La festa di S. Maria di Merino non è solo un movimento di massa, sostenuta da una magica coreografia e accompagnata da singolare folclore. Tentarne una lettura serena e spiritualmente libera significa entrare nello spirito della festa stessa, capire il suo grande messaggio.
A noi che la viviamo puntualmente ogni anno sembra non dire più di tanto.
Tutto appare normale, omologato, tutto scontato. La consuetudine e l’assuefazione appannano lo smalto e la vivacità anche alle realtà più profonde, più impegnative della vita. Voglio compiere un gesto che ci è familiare. Come la brava massaia, amante della pulizia della propria casa, impugna lo straccio e pulisce, così voglio togliere la polvere del tempo e della consuetudine dalla nostra splendida festa a Maria. Indipendentemente dal fatto se la struttura della festa si è imposta nell’insieme ad un certo momento o se è venuta formandosi poco per volta. Chi l’ha pensata e messa in atto ha certamente voluto annetterle un profondo significato di fede, un grande valore storico.
Provo ad evidenziare e leggere i momenti, le tappe della festa.
Va subito detto che la festa di S. Maria di Merino non si riduce agli ultimi tre giorni: veglia – festa – chiusura. Fanno parte integrante della festa i sabati del pellegrinaggio (7-8 ogni anno a cominciare dal primo sabato di marzo), il rito dell’intronizzazione f30 aprile), il novenario (30 aprile – 8 maggio), i primi vespri solenni (8 maggio sera), la discesa del Simulacro la sera della vigilia, la giornata della festa (9 maggio), la chiusura (10 maggio) e l’ottavario (16 maggio).
PELLEGRINAGGI
Iniziano il primo sabato di marzo e si protraggono per tutti i sabati di marzo e di aprile: se n’eccettuano il sabato santo e l’ultimo di aprile quando cade il 30, giorno dell’intronizzazione della Madonna. Complessivamente quindi sono sette oppure otto nell’anno, cui vanno aggiunti quello del giorno della festa e quello dell’ottavario.
Una prima annotazione: i sabati di S. Maria sono legati alla liturgia. Essi sono una lunga preparazione alla festa, ma che si accompagnano alla liturgia del tempo. Per la prima parte (i pellegrinaggi di marzo) la pratica del pellegrinaggio si pone accanto alla liturgia quaresimale e cammina con essa. La messa, che si celebra al Santuario all’arrivo dei pellegrini, è quella quaresimale. La proposta liturgica, attraverso la Parola, è un richiamo allo spirito quaresimale: la conversione e il ritorno a Dio in penitenza. Tale proposta riceve maggiore impulso dalla condizione pellegrinante del popolo presente.
Gli altri sabati o pellegrinaggi cadono nel periodo pasquale. Una sosta al Sabato Santo, una pausa di riflessione necessaria per verificarsi e celebrare nella gioia la Pasqua di Risurrezione. Questo spirito gioioso si protrae per gli altri sabati dopo la Pasqua nell’esercizio della novità di vita. Ancora una volta la Parola di Dio guida e nutre i passi del pellegrino. Il pellegrinaggio non è una pratica cervellotica, bensì un cammino di purificazione e di gioia, che trova nella liturgia la pedagoga.
pellegrinaggio, però, non è solo questo. “E un momento espressivo della vita dei credenti. Esso evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore: è esercizio d’ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore” (1). In tutte le religioni, di tutti i tempi, il pellegrinaggio ha sempre avuto un ruolo principale tra le espressioni di vita di fede. Lo ha avuto soprattutto nella religione ebraica, dove il pellegrinaggio è stato prima un fatto di vita sociale e poi religioso. La Legge prevedeva un triplice pellegrinaggio in un anno per celebrare le tre grandi feste: Pesach, Shavuot, Succot. Gesù stesso ha vissuto questi pellegrinaggi durante la sua vita dai dodici anni in poi.
Anche la nostra religione ha incoraggiato il pellegrinaggio, in particolare alla tomba di Cristo e dei martiri.
Li incoraggia tuttora perché ogni pellegrinaggio è una presa di coscienza di essere in cammino verso la patria vera. Come il pellegrino, l’uomo che cammina sulla strada della vita sente il disagio dell’andare e la fatica ed è spinto a guardare alla sua dimora eterna.
La nostra festa patronale si dispiega per lungo tempo sull’esperienza del pellegrinare. L’andare e il ritornare a piedi verso e dal Santuario implica un costante impegno a riscoprirsi nella condizione di pellegrino, senza fissa dimora, su questa terra. Canti struggenti in questo senso canta il nostro popolo pellegrino:
Siano pellegrini e siamo figli tuoi,
Santa Maria di Merino, prega per noi.
