitato, degli ammalati che a san Giovanni Rotondo hanno trovato cura e speranza, dei tanti fratelli e sorelle che il ministero episcopale mi fa incontrare. Sì, davvero la Chiesa è bella, davvero in essa assaporo già che cosa sarà la vita eterna […]. Non voglio lasciare questa vita terrena portando rancore a nessuno […] e perciò chiedo a tutti il dono della misericordia fraterna, che volentieri da parte mia a tutti offro. Anche questa misericordia offerta e ricevuta tra fratelli esprime la bellezza della Chiesa, ne è forse la parte migliore […]. Il Nome benedetto di Gesù [“In nomine Jesù” era il suo motto di vescovo] mi accompagna e mi custodisce nei giorni del mio pellegrinaggio terreno […]. Amen! Alleluja!

La malattia l’aveva avvicinato ai sofferenti, aveva addolcito il rapporto di collaborazione non sempre facile con i francescani responsabili del Santuario, l’aveva reso ancora più “grato” della predicazione evangelica di Papa Francesco, della quale aveva parlato così, nell’accoglierlo in visita a San Giovanni Rotondo il 17 marzo: “In questi anni lei ci sta facendo vivere una nuova primavera dello Spirito, ha riaperto alcune pagine del Vangelo, per farci risentire la freschezza della tenerezza di Dio e la carezza della sua misericordia. Grazie perché, ancora una volta, durante questa visita si è chinato sulle ferite di chi soffre, soprattutto dei nostri bambini ammalati e delle loro famiglie, in continuità con la sua enciclica dei gesti che ogni giorno ci presenta la Chiesa come la locanda del buon samaritano. Grazie per la premura e l’affetto che ha voluto manifestare verso la mia persona, in special modo in questo periodo segnato dalla fragilità della malattia”.

“Sono pronto all’incontro con il Signore risorto” diceva a chi andava a fargli visita negli ultimi giorni. Di quelle conversazioni hanno dato conto Stefano Campanella nella cronaca dell’addio [“Voce di Padre Pio” giugno 2018, pp. 80ss] e la nipote Marta, nel saluto allo zio al termine della messa di addio: «Quanti venivano da te per darti conforto andavano via rinvigoriti dalla tua serenità e dalla tua fede».

Il vescovo Michele è morto il 5 maggio 2018. Le esequie, presiedute dal cardinale Pietro Parolin segretario di Stato (prima di diventare vescovo aveva lavorato per vent’anni nella Curia Romana), si sono tenute il 7 maggio nel Santuario di San Pio da Pietrelcina. È stato sepolto nel cimitero di Altamura, città dov’era nato. «Gradirei che il mio corpo venga deposto nella nuda terra – aveva scritto nel testamento – tra la gente comune. Sulla mia tomba ci sia una semplice croce, con nome e cognome, vescovo, data di nascita e di morte».

Michele Castoro ha lasciato un buon ricordo, sia negli ambienti della Santa Sede dove ha lavorato, sia in seno alla Conferenza episcopale pugliese, di cui ultimamente era il segretario. Gli venivano riconosciute buone doti organizzative. “Ciò non gli ha impedito – mi dice il collega Mimmo Muolo che è pugliese e che l’ha conosciuto da vicino – di essere pastore attento alle esigenze della gente, specie in una diocesi fecondata dal grande esempio di santità di padre Pio, ma per questo esposta anche al rischio di una dicotomia spirituale facilmente comprensibile”.

 

In questa pagina del sito internet dell’Opera Padre Pio puoi trovare foto, audio e testi della messa di addio celebrata il 7 maggio 2018 nella Chiesa di San Pio a San Giovanni Rotondo, presieduta dal cardinale Parolin:

https://www.operapadrepio.it/it/comunicazione/archivio-news/news/4713-finezza-d%E2%80%99animo,-mitezza-e-mansuetudine-cos%C3%AC-il-cardinale-parolin-ha-ricordato-monsignor-castoro.html

Nel testo del servizio si trovano i link all’omelia del cardinale, alla “lettera ricordo” dei familiari letta da una nipote, al testamento che di seguito riporto per intero. Le parole del vescovo sul “morire di giorno” e sul canto dell’Alleluja sono invece in questo articolo di Stefano Campanella: https://www.teleradiopadrepio.it/trigesimo-di-mons-michele-castoro-su-padre-pio-tv-presiede-il-cardinale-tarcisio-bertone/

[Giugno 2018]

 

