Creato da LivinginFortaleza il 16/12/2009

Fortaleza Report

Giorno dopo giorno da Fortaleza

 

 

Musica dal Brasile

Post n°682 pubblicato il 21 Settembre 2012 da LivinginFortaleza
 

Venha, veja, deixa, beija,

seja o que Deus quiser..

uma despedida..

Caetano Veloso canta " Chuva, suor e cerveja"

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°681 pubblicato il 08 Giugno 2012 da LivinginFortaleza
 

Seu Jorge canta "Burguesinha"

 
 
 

Pennellate cearensi

Post n°680 pubblicato il 01 Giugno 2012 da LivinginFortaleza
 

 

Kleoman/Chico da Silva

 

Tereza Daquinta/ Rian Fontenele

 

Diego Akel/ Heloysa Juaçaba

 

Vando Figueredo/Maciej Antoni Babinsky

 

Luiz Hermano/Bruno Dourado

 

Murilo Texeira/Rock

 

Juraci Lira/Leo Bdss

 

Nice Firmeza /Chico da Silva

 

Ise Araujo/ Descartes Gadelha

 

Claudio Cesar / Audifax Rios

 

Brasil Cantidio/ Grupo Acidum

 

Everton Luiz Silva/ Claudio Cesar

 

Nogueira/Chico da Silva

 

Jabson Rodrigues/Sinhà d'Amora

 

Estrigas/Antonio Bandeira

 

Aldemir Martins/Bruno Dourado

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Giocattoli in via d'estinzione

Post n°679 pubblicato il 30 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Mi hanno sempre incantato fin da quando, le prime volte, li ho intravisti, fra cianfrusaglie ed altre mercanzie, accatastati l'uno sull'altro,  messi in fila o raccolti dentro ceste. Li puoi incontrare facilmente, nel centro di Fortaleza, esposti sui marciapiedi sopra un telo lanciato lì da qualche venditore ambulante. O nei negozi di  souvenirs, ferramenta ed articoli per la casa, fra zampe di capra trasformate in bottiglie e bicchieri, grattuggie per il cocco, morsi per cavalli, pentolame e filtri per il caffè.  

Sono giocattoli commoventi, fatti di niente, con materiale di riciclo, soggetti a continui rinnovamenti, incorporano saperi ereditati da generazioni precedenti e mescolano passato e presente. Mi  commuove ancor più il fatto che, se li continuano a fare, qualcuno li comprerà, ancora. Bambini evidentemente non ancora viziati da play station ed eroi virtuali improbabili, che si divertono a lanciare una trottola di legno, a giocare con burattini e marionette, a trascinare con un cordino automobili e camion di latta. Avvolti in sacchetti di plastica, per non farli impolverare, costano pochi reais e mi devo trattenere dal comprarli tutti, per la mia collezione personale. 

  

 

C'è chi, la collezione l'ha fatta ed assai seriamente, giocattoli da museo che finiscono esposti dietro vetrine, raccolte private di appassionati, studiosi con passioni antropologiche, come quel David Glat che ha creato il Museu do Brinquedo Popular a Bahia, come la raccolta presso il Museu do Homen do Nordest a Recife, quella del Museu Emilio Goeldi a Belem, e come la ricercatrice di cultura popolare Macao Goes, la cui bella e ricca collezione è visibile presso il Memorial da Cultura Cearense a Fortaleza, una delle prime cose che ho visto, arrivata qui. Come dimenticarla, come non apprezzare le marionette con ritagli di stoffa, come non sorridere davanti ad un autobus pieno di dettagli, ad una bottiglia di plastica trasformata in aeroplano, a deliziose miniature di casa di bambole, dove non manca niente, dai mobili alle suppellettili, piccolissime, c'è pure il vaso con i fiori..

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

Anche se semplice, povera, popolare, è di cultura che stiamo parlando, una cultura spazzata via da bambole parlanti e giochi elettronici, veri aggeggi infernali i giochi contemporanei. La varietà dei giocattoli in mostra è davvero ampia, tante bamboline di stoffa artigianali, nella versione Lampião e Maria Bonita, mulatte e bionde, novelle spose con sposi altrettanto novelli, barchette di legno colorate  e jangadas in miniatura, elicotteri e aeroplanini di vari materiali e fogge, girandole colorate, altalene, macchinine e ruspe, il bus scolastico e il pulmann turistico.. e poi marionette e bellissimi segnavento, con le pale che girano e i personaggi  che si muovono. I  camioncini- forse i più complessi, composti da più pezzi, poi assemblati. Si utilizzano latte d'olio riciclate, pulite e tagliate con cesoie, pezzi di cassette da frutta e legno,  pezzi di pneumatico di trattore diventano ruote, il cambio e lo sterzo in fil di ferro. Colori sempre molto forti, azzurro, giallo, rosso, tutt'al più bianco. Assai realistici per le rifiniture precise, copiate da fotografie, fasce dipinte nella carrozzeria, specchietti retrovisori, tubi di marmitte, antenne per la radio. 

Giocattoli fatti da tempo immemorabile, da artigiani sognatori, poco cresciuti o con la voglia, rimasta intatta, di sentirsi ancora un pò bambini. Venduti nelle fiere di paese, quelle nordestine, tipiche, dove si trova di tutto e tutti ci vanno, dove si mangia in baracchette di poche pretese ed è tutto cucinato lì davanti, "na hora"  (sul momento), dove si vocifera, si urla, si chiacchera, dove puoi ancora incontrare un poeta, dove puoi ascoltare un cordelista  che con microfono alla mano - si è anche lui modernizzato - declama versi. Fiere come quelle di Crato o di Juazeiro do Norte. Alcuni si sono specializzati in qualcosa, hanno, come dire un cavallo di battaglia- c'è Zè do trem (ossia Giuseppe del treno) che a Juazeiro fa solo locomotive e vagoni, oltrechè rotaie di legno e riproduzioni di stazioni ferroviarie disattivate. Quasi uno spaccato di realtà, fra le altre cose, questo mondo dei giocattoli.

 tram (bonde) in miniatura

Il figlio invece, per non  far concorrenza al padre, quasi una forma di rispetto, ha deciso di diversificare la sua produzione e costruisce trattori, camion e sopratutto elicotteri. Anche se abitano in luoghi assai distanti dalla capitale, dove non è facile reperire pezzi e  materiali, si adeguano e sanno, il più delle volte, riciclare di tutto, anche pezzi che non sono riusciti a vendere. Vengono esposti davanti casa, sui marciapiedi, lungo  le strade che portano dritte dritte alla statua di padre Cicero, quella che attrae turisti e pellegrini, nella speranza di attirare qualche acquirente, anche loro.