Chi ha pensato di organizzare la festa con una pratica così lunga di pellegrinaggio, ha tenuto certamente presente la situazione dell’uomo viatore e lo ha disposto alla celebrazione della festa mariana patronale, perché questa lasci i segni di fede vivi nel suo cammino di vita.
INTRONIZZAZIONE E NOVENARIO
Nel rituale della celebrazione della festa a Maria è prevista l’intronizzazione. Alla Madonna in trono si riconosce la regalità e la sua mediazione esemplare.
Il gesto dell’intronizzazione riveste un carattere d’eccezionale solennità. L’esperienza insegna che non accade la stessa cosa in altri luoghi dove la Madonna viene intronizzata. E per lo più un rito semplice, uno spostare da un luogo all’altro il simulacro sacro, senza particolari contorni. A Vieste invece la Madonna è intronizzata in un contesto intenso di riti significativi.
La chiesa Cattedrale è gremita all’inverosimile. Tutti si fanno un onore, un impegno per garantire la propria presenza. Si sceglie così di diventare protagonisti presenti al momento in cui la Madonna, prima d’essere intronizzata, passa in mezzo al suo popolo, per creare il primo contatto diretto con la propria Patrona. Difatti, con l’emozione che riempie l’assemblea per tutto il tempo della durata della cerimonia, è possibile sentire il fremito del popolo, mentre la Madonna viene prelevata dal suo abitacolo abituale, la sua nicchia, sull’altare presa a braccio e, dopo aver attraversato tutta la navata, viene posta sull’altare, e quindi in trono, sul palco appositamente preparato. Il fremito diventa commozione che si scioglie in pianto, si esprime in grida, mani protese, frammiste al canto che accompagna. E impressionante la dimensione di questo fenomeno d’accompagnamento da parte di tutto il popolo. In effetti, in quegli attimi, tutti si sentono e si vedono nei pochi fortunati che hanno la bella sorte di poter toccare, prendere e portare la Madonna. Non solo la presenza, c’ero anch’io, ma il contatto, attraverso l’immagine, con il divino.
Nella storia delle religioni il contatto con il divino è costantemente ricercato e praticato, fino all’immedesimazione, attraverso una pratica iniziatica intensa. E questo il fine della religione. La religione ebraica in particolare, cui noi siamo debitori, non vive senza questo contatto – presenza viva con il suo Dio. La nube era segno di questa presenza. L’accompagna nel deserto e ricopre il Tempio e l’Arca dell’Alleanza. La certezza della presenza divina è protezione e vita.
Nel cristianesimo il contatto diventa ipostasi, Dio si fa creatura umana per essere uomo tra gli uomini. L’immagine sacra, non vissuta come idolo, è la mediazione per questo contatto diretto. Il pianto e le grida non sono solo invocazioni, sono anche gioia e commozione per la protezione accordata e ritrovata in Dio per Maria.
Una ridda di sentimenti pervade l’anima di ciascuno che non è lì solo a nome proprio, ma rappresenta gli assenti, vicini e lontani, rappresenta anche i trapassati, forza della tradizione, che questo momento di profonda gioia e di fede ha garantito e trasmesso. Fortunato chi riesce a toccare, passando, la sacra statua; sembra garantirsi, attraverso il contatto, uno sguardo di predilezione e un’attenzione particolare di Dio e di Maria, la Madre, come dicono i canti che accompagnano questi momenti. Per continuare questo contatto, molti si fanno asciugare, ora o in altri momenti, il volto di Maria con pezzuole o fazzoletti bianchi appositamente preparati. Per taluni sarà il fazzoletto o la pezzuola, che ha toccato la Madonna, a ritornare utile nei momenti di dolore, di malattia, di sofferenza, facendola passare sulla parte del corpo interessata. C’è chi afferma di aver ricevuto particolari favori grazie a questo fazzoletto, che diventa oggetto di vera e propria venerazione. Il fazzoletto che ha toccato la Madonna garantisce la continuità del contatto e la possibilità del favore divino.
Sventolano in questo momento i fazzoletti in segno d’affettuoso saluto e devozione. Quell’icona che ha guardato i suoi figli dall’alto dell’altare per tutto un anno, ora è in mezzo al popolo. La sacra immagine sembra passare di mano in mano dall’altare della Cappella all’altare maggiore. Centinaia di sguardi la seguono trepidanti. Maria diventa regina. Occhi umidi di lacrime, nodi alla gola, cuori commossi in questo splendido momento che si vorrebbe durasse nel tempo. Maria domina dall’alto la pietà del suo popolo devoto.
Tutti pregano, tutti l’invocano, tutti l’ammirano su quel trono di gloria e di grazia che il popolo ha preparato per la sua Regina e Sovrana: trono sontuoso e diverso ogni anno, segno e simbolo della pietà del popolo e della regalità di Maria. La Madonna è finalmente al suo posto per la festa.