Appendice

Testo integrale del Testamento di Michele Castoro

Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo

In questo lunedì dell’Angelo, illuminato dalla luce della Resurrezione, avendo ancora vivide negli occhi e soprattutto nel cuore, le parole e le immagini della visita di Papa Francesco a San Giovanni Rotondo il 17 Marzo 2018 e la commovente lettera autografa che il Pontefice mi ha scritto all’indomani della sua venuta ripenso all’intero arco della mia vita. In particolare, al dono della vocazione sacerdotale – che quarant’anni fa ha trovato il suo compimento nell’Ordinazione ricevuta nella cattedrale di Altamura e desidero testimoniare ancora una volta la mia gioia di cristiano, di prete e di Vescovo. “Rendo grazie al tuo nome per la tua fedeltà e la tua misericordia” (Sal 137, 2). L’insorgere della malattia e l’avvicinarsi dell’anzianità mi mettono davanti all’orizzonte della vita eterna, quella vita beata ed incessante che oso sperare dalla misericordia di Dio, e che ho desiderato lungo tutto il cammino dei miei giorni. In tutto l’amore che ho ricevuto l’ho già assaporata: ne ho intravisto la bellezza nella mia famiglia di sangue, nell’amore che i miei genitori hanno saputo dare a me, alle mie sorelle e ai miei fratelli, in uno stile semplice e laborioso, che ci ha nutriti ed incoraggiati, ispirandoci ogni giorno lungo le vie delle nostre vite. L’ho scorta soprattutto nella evangelicità della vita ecclesiale, sgorgata per me dal battesimo che mi ha fatto rinascere e poi vivere per sempre in questa seconda famiglia, quella di fede, prima ad Altamura, poi in seminario a Bari e a Roma, sotto la protezione della Madonna della Fiducia, e di nuovo ad Altamura nei primi anni di ministero, fino al lungo ed entusiasmante servizio alla Santa Sede, vissuto per vent’anni, dal 1985 al 2005. Sono stati anni in cui ho imparato ad amare e servire la Chiesa, esprimendo così con tutto me stesso la gratitudine per quello che in essa ho ricevuto: la fede, la conoscenza del nome di” Gesù, il vangelo, la grazia, la fraternità! Che grande dono avere vissuto in essa! Mai potrò riuscire a dire compiutamente il mio grazie al Signore per la luce della maternità ecclesiale. Tutto ciò che ho fatto nel mio ministero, tutto ciò che ho detto e realizzato, tutto il servizio che con la mia povera vita sono riuscito a portare avanti, non è stato che il modo per ringraziare Dio di quanto mi ha donato attraverso la Chiesa. Ho scelto di donare la mia vita perché potesse continuare a crescere il mistero che Sant’Alberto Magno descrive così: “giorno per giorno la Chiesa partorisce Cristo stesso nei cuori di chi ascolta per mezzo della fede” (Commento all’Apocalisse 12,5).

La Provvidenza, attraverso le sue vie misteriose, mi ha portato ad essere vicino al Papa san Giovanni Paolo II, che ho servito con lealtà ed umiltà nella Congregazione per i Vescovi; mi ha condotto ad essere unito in modo particolare al Collegio Cardinalizio, nel mio ufficio di Archivista e di Sostituto della Segreteria, conoscendo da vicino anche colui che del Papa santo sarebbe stato il successore sul soglio di Pietro, il grande ed umile Papa Benedetto XVI.

Quanta inaspettata grazia, quanti doni immeritati sono usciti dalla mano del Signore per me. Mai avrei pensato che quel bambino di Altamura che voleva diventare prete avrebbe poi gioito di tanta straordinaria ecclesialità. Voglio esprime-re con sincerità a tutti che sempre mi sono sentito piccolo mentre percepivo di servire il cuore della Chiesa, e che l’ho amata più di me stesso. E quando attraverso di essa Dio mi ha chiamato a diventare Vescovo, di Oria prima ed ora di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, ho accettato di prendere il mio bastone di pellegrino e di partire proprio per continuare a dire il mio grazie a Colei che ho sempre sentito madre e maestra. Oggi lo faccio illuminato ed ispirato dal magistero di Papa Francesco, maestro per me di evangelico ardore. Tornato nella mia terra dopo aver vissuto tanti anni nella Città Eterna, il Signore mi ha fatto gustare quanto il volto della Chiesa sia bello sempre, e quando si rivela nei tratti di quello dei suoi grandi Pastori, e quando esso riluce in quello dei suoi figli più piccoli.

La stessa luce che brillava negli occhi dei Sommi Pontefici l’ho ritrovata nello sguardo dei bambini nelle parrocchie che ho visitato, degli ammalati che a san Giovanni Rotondo hanno trovato cura e speranza, dei tanti fratelli e sorelle che il ministero episcopale mi fa incontrare, ascoltare, accompagnare. Sì, davvero la Chiesa è bella, davvero in essa assaporo già che cosa sarà la vita eterna, che chiedo al Signore per me malgrado i miei peccati e le mie mancanze.

Di essi chiedo perdono, a Dio e a tutti coloro ai quali posso aver fatto del male, soprattutto con le mie omissioni, che mi hanno impedito di compiere tutto il bene che invece avrei potuto e dovuto realizzare. Da parte mia non voglio lasciare questa vita terrena portando rancore a nessuno, e davvero posso dire di non provarne per alcuno. So bene che la fragilità e la povertà della nostra condizione creaturale ci porta nei rapporti tra di noi a non essere sempre capaci di amore e di rispetto, so di essere rimasto anche io condizionato da questa limitatezza, e perciò chiedo a tutti il dono della misericordia fraterna, che volentieri da parte mia a tutti offro. Anche questa misericordia offerta e ricevuta tra fratelli esprime la bellezza della Chiesa, ne è forse la parte migliore.

Continuo il mio cammino in nomine Jesu, finché Egli vorrà, pronto a servire i miei fratelli sulla terra, ma anche a far fiorire questo servizio in una lode eterna al cospetto di Dio. Il Nome benedetto di Gesù mi accompagna e mi custodisce nei giorni del mio pellegrinaggio terreno, è stato ed è ogni giorno la mia ispirazione e la mia gioia nel servi-zio pastorale, guidato dallo Spirito Santo. Lo stesso Nome di Gesù vorrei che fosse il motivo della mia lode nell’eternità del Paradiso, che con il cuore contrito ed umiliato invoco dal Padre, per intercessione della beata vergine Maria, madre del-la Chiesa, e dei Santi Barsanofio, Michele arcangelo, Lorenzo Maiorano e Pio da Pietrelcina. Amen! Alleluja!

Manfredonia, 2 aprile 2018 – † Michele Castoro (firma autografa)