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

C'è chi impara dal padre e chi da un artigiano, come Josè Mauricio che ha sempre lavorato nella bottega di uno stagnino e fra una grondaia e l'altra, fra lampadine e bacili, si diverte anche a fare giocattoli, navi in particolare. E' un perfezionista e cura tutti i dettagli, attento alle più piccole rifiniture.  Anche Zè do Avião (letteralmente "Giuseppe dell'aereo") è appassionato di mezzi di trasporto, ma aerei.. a casa sua ne ha due esposti belli grandi, non sono proprio aeroplanini i suoi, misurano un metro e mezzo, un jet ed un boeing, come quelli che atterrano nel piccolo aeroporto della cittadina cearense. Da un tronco di umburana, realizza capolavori, con tanto di turbine, scalette, ruote e strumenti di navigazione, tutto copiato dalle riviste. Ne ha persino uno a forma di pavone, in omaggio al famoso cordel "Il pavone msisterioso". Anche Mestre Francorli (Francisco Dias de Oliveira) di Potengi, è uno specialista di aerei in miniatura, ne ha realizzati più di 96 tipi .. il suo sogno nel cassetto ? Poter volare.

 

collezione Macao Goes. Memorial da Cultura Cearense, Fortaleza

I giocattoli mobili e movibili, la fanno da padrone, c'è  il traca-traca,  educativo  e antico, formato da  tasselli lignei e nastrini di colori differenti che si possono comporre e scomporre a formare figure, lettere dell'alfabeto.  Usato per attirare l'attenzione dei più piccoli nel raccontare loro delle storie, ha un suono inconfondibile, come da nome, onomatopeico.  Il "manè gostoso", è un personaggio del Bumba-me -Boi, la figura dello sciocco, ma è anche un pupazzetto di legno il cui movimento, tramite cordini, è azionato muovendo due aste di legno. Finisce per muoversi come un trapezista che fa piroette e capriole, vere acrobazie con braccia e gambe.

 Ci sono anche i giochini  sonori, come il roi-roi- il cui rumore evoca il suono della cicala- un tempo usato per richiamare i buoi. Costa appena un real questa piccola cassetta cilindrica di argilla, rivestita di carta e tessuto, che agitandola, emette il caratteristico suono. E poi le chitarrine di legno, dipinte, chissà perchè di giallo o di rosso, i fischietti colorati a forma di uccellino, sole, luna o testa d'animale, i tamburelli, e poi trottole (pinhãopião), aquiloni, biglie e le mitiche fionde (baladeiras). Quest'ultime assai rustiche, con un manico in legno appena abbozzato- di arancio, goiaba o jabuti- due elastici ricavati da camere d'aria di pneumatici ed una toppa di cuoio. Proiettili  usati, pietre, palline di terracotta o semi di ricino. Ed ancora lanternine e telefoni di latta, per lo più ricavate da lattine di bevande usate,  pentolini riprodotti alla perfezione, semplici elicotteri con un pannocchia sgranata di mais e piume di gallina, che, con qualche pezzo di stoffa diventano, all'occorrenza, anche delle bamboline..

 

chitarrine e tamburelli in un negozio di ferramenta - Fortaleza

 Le bambole di tessuto sono una diversa dall'altra. C'è chi non ha mai fatto altro nella vita e le considera, affettivamente, tutte figlie sue, magari quelle che non ha mai avuto. Ritagli di stoffa regalati da amiche sarte ed un pò di inventiva, ognuna avrà la sua fisionomia, con abitini che sono un inventario della moda popolare sertaneja.Gonne a ruota o vestitini a fiori, fusciacche e cappellini, capelli a treccia o a chignon, calzoncini e gonne corte. Possono essere piccole, quasi tascabili o alte un metro, con braccia e gambe mobili. Si incomincia dalle gambe, poi si modella il corpo,  le dita, mani e braccia e per ultima la testa. La parte più difficile è il viso, si ricamano a mano ciglia e sopracciglia, occhi, naso e bocca. Alcune bonequeiras amano lavorare in gruppo, sedute in circolo,  e lì a cucire e chiaccherare, altre invece preferiscono stare sole. E non solo figure femminili escono dall'ago e filo,  ma anche bambole ispirate a personaggi reali, con cravatte, cinture e orologi,  cangaceiros, cavalieri, militari, personaggi del reisado, ed anche santi e preti. Possono essere indie e nere, alcune hanno perfino le unghie smaltate. 

 

 

bamboline nei negozi del centro, Fortaleza

Secoli prima le bambole erano di terra cruda. Le donne indie le modellavano per i loro bambini, con argilla e acqua, non ci voleva nient'altro, solo tanta fantasia e manualità.  Pupazzetti di terracotta, abbozzati nei momenti liberi - pochi- magari durante la cottura di pentole e giare. Adesso come allora, non c'è ceramista nordestina che non li sappia fare e quasi sempre chi inizia facendo pentole, finisce poi per plasmare figure. Animali sopratutto, cavalli, buoi e asini, o da cortile, figurine semplici, tipi e caratteri, personaggi, miti e leggende popolare, oppure più complesse scene di vita quotidiana, i venditori, gli artigiani al lavoro, il lavoro nei campi, le fiere, le visite dal dottore, le feste e il folclore. E poi le orchestrine, le coppie che ballano, la donna che fila e quelli che ricama, i santi, la vaquejada e i retirantes (emigranti). Al MAUC (Museu de Arte da Universidade do Cearà) di Fortaleza se ne possono vedere tante, sfilano tra le teche trasparenti, resoconti in miniatura di vita reale, rappresentazione di cose e persone che fanno parte del quotidiano di chi li ha fatti.