Può iniziare la messa e la meditazione sulla Madre di Dio, che durerà per tutto il tempo della novena. Il popolo non lascia sola Maria in questi giorni. Una processione di gente, interminabile, caratterizza queste giornate. Si va a guardare la Madre. Tutti si fanno un onore partecipare almeno una volta al novenario, che è festa a Maria, culto e riflessione. Al centro, il mistero Trinitario, come molto bene esprimono le parole della novena, cantata ogni sera dall’officiante con dolce cantilena. L’atmosfera è sempre calda, struggente, popolare.
I VESPRI SOLENNI
L’otto maggio è giornata di vigilia. Coincide con la festa di S. Michele Arcangelo. A sera, il cuore della giornata. Il Vescovo, vestito d’abiti pontificali, fa il suo ingresso solenne nella Cattedrale stipata di gente in ogni ordine e grado. Lo precede il Capitolo al gran completo, il Clero e il gonfalone dell’Amministrazione civica con tutte le autorità civili e militari e il Comitato per le festività.
Il Vescovo prende posto sul faldistorio al centro del presbiterio, circondato dal Capitolo e dal Clero. Ai primi banchi siedono le autorità. Il primo atto previsto dal cerimoniale è l’omaggio del Capitolo e del Clero al Vescovo, seguita dall’offerta floreale e dei ceri da parte del primo Cittadino e del presidente del Comitato per le festività al Vescovo, residuo di un antico impegno di cui la municipalità si era fatto carico all’atto della costruzione della Cappella dell’Università. Si prosegue con la celebrazione dei Vespri solenni, presieduti dal Vescovo, cui tutto il popolo partecipa con il canto. La preghiera, questa preghiera, prepara immediatamente la festa della Madonna. Fa seguito la preghiera a Maria Protettrice e la benedizione eucaristica. Quindi il Vescovo si ritira con il Capitolo e il Clero in Episcopio, dove riceve il saluto delle Autorità. La gente in chiesa continua con il canto nell’attesa della discesa di Maria dal trono, che l’ha vista Regina durante il novenario. E festa piena.
LA DISCESA
L’ora fatidica si avvicina, mentre la chiesa Cattedrale continua a rimanere gremita di gente che vuole diventare testimone e protagonista anche di questo bellissimo momento. Anzi ai presenti se ne aggiungono altri e la folla diventa inverosimile. Sono tutti lì nell’attesa del momento che giunge a rinnovare le emozioni e le suggestioni. Tra il canto e le lodi, la Madonna dal trono è portata di nuovo in mezzo al suo popolo. Nessuno si perde un attimo di questo momento; occhi e mani seguono con apprensione lo spostamento della sacra immagine: è poggiata su un piedistallo preparato per la circostanza nella sua splendida e dorata portantina.
D’ora in avanti Maria è di tutti, del popolo. Cominciano a sfilare i fedeli: mani protese al bacio, fazzoletti da passare sul volto di Maria, occhi lucidi di commozione; troppa gente in poco spazio. Si va avanti anche a spintoni. L’unico desiderio è di toccare l’immagine e sentirsi per un momento invasi dalla misteriosa potenza risanatrice di Maria e rimanere con questa sensazione nel cuore, nella mente, nella memoria il più a lungo possibile. La folla sfila non senza difficoltà, raccolta e attenta. A volte prevale il disordine, la confusione, ma il tutto è nel cerimoniale rigido e secolare. Tutto è omologato.
É bello fermarsi un po’ lontano dalla mischia per osservare e cercare di capire questo movimento interminabile, che dura fino a tarda notte. Il sentimento prevalente della gente è la commozione. Sembra trovarsi bene questo popolo con la sua Madonna e viceversa.
Con la commozione spesso si accompagna la speranza e l’implorazione. Non mancano volti segnati dalla sofferenza, protesi verso il volto dolcissimo di Maria nell’attesa di una grazia, di un favore che tarda a venire. É tutto là il popolo di Vieste, soprattutto di quanti, esuli, fanno ritorno per la circostanza al proprio paese; sono tutti lì i bisogni, le preghiere, le istanze del popolo, che per intervento di Maria chiede salute fisica e spirituale.
Ad uno sguardo estraneo, disattento od ostile, tutto ciò può apparire fanatismo, esibizionismo, protagonismo, caos, e forse in parte lo è. Non manca neanche chi classifica simili gesti come idolatrici. Chi conosce il popolo di Vieste sa che tutto questo è cuore, non formalità. Da ora e per tutta la giornata di domani la Madonna è del popolo e il popolo la possiede con il cuore e con lo sguardo e, domani, con l’autorità. Il registro che domina la scena è la gioia, la festa, che è espressa con il canto ininterrotto, che si fa sublime preghiera: sublime, perché esprime sentimenti grandi e nobilissimi in un contenitore musicale popolare, ricco, sentimentale; preghiera, perché riesce ad evocare tutti i sentimenti del cuore e ad esprimerli con parole toccanti.