 

statuine ceramica popolare (Collezione MAUC, Fortaleza)

 I giocattoli parlano e raccontano. Anche nell'universo ludico si può rintracciare quel processo trans-culturale, tipico del Brasile.  In esso si riflettono influenze differenti, giochi indigeni, africani, provenienti dai diversi continenti.. risulta però difficile stabilire quanto e cosa, ciascuna etnia abbia lasciato. Sicuramente, di origine indios il gusto dell'imitare gli animali, del catturare ed allevare uccellini, la trottola, la peteca (sfera di pelle o paglia, riempita di cotone e con piume sulla sommità, lanciata a mò di volano con il palmo della mano) e le miniature di canoe. Nelle fazendas di canna da zucchero, i bambini neri figli di schiavi africani giocavano con quello che trovavano, e più spesso finivano per diventare loro stessi i giocattoli viventi dei bambini bianchi. Potevano essere usati, maltrattati , e neanche fossero bestie da soma, costretti a trainare carretti o ad essere cavalcati come cavallucci, con una corda al posto delle redini e un ramo come frustino. 

artigiani di giocattoli in miriti,  Abaetuba, Parà

I giocattoli possono intrecciarsi strettamente con la fede, come accade nel Parà. A Belem, ogni ottobre si celebra una delle feste mariane più antiche, sentite e spettacolari, Ciriò di Nazarè. Tanti giocattoli di miriti, una palma tipica - conosciuta anche come buriti (Mauritia flexuosa) - riempono le strade della città, sfilano fra i fedeli dietro la processione alla Madonna, barchette per lo più, ex-voto offerti  per la grazia ricevuta, per la salvezza da un naufragio o da un affogamento, in quella babele di fiumi che è la regione amazzonica. In mezzo alla folla girano gli "homens dos brinquedos" (uomini dei giocattoli), con un asta con vari bracci (girandola) su cui appendono la loro mercanzia (fino a 100 giocattoli), o si concentrano sui gradini della chiesa di N.S. de Nazarè, sui marciapiedi e piazze vicine. Non solo barche e canoe, ma coccodrilli e serpenti,  scimmie, insetti, uccelli,  aeroplani, casette, televisori, tatù (armadilli) radioline, marionette, coppie danzanti,  con colori vibranti, puri, primari, naturali. Ogni anno l'ispirazione cambia, riflette le influenze della città e del quasi immutato universo dei riberinhos (abitanti delle sponde dei fiumi). Giocattoli  fabbricati nel paesino di Abaetuba, a 170 km da Belem, dove la locale coooperativa di artigiani coinvolge più di 350 persone, interi nuclei familiari, tutto ben organizzato, ognuno con una sua specialità, con una gerarchia da rispettare.

 

 barchette ex-voto offerte a N.S. de Nazarè, Belem, Parà

Ma il gioco non sempre è ed è stato riconosciuto come un bisogno essenziale. In vari contesti, soprattutto in quelli di estrema povertà, è stato sempre concepito come una perdita di tempo. Ai bambini delle comunità rurali del sertão è sempre stata richiesta la partecipazione al lavori degli adulti, il loro aiuto nelle faccende domestiche era indispensabile, servivano a questo. Nonostante questa negazione dei diritto a giocare per milioni di bambini, brasiliani e non, l'atto del gioco è sempre stato presente, anche se concentrato in tempi ridottissimi (spesso solo la domenica), perchè, come ha ben scritto l'antropologo L. Camara Cascudo, "la disponibilità al gioco non abbandona mai l'uomo, in tutta la sua esistenza".

"Baladeiras" Jò Fernandes

 
 
 

Mission impossible

Post n°678 pubblicato il 30 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Albert Eckout (1610-1666)- Danza tarairiu

All'indomani della scoperta e della conquista delle nuove terre, circolarono in Europa, oltre a mappe di navigatori, descrizioni di novità varie e stranezze. Ciò che maggiormente suscitava curiosità erano gli indios, abitanti di questi territori  ed il mondo teologico iniziò a porsi delle domande. Queste creature così diverse- ci si chiedeva- facevano parte del genere umano ? Viste le loro abitudini di vita e l'"empietà" in cui erano precipitati, fu subito chiaro che necessitavano di un rigoroso bagno per pulire le loro anime sporche da tanto abominio. Di qui il proliferare di trattati impregnati di una teologia messianica allucinata : l'espansione territoriale della penisola iberica era vista come una missione divina, quello di evangelizzare le nuove terre, un sacro dovere legittimo. Discorsi che invece rispondevano alla necessità di attribuire una qualche "dignità" formale ad una mera guerra di conquista e sterminio.

 

xilografia di Theodore De Bry- "America" (1592)

In un primo momento visti come un popolo buono, bello, puro, prodigo con gli stranieri, accogliente e generoso, nelle relazioni successive gli indigeni erano descritti come bestie, indemoniati, dediti all'antropofagia, sottomessi a riti magici, a convivenze poligamiche lussuriose, la cui vita era dedita alla pigrizia e all'indolenza. Di qui il piano di conquista, studiato quasi a tavolino da religiosi da un parte e coloni dall'altra. Entrambi d'accordo sulla necessità di sterminarli o sottometterli- così  per lo meno affermava padre Nobrega nel 1558 -processo che peraltro, rispetto ad altre zone dell'America latina,  fu più lento ed ebbe assai meno successo. Qui le tribù erano più arretrate e ciò li rendeva assai più resistenti e ribelli. Lo sterminio in realtà, più che per massacri di massa, fu causato da epidemie che falcidiarono intere tribù. La necessita di schiavizzarli era giustificata dai missionari stessi, per i quali era più conveniente tale schiavitù "legittima" - e quindi nella loro ottica giusta- rispetto al pericolo di una schiavitù illegittima.

 

scene tratte dal film "The mission" di Roland Joffè

La loro cattura, ad opera di gruppi di "cacciatori" di indios, era considerata indispensabile e lodevole, al fine di poterli utilizzare come forza-lavora ed incorporarli in spedizioni militari contro altri indios. L'intervento di missionari, di vari ordini religiosi (carmelitani, francescani e gesuiti) attraversò fasi differenti e con approcci di vario tipo. Da quelli più violenti, in cui con l'imposizione si tentava di estirpare usi e costumi considerati inaccettabili e detestabili, primo fra tutti quello di mangiare carne umana, di avere più donne, di andare in giro nudi, di credere negli sciamani e di vagare continuamente da un territorio ad un altro, a quelli più suadenti, tentando di convincerli e farli convertire in forma spontanea, ricorrendo a danze e canti, feste e processioni, attirandoli con regali ed oggetti. In un primo tenpo i missionari  si recavano nei villaggi indios e risiedevano lì con loro, ma bastava che si allontanassero, perchè gli indigeni tornassero alle loro abitudini di sempre. 

La creazione di missioni, sorta di villaggi "artificiali" fu un altro tentativo. Qui gli indigeni venivano condotti o attirati, non erano propriamente prigionieri, era come se fossero orfani sotto tutela dei padri missionari. Dovevano lavorare per mantenersi e per far prosperare la comunità di cui facevano parte. Fra il 1583 e il 1589 padre Cardim, del collegio di Bahia, visitò alcune missioni e descrisse ciò che vide, facendo una sorta di bilancio generale sui popoli indigeni che abitavano le coste e il sertão. Il tasso di mortalità era altissimo, erano ormai rimasti in pochi, molti fuggivano per non essere schiavizzati. Al loro arrivo al villaggio, i visitatori erano accolti da feste e danze quasi farsesche, ma nonostante ciò, allegre. La routine all'interno delle missioni iniziava con una messa molto presto, ogni ora della giornata era dedicata a qualcosa in specifico, c'era un'ora per lavorare i campi, per pescare, per cacciare, un'ora per pregare - in portoghese- un'ora specifica per leggere e scrivere - in scuole dove i bambini apprendevano anche a cantare e suonare- e persino un'ora in cui accoppiarsi - visto che la popolazione era drammaticamente ridotta e bisognava farla moltiplicare. Le ore erano scandite dal suono delle campane, motivo per cui la prima preoccupazione dei padri missionari  era quella di costruire una chiesa, vero fulcro della missione, attorno alla quale ruotavano tutte le attività e si svolgevano i riti religiosi.  

 

chiesa di Almofala/chiesa di Viçosa do Cearà (missioni gesuitiche nel Cearà)

Le missioni funzionavano come piccole entità economicamente autonome, producevano una grande quantità di alimenti, tutto gestito sotto il controllo dei religiosi. Sorsero su terre concesse per decreto regio, di solito una lega quadrata. Il genere di vita cui gli indios vennero forzati era assai diverso da quello cui erano abituati e ciò provocò notevoli cambiamenti. Se prima erano migranti, adesso divennero stanziali, prima vivevano in grandi capanne collettive, ora ognuno aveva una sua abitazione monofamiliare. Se prima non avevano alcun tipo di senso del peccato e del pudore e giravano tranquillamente nudi, ora erano spinti a vestirsi - soprattutto le donne - ed avere atteggiamenti sociali e sessuali differenti. Uno delle modifiche più rilevanti era quella riguardo il loro rapporto con il lavoro.  Abituati a sfruttare le risorse naturali il giusto che gli serviva, ad avere un profondo rispetto per la natura e per la grande varietà di cibo ed alimenti a loro disposizione tutto l'anno, non concepivano il bisogno di lavorare. Per chi? per che cosa ? si domandavano. Erano due visioni profondamente diverse, se non opposte. Da una parte gli indigeni con la loro naturalezza del vivere e del morire, uniti da un grande senso comunitario e di solidarietà e di armonia con la natura, dall'altra i colonizzatori con la loro visione della vita come di un eterno lavoro, per produrre, accumulare, guadagnare, comprare, possedere e che considerano la vita degli indios inutile, erano solo degli sfaticati. L'incomprensione era totale e reciproca.

"La prima messa in Brasile" Victor Meireles 1861 (Museo Nazionale di Belle Arti RJ)

Allo scopo di desindianizzarli, nelle missioni vennero mescolati gruppi etnici differenti, tribù completamente diverse, per rompere i vincoli di trasmissione parentale e tribale e distruggere così le loro basi socio-culturali, per trasformarli in un gruppo omogeneo. Anche a livello linguistico i missionari operarono un intervento distruttivo, introducendo una lingua artificiale, creata da loro, un misto di tupi e portoghese. Vennero in tal modo soppressi e piano piano dimenticati tutti i vari idiomi tribali. In un primo momento religiosi e coloni furono coesi e solidali, ben presto però entrarono in conflitto, perchè le sue visioni divergevano notevolmente. Per i primi, gli indios erano creature di Dio e originari proprietari delle terre, con il diritto di sopravvivere in pace, incorporati però alla chiesa, in qualità di lavoratori ed operai -previo abbondono delle loro pratiche rituali.  Per i secondi erano solo bestie da usare in schiavitù e sfruttare il più possibile. La Corona portoghese dapprima sostenne i religiosi, ma una volta che non le servirono più, svolto il loro ruolo, appoggiò apertamente la tesi colonialista e schiavista. Il regno che interessava alla corte, non era quello dei cieli, ma quello terreno, ciò che importava erano i profitti. Era arrivato il momento che i missionari si facessero da parte per far posto agli uomini pratici.

"Villaggio Tapuya" J.M. Rugendas

Il progetto gesuitico era decisamente opposto a quello coloniale. L'idea era quella di creare delle sante repubbliche di religiosi e indios, con una comunione di beni. Sorta di comuni socialiste, le nuove città cristiane virtuose ed operative, impossibili da realizzare nel vecchio continente, ormai troppo corrotto, potevano invece realizzarsi qui, fra queste popolazioni così pure e innocenti. Indottrinando i bambini, si sperava nella futura generazione, era a loro che si guardava come unica speranza di redenzione, di concretizzare le profezie bibliche. Ricostruire la società, secondo un determinato progetto, ricreare il genere umano per dar vita ad una società egualitaria, solidale, pia. Con tali premesse era ovvio lo scontro con i coloni, spesso portato avanti a costo della vita dei missionari, che lottarono con tutti i loro mezzi per difendere idee e missioni. Quest'ultime erano viste dai coloni avidi e rapaci, come una concentrazione di persone reclutabili e disponibile in qualunque momento, e a costo nullo. Non c'era più bisogno di faticare e affrontare foreste impenetrabili - dove nel frattempo le tribù si erano nascoste. Bastava attaccare una missione con qualche uomo armato e depredarla di indios e di viveri, altra fonte di attrazione non trascurabile. La visione dei missionari era troppo utopica e destinata a restare tale. I missionari verranno dapprima minacciati, poi arrestati e cacciati. Infine, per far cessare definitivamente, queste esperienze socialiste precoci, nel 1759  intervenne il Marchese di Pombal decretando la loro espulsione definitiva dalla terre brasiliane. Da questo momento in poi per gli indigeni inizia un periodo di sfruttamento e schiavitù intensiva, fino a quando non verranno sostituiti dagli schiavi africani.Le missioni saranno trasformate in vilas, i catecumeni trasferiti nelle fazendas coloniali.