Si fa notte. S’interrompe la processione dei fedeli verso la Cattedrale. In quella chiesa ci sono tutti i cuori dei viestani, pronti all’indomani ad esplodere con tutta la potenza e l’energia accumulata in questi giorni.
IL 9 MAGGIO
É la giornata per eccellenza. Di questa splendida, indimenticabile giornata diremo nel capitolo seguente.
LA CHIUSURA
La stanchezza del lungo e faticoso pellegrinaggio non ha affievolito il vigore dei fedeli. Di buon mattino, una numerosa rappresentanza di fedeli è di nuovo lì, in Cattedrale, per la messa e la reposizione della Madonna. Maria è a stretto contatto con il suo popolo davanti al presbiterio. Si celebra la messa e, appena terminata, inizia l’ultimo atto: l’ultimo saluto, l’ultimo canto e la sacra immagine è di nuovo sollevata e trasportata nella sua nicchia nella Cappella. E tanta la folla che si ha la sensazione che la Madonna passi di mano in mano fino al suo posto. Oggi, come al 30 aprile, si odono grida, invocazioni, preghiere, canti in un unico concerto di fede e d’amore. Si assiste con partecipazione all’ultimo momento della festa a Maria. E quando la Madonna è ritornata nella sua Cappella, gli occhi di tutti si fermano per l’ultimo sguardo e l’ultimo canto. Pian pianino la gente, commossa, comincia a sfollare. Si torna alle occupazioni quotidiane. La festa è finita. Non fosse per il cuore dei viestani che batte per Maria, sembrerebbe che la Statua se ne stia in quella solitudine come in un esilio.
D’ora in poi la preghiera a Maria sarà individuale e silenziosa fino al 6 agosto, quando il rito si ripeterà integralmente in maniera ridotta per il novenario e la festa dell’Assunta, cui è dedicata la Cattedrale. Maria non si sottrae mai al popolo viestano. E lì per ascoltarli, incontrarli, parlare in un dolce colloquio d’amore.
L’OTTAVARIO
La festa ha uno strascico, un’appendice. Otto giorni dopo, il popolo si rimette in cammino, per ringraziare. Qualcosa nel rito cambia. Non più stendardo, non più lunghe preghiere e rosari. Si raggiunge il Santuario per dire grazie al Signore per Maria. Egli continua ad operare tra noi cose meravigliose. E la festa a Maria è una cosa meravigliosa che Dio concede al suo popolo di celebrare d’anno in anno. Anche se non compare tra i canti della giornata, il Magnificat è la preghiera che meglio interpreta i sentimenti che sono nel cuore dei viestani, lì presenti, come sempre, numerosi. L’anima dei viestani magnifica il Signore e il cuore esulta in Dio suo salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva che è proclamata beata da tutte le generazioni cristiane. Dio ha compiuto e compie cose grandi in mezzo al suo popolo tramite Maria. Il Nome del Signore è grande per chi lo ama e si è scelto Maria come modello ed esempio. Si celebra la messa di ringraziamento e a mezzogiorno si prende la strada del ritorno.
Il rientro è alla spicciolata, si fa ritorno a casa con una sosta a S. Lorenzo. Una numerosa rappresentanza di popolo attende sulla collina il ritorno dei pellegrini. Si fa sosta e festa insieme. Alla fine si ricompone il gruppo e si arriva alla Pietra grande della Madonna, dove si scioglie, dandosi l’arrivederci al prossimo anno.
Non è fuori luogo fare un accenno ai personaggi, alcuni storici e famosi, che animano il cammino dei pellegrini. Sono uomini e donne di grande fede e di vita semplice, che riescono ad esaltarsi ed esaltare con la devozione viscerale a Maria durante tutto il periodo della festa. Alcuni di questi personaggi diventano istituzioni, punto di riferimento per tutti, in specie per i giovani, per quello che riescono ad esprimere in queste devozioni. Sono quelli che, raccolta l’eredità degli avi, la tradizione, assicurano la trasmissione fedele, scrupolosa e integrale di quanto essi stessi hanno ricevuto. Garanzie d’autenticità. La festa a Maria è giunta fino a noi tramite loro, grazie a loro.
NOTA
1 – Giovanni Paolo II, lncarnationis Mysterium
merino, il santuario, la festa
don giorgio trotta
Inviato da: forddisseche
il 25/12/2024 alle 07:37
Inviato da: GiuliettaScaglietti
il 13/06/2024 alle 16:24
Inviato da: cassetta2
il 12/10/2023 alle 19:22
Inviato da: Dott.Ficcaglia
il 28/06/2023 alle 13:50
Inviato da: cassetta2
il 22/08/2022 alle 16:08