J.M. Rugendas "Indios nella fazenda"

Nel Cearà non ci sono sicuramente le imponenti testimonianze architettoniche e archeologiche di São Miguel das Missões, la più celebre fra quelle brasiliane, nellos taoto di Rio Grande do Sul,  le cui rovine sono  Patrimonio Unesco dell'Umanità,  e la cui storia è ripercorsa, anche se in forma romanzata, nel bel film di Roland Joffè "Mission" (1986), ma qualche traccia è pur sempre rimasta. Dopo parecchi tentativi, i gesuiti riuscirono nel 1659, superando la violenta ostilità delle tribù locali, ad insediarsi nell'area di Ibiapaba, dove nel 1700 fondarono la chiesa di N.S. da Assunção, dove ora sorge la città di Viçosa do Cearà. Due anni dopo era diventata una fra le missioni più grandi e ricche, con 4000 persone, parecchie terre donate in concessione, un gran quantità di capi di bestiame, un villaggio di dimensioni considerevoli per l'epoca.

  

chiesa S.Josè de Ribamar - Aquiraz (Cearà)

Altre missioni vennero fondate un pò in tutto il territorio cearense : Paiacu (poi chiamata Monte-Mor-Velho), Miranda (oggi Crato), Aracati-mirim (oggi Almofala), Missão velha, Missão Nova (oggi S. Josè de Cariris), Monte-Mor-Novo ( attuale Baturitè, dove esiste ancora un ospizio e convento gesuita),Telha (oggi Iguatu), Salamanca (attuale Barbalha). Anche ad Aquiraz, a pochi chilometri da Fortaleza, sono rimaste testimonianze del passaggio dei gesuiti. Alcuni edifici diroccati- probabilmente l'ospizio di cui parlano alcuni documenti, eretto nel 1727, che serviva ad ospitare confratelli evangelizzatori della regione e fungeva anche da seminario, per i figli dei ricchi proprietari della zona, con vocazione religiosa.  In mezzo alla piazza è rimasta in piedi solo la chiesa di S.Josè de Ribamar, nelle sue forme tipicamente coloniali, così come quella di Parangaba, sede di un'altra missione vicina.

Chiesa Bom Jesus dos Aflitos- Parangaba, Fortaleza

 
 
 

Il principe dei tuberi

Post n°677 pubblicato il 28 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

tuberi di manioca

E' un tubero bruttino, velenoso ma basilare. La manioca -  parola di origine tupi, mani'oka -  ha rappresentato  e rappresenta tuttora la base primaria dell'alimentazione di indios e non, coltivata da secoli e tuttora importante fonte di sostentamento per numerose comunità. E' arrivata anche nelle città, compare fra gli scaffali dei supermercati, è venduta nelle fiere, trasformata e industrializzata, continua però in molti casi ad essere prodotta artigianalmente, tutta fatta a mano, un lavoro collettivo, nelle casas da farinha. Patativa di Assarè nel suo poema "O Puxadò de Roda" le descrive come di uno spazio di socializzazione, dove era facile innamorarsi delle lavoratrici più belle,  e si lamenta dell'arrivo di macchine moderne, il cui rumore ha ceduto il passo ai canti e ai racconti che facevano passare il tempo,  accompagnavano le fasi della lavorazione. 

E' facile da coltivare, la Manihot esculenta crantz, versatile, produttiva, adatta a suoli semi-aridi. E anche se la si coltiva in varie parti dal mondo, il Brasile è al secondo posto con una produzione del 15%, tanto che è stato indetto anche un "Giorno della manioca", il 22 aprile, che coincide guarda caso con la data della scoperta delle terre brasiliane. Ma forse un caso non è. I primi colonizzatori portoghesi descrivono tali coltivazioni e l'uso di ricavarne alcuni alimenti, come quel padre gesuita Manoel da Nóbrega che nel 1551, in visita nel Pernambuco, parlava già del beiju (ossia tapioca) e delle farinhas fabbricate dagli indigeni.

 Si pianta durante l'epoca delle piogge e dopo un anno e qualche mese circa è pronta per essere raccolta.Tende a fermentare molto velocemente e per questo deve essere subito trattata. La prima fase è la sbucciatura.. al mattino presto arrivano le "raspadeiras", che, sedute sul pavimento, iniziano con un semplice coltello ed una grande velocità, a togliere la buccia, mentre man mano si formano montagnette di manioca sbucciata.

"Casa de farinha" xilografia di Demontie L.Gonzaga (Collezione MAUC Fortaleza)

Quando si è raggiunta una notevole quantità, i tuberi vengono lavati per eliminare eventuali impurità e quindi grattuggiati. Gli indios lo facevano a mano con una grattuggia gigante e tanta pazienza, adesso si usa il caititu, un mezzo rudimentale con ingranaggi di metallo, azionato da una ruota a mano o ad acqua - di qui l'importanza di avere acqua in abbondanza vicino. Se la sbucciatura è un'attività affidata alle donne, questo lavoro è di pertinenza esclusivamente maschile. Le bucce rimaste vengono raccolte dalla raspadeiras, lavate ed essiccate ed usate come foraggio per gli animali.

"Casa de farinha" xilografia di Demontie L.Gonzaga (Collezione MAUC Fortaleza)

La pasta morbida ottenuta, deve a questo punto essere pressata, per far fuoriuscire tutto il liquido in eccesso. Viene raccolta in sacchi da imballaggio, poi impilati uno sull'altro fino a raggiungere quattro strati. Dalla pressa di legno, anch'essa molto rustica, si estrae un liquido giallognolo, lattigginoso (manipueira), altamente tossico, per il contenuto di acido cianidrico, che però non viene buttato via. Nella regione del Maranhão è cotto (procedimento grazie al quale perde il veleno) ed usato come base per una bevanda ad alto tasso alcolico, il tiquira, mentre nel Parà e in tutta l'area Amazzonica è usato per preparare un condimento tipico, il tucupi. La manipueira secondo vari studi è un pesticida, battericida, insetticida e funghicida e  può essere anche usato come fertilizzante naturale, ma perchè la sua azione sia potente deve essere usato fresco.

"Aviamento" xilografia di Walderêdo Gonçalves (Collezione MAUC Fortaleza)

 Al posto della pressa, per disidratare la pasta di manioca gli indios usavano invece un sistema semplice quanto infallibile, il tipiti, una sorta di tubo morbido e flessibile, di paglia intrecciata, che veniva riempito, appeso e grazie ad un sistema di pesi,veniva, senza grandi sforzi, spremuto. Nella fase successiva, trascorsa circa un'ora e mezza sotto la pressa, la massa è pronta per essere passata al setaccio.  Sono grandi maglie metalliche e i granuli più grandi sono raccolti ed utilizzati come alimenti per i maiali.

 

Dalla decantazione e filtraggio della manipueira si ricava la goma (fecola o amido di manioca) che mescolata ad acqua viene ripetutamente filtrata, poi è messa al sole a seccare, gli si aggiuge infine un pò di farina e viene lasciata nel forno ad essiccarsi per tutta una notte, senza essere mescolata.  

"Casa de farinha" xilografia di Demontie L.Gonzaga (Collezione MAUC Fortaleza)

Anche la farinha deve essere torrefatta, per eliminare eventuale umidità, collocata in grandi forni rotondi, ad una temperatura controllata.E' una fase delicata, questa, che, se non eseguita bene, può compromettere tutto il processo.Solitamente sono forni alimentati a legna,  la farina è continuamente e pazientemente mescolata per tre ora circa con uno strumento di legno (di mangueira o cajueiro).La temperatura e la tecnica usata per mescolare determinano differenze nel prodotto finale. Meno caldo è il forno più la farina risulterà fine e viceversa.

Infine la si raccoglie in sacchi, la si conserva al fresco finchè non sarà consumata o venduta. Per festeggiare la fine della "Farinhadas" ossia di tutto questo elaborato processo, è tradizione invitare i lavoratori /trici e le loro famiglie per consumare tutti insieme una grande tapioca  (sorta di pancakes, poi farcito a piacere con burro , formaggio o altri ingredienti), per brindare alla fertilità della terra e commemorare questo rito/lavoro antico di secoli, talvolta  allietati da orchestrine, suoni di fisarmoniche e canti. Patativa così confermava : " Ragazzo mio, la farinata/ è stata  nella mia vita/ la cosa più animata/ la più bella e divertente/ che abbia visto sulla terra".


"Farinhadas" scultura lignea di Chico Santeiro ( collezione MAUC Fortaleza)

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°676 pubblicato il 26 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Marcia Castro canta "Historia de fogo"

 
 
 

Madonne, rosari, re africani e maracatu

Post n°675 pubblicato il 25 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

regina del maracatu

La chiesetta del Rosario, una delle più antiche di Fortaleza, semplice con il suo intonaco mai totalmente bianco, attaccato da muffe e scrostato dal forte sole, sonnolente, affacciata sulla tranquilla praça dos Leões, è stata scenario di tanti episodi, cruenti  e non, della storia della città. Le sue finestre verdi sempre spalancate - per far entrare dentro ciò che è fuori e fuori ciò che è dentro- in termini più crudi, per rinfrescare gli ambienti, i suoi pavimenti in ladrilhos idraulicos, i suoi banchi dove gatti sornioni dormono beatamente, le sue vecchie pareti, tutto, ha assistito per secoli allo svolgersi di un particolare rito, che parla di re e regine, africani.   

Chiesa del Rosario- Fortaleza

Per capire la storia bisogna risalire all'intitolazione della chiesa,indagare sull'origine del culto. La devozione alla Madonna del Rosario ebbe nel  XV secolo un' immensa popolarità in tutto il regno portoghese. Nominata protrettrice di naviganti ed esploratori, venne diffusa nelle nuove terre conquistate e in tal modo, all'espansione territoriale e commerciale lusitana - in Africa innanzitutto - si accompagnò la diffusione del Rosario. Le prime confraternite devote alla Madonna del Rosario nacquero come strumento di inserimento ed integrazione nella società bianca e cattolica, degli schiavi africani che, a partire dal 1450, venivano annualmente inviati in Portogallo. La scelta cadde sulla Madonna del Rosario perchè quest'ultimo facilmente si associava ad una collana con semi di palma, un particolare minkisi (o nkisi), oggetto  magico- religioso africano. Le confraternite, dapprima miste, rappresentavano una possibile coesione fra bianchi e neri, legati da un medesimo credo. Solo successivamente  i confratelli neri sentirono l'esigenza di avere congregazioni proprie e nacquero le Irmandades de N.S. do Rosario dos Pretos.  In Brasile le prime confraternite del Rosario sorsero, per opera dei gesuiti nel XVI secolo, reclutando fedeli fra gli schiavi delle piantagioni di canna da zucchero.

Chiesa di N.S. Rosario dos Pretos - Salvador (Bahia)

Concentrate nel nord e nord est del paese (Belem, Recife, Salvador),  successivamente sorsero Congregazioni del Rosario dei Neri anche nel sud, nel Minas Gerais, a Rio de Janeiro e San Paolo. Nel XVII secolo rappresentavano una forza ausiliaria, complementare e talvolta sostitutiva alla chiesa stessa, concentrate  sul rafforzamento del culto ai santi, un culto che in Brasile assunse forme del tutto nuove, adeguandosi all'ambiente, al clima, al gusto tropicale. Nelle colonie prevaleva una fede esteriore, pomposa e soprattutto misturata. Preoccupazione principale quella di creare forme di distrazione e divertimento, per schiavi e padroni, con l'organizzazione di feste e processioni, danze, musica, fuochi, cibi, in un contesto meno tetro e  assai più colorito, ricco,  festaiolo, esuberante.

Statua di S. Benedetto (Museu d'Arte Sacra - Aquiraz, CE)

Nelle chiese delle congregazioni del Rosario dei Neri, anche i santi erano neri : S. Ifigenia, S. Benedetto, S. Elesbao, S. Antonio da Caltagirone, con le loro statue ben allineate negli altari laterali, senza dimenticare nessuno. In comune, oltre al colore della pelle, avevano l'origine africana, santi tirati fuori da un immaginario agiografico costruito ad hoc dai portoghesi, nei secoli precedenti. L'attività missionaria svolta in Congo, l'esperienza vissuta ed i successi ottenuti, saranno riproposti anche in Brasile. E senza nemmeno bisogno di fare grandi sforzi, visto che buona parte degli schiavi proveniva proprio dagli ex- regni del Congo, colonie portoghesi. Numerosi schiavi arrivarono nelle colonie americane portando con sè elementi di un  "cattolicesimo africano" ormai assorbito ed incorporato. Ed il ruolo svolto da quest'ultimo, fu senz'altro determinante nella formazione del cattolicesimo afro-brasiliano. Vincente si rivelò la strategia "morbida", con la sovrapposizione di nozioni cristiane all' animismo africano, nonchè il ricorso ad un apparato rituale, un armamentario di oggetti devozionali ed immagini attraenti, che divennero il veicolo principale della conversione. Stesso procedimento anche in Brasile, ma con una differenza : nelle terre africane la conversione  fu quasi volontaria e spontanea, partì dalle elites e dai re africani,  la popolazione seguì a ruota, grazie ad una fortuita coincidenza. Dando credito ad alcuni miti, i re congolesi videro nei colonizzatori  portoghesi la reincarnazione dei loro antenati, perchè erano giunti dal mare (sorta di spartiacque fra i vivi e i morti) e perchè di pelle chiara. In Brasile tutto assunse un carattere più forzato e violento. Quella cattolica era l'unica religione possibile.

 

 A  Fortaleza documenti attestano la presenza, nel 1730, nel luogo ove attualmente sorge la chiesa di N.S. del Rosario, di una semplice cappella - solo una taipa con tetto in paglia- destinata agli schiavi africani, ove potessero pregare, recitare il rosario e festeggiare le novene, in tutta tranquillità, tutta per loro. I primi festeggiamenti di cui si ha memoria, in onore della patrona della cappella, risalgono al 1747, come risulta da alcuni documenti. La festa del Rosario si festeggiava in ottobre e culminava con l'Incoronazione dei Re Neri (Reis Negros). Nessuna novità, in realtà, perchè era una festa già praticata in Portogallo, un rito di africani sì, ma che adottava forme cattoliche, inserito nell'ambito di confraternite religiose, controllato e seguito da sacerdoti.

Ritenuti utili per il  mantenimento dell'ordine sociale, i Reis Negros fungevano da catalizzatori per le varie comunità di schiavi, raggruppatesi, in mezzo ad un miscuglio generale di popoli africani, con lingue, tradizioni, abitudini diverse, in "nazioni",  etnie ben precise e differenziate le une dalle altre, e rappresentavano anche un tentavivo di integrazione degli schiavi nella società bianca. In modo diverso, erano feste importanti, sia per gli uni che per gli altri. Valvola di sfogo sotto controllo per gli uni, affermazione e riconoscimento della propria identità e cultura per gli altri. Le posizioni, nel contesto della società coloniale, erano però diverse e c'erano distinzioni fra ciò che era permesso e ciò che non lo era. Tutte le attività delle confraternite nere che rientravano sotto il controllo della chiesa, circoscritte al suo ambito- come le incoronozioni dei Re- non erano percepite come una minaccia e pertanto ampiamente tollerate. Al contrario, i riti che come il calundu o il candomblè, che uscivano dall'ambito dei parametri culturali conosciuti, con danze e possessioni spiritiche, uso di oggetti magici, offerte di sangue, cibo e bevande, sacrifici rituali e commistioni sessuali, venivano considerati riprovevoli, avvertiti come pericolose e negativi, e pertanto proibiti.

Nel Cearà feste di incoronazione di Re Neri sono registrate già a partire dal XVIII sec. non solo a Fortaleza, ma anche  a Santa Quiteria, Qixeramobim, Barbalha, Icò, Crato ed Aracati. Tutti gli anni, i neri, sia schiavi che liberi, nelle chiese del Rosario, assistevano al rituale dell'incoronazione del re e della regina del Congo, con le loro rilucenti corone di carta o di metallo,  vistosi mantelli di cotone vellutato rosso, accompagnati dalla corte, dal "principe", dal "segretario", con  cappelli a falde larghe, riccamente adornati. Il corteo a Fortaleza, partiva da una spiaggia (probabilmente l'attuale Barra do Ceará); per strada si cantava, si ballava, insieme a giocolieri ed acrobati, simulando scontri e combattimenti, per poi giungere in chiesa. Terminata l'incoronazione, il corteo proseguiva  fino a raggiungere un edificio apposito dove i festeggiamenti continuavano. In certe occasioni la festa del Rosario raggiunse fasto e splendore, vi partecipava tutta la cittadinanza, bianca e nera, e diventava una lussuosa ostentazione della propria ricchezza : cordoni d'oro, orecchini e gioielli di valore erano indossati dalle schiave, imprestati dalla ricche padrone per meglio onorare la festa alla Madonna e l'incoronazione dei Re.

Nel 1871 la  Irmandade do Rosario dos Pretos di Fortaleza, però non contemplava più le figure dei Re Neri. A partire da questo momento, la cerimonia religiosa subì un graduale, inesorabile processo di dislocamento, finì per mescolarsi ad alcuni riti festivi del ciclo natalizio, a feste folcloriche ed atti popolari realizzati il Dia dos Reis (6 gennaio, epifania ma anche giorno dei Re magi). Perdeva così il carattere più profondamente rituale e diventava uno spettacolo da inscenare, con attori e pubblico pagante. Nei decenni 1880-1890 si assistette ad un ulteriore trasformazione e l'incoronazione dei re neri viene inglobata in un contesto ludico, carnevalesco, e più tardi, negli '30, si trasformerà  nel Maracatu. Tutte strategie di adattamento, escogitate nel tempo, per far sopravvivere, anche se in forme diverse, questo rito ancestrale. La fine del secolo vide a Fortaleza anche un accentuarsi della repressione contro le manifestazioni culturali nere, contro le danze, la musica, i cortei popolari (folguedos e congadas), rifiutati in blocco dalla elìte bianca perchè sinonimo di arretratezza e barbarie, perchè evocavano l'epoca della schiavitù e ritardavano il tanto auspicato processo di ammodernamento della città. La separazione fra stato e chiesa, la successiva dissociazione fra la Chiesa del Rosario e la confraternita,  decretarono infine il scioglimento di quest'ultima e la sua scomparsa.

In tale slittamento dal sacro al profano, ciò che è rimasta sempre immutata è la presenza della coppia reale, del re e della regina e della calunga. Figure con un alto potere simbolico di resistenza/affermazione identitaria, fisica e spirituale, che a seconda del momento storico, si sono caricati di riferimenti diversi, hanno incarnato vari personaggi, mostrando così un carattere altamente dinamico : la regina poteva raffigurare la Madonna del Rosario, la regina Ginga - incarnazione della nobiltà e della forza spirituale africana, icona di resistenza nella lotta degli africani contro la schiavitù-, la Principessa Isabella, la Madonna Assunta o la Madre primigenia, fondatrice dei regni congolesi. ll re poteva raffigurare monarchi europei, i re cattolici del Congo, il re Mago Baltazar,  il Senhor Congo, padre primigenio dei regni africani.

  

maracatu cearense - sfilate a Fortaleza

La calunga è sempre stata un simbolo della cosmogonia bantu, del legame con gli spiriti ancestrali, una bambola  nera in cui si concentra la forza mistica e spirituale, un oggetto sacro e rituale. Ancora oggi è lei che apre il corteo di maracatu, proteggendolo da influenze negative. Ogni anno lungo l'Avenida Domingos Olimpio a Fortaleza si compie il rito. Fra ali di pubblico incuriosito sfilano blocchi carnevaleschi di maracatu, chiamati "nazioni" , ciascuno con il suo re e la sua regina, con costumi colorati di foggia settecentesca, di raso lucido assai pomposi, luccicanti di paillettes e ricami, tanta passamaneria e piume, corone e scettri,  e con le facce rigorosamente dipinte di nero. Una rielaborazione dei cortei del re del Congo, accompagnati dal ritmo lento e cadenzato da batterie di tamburi, dal tintinnìo dei triangoli, eseguono coreografie e danze, tutti sorridenti. Se il gruppo è affiatato, il corteo ben organizzato, suoni, canti e danze sono in perfetta armonia, il pubblico applaude e si sente energia nell'aria.. emerge e rimbalza una sintonia generale fra chi sfila (maracatuqueiros) e chi assiste.  

maracatu - foto di Chico Gomes

La regina è la vera protagonista, il re è solo figura di contorno.. incede sfavillante sotto un baldacchino, omaggiata da ventagli. Per tradizione è un uomo, alto ed imponente - un tempo lavoratori portuali neri-, di recente è impersonata anche da donne. Il corteo era arricchito da carri allegorici, a raffigurare navi negriere, engenhos, mulini.. tutti luoghi legati alla schiavitù africana. ll volto viene annerito con fuliggine, la si prepara in casa, mescolata con vasellina inodore e si procede con il trucco, si sistema la parrucca, quasi un rituale di iniziazione. Uno dei gruppi più antichi è "As de Ouro" fondato nel 1936, poi sono seguiti il "Leão Coroado", la "Nação Gengibre",  il "Rancho Alegre", il "Rancho de Iracema", il "Rei de Paus", la "Nação Africana", l 'Estrela Brilhante", il "Rei dos Palmares",  la "Nação  Verdes Mares", alcuni hanno sfilato solo per una stagione ed hanno chiuso.

sfilata di maracatu - Teia 2010, Fortaleza

Il maracatu  cearense oggi non è solo divertimento spiccio, è luogo di preservazione della memoria africana, rito collettivo e partecipativo. Una memoria della propria storia, delle proprie radici che è stata azzittita, negata, ignorata, ma che, nonostante tutto è sempre viva.  

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°674 pubblicato il 25 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Tiê canta  "Perto e Distante"

 
 
 

Immaginario in sintesi

Post n°673 pubblicato il 24 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

 Immagini  del sertão cearense, intagliate su legno, condensate in pochi centimetri, essenziali  e minimaliste. Sono matrici di sei importanti xilografi passati per Juazeiro do Norte, nella regione del Cariri a metà del '900. Fanno parte di una collezione privata, quella di Geova Sobreira, collezionista instancabile, appassionato di cordel e xilografia, anche perchè lui, si può ben dire, l'ha vissuta e respirata, nella tipografia di famiglia, la grafica Sobreira, tutt'ora in funzione. Anche lui è nato a Juazeiro, mitico crocevia culturale, economico, religioso di tutto il nord est,  un mondo a sè, la summa e il centro per eccellenza dell'arte e della cultura popolare, di questa parte del Brasile.   Mestre Noza, João Pereira da Silva, Antônio Batista da Silva, Walderêdo Gonçalves, Damásio Paulo e Manoel Santeiro. Questi i loro nomi. Erano ometti piccolini, rinsecchiti, autodidatti, di famiglie per lo più assai modeste, con pochissime risorse, senza grandi studi alle spalle, ma portatori di valori, storie e di un saper fare, tramandato così, geneticamente. Non avrebbero mai immaginato nella loro umiltà di arrivare nei musei, di essere esposti in gallerie d'arte, di essere conosciuti da appassionati e studiosi internazionali.

Matrice di João Pedro do Juazeiro

Ogni intagliatore ha la sua storia, ma quasi tutti hanno iniziato da adolescenti, per curiosità, per cimentarsi in qualcosa che gli sembrava facile, con un che di istintivo, spinti però anche da necessità, con la speranza di raggranellare qualche soldo in più. Qualcuno ha imparato a intagliare guardando un maestro, ma altri non ne hanno avuto nemmeno bisogno. Come se il saper disegnare fosse un dono divino, una dote intrinseca, non la impari, ce l'hai già dentro.  Molti nella loro vita hanno fatto anche dell'altro, hanno cambiato vari mestieri, talvolta abbandonando, delusi e disgustati, questa loro arte, giurando di non prendere mai più un pezzo di legno in mano. All'inizio, all'arte non si pensava e per loro era solo un lavoro, i loro committenti editori e tipografie, fra cui la mitica Tipografia São Francisco, di Josè Bernardo da Silva, vero punto di riferimento del settore. Lavoravano su richiesta, per realizzare lettere, minuscole etichette pubblicitarie per sigarette e liquori, saponette e caramelle, o cartoncini e biglietti da visita commerciali, ma anche piccole illustrazioni di libretti e copertine di libri. Matrici talvolta nemmeno firmate, rese anonime, per volere del cliente o per semplice ritrosia. Nessuno di loro le ha conservate, ne facevano a decine e non ne tennero per sè nemmeno una, rimaste in dote alla tipografia.  

xilografie -mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

I caratteri di zinco erano cari e rari, spesso le tipografie, piccole, a carattere familiare, ne acquistavano di usati che costavano poco, malridotti ed aggiustati alla bell'e meglio.E per quelli nuovi bisognava aspettare mesi, ordinarli a Recife o a Fortaleza, vale a dire, per l'epoca, dall'altra parte del mondo. E' da questa carenza di mezzi, di tecnologia e modernità, nonchè di risorse finanziarie che nasce e si sviluppa la xilografia nordestina. Lì per anni a usare sgorbie e punteruoli, a disegnare donnine e animali, santini e loghi commerciali, a sfornare tacos (matrici) per pochi soldi, in mezzo al frastuono delle macchine stampatrici, in uno spazio collettivo, quello tipografico, che diventava quasi casa, un ambiente familiare, con tutti, dai vecchi ai bambini a tagliare carta, sistemare i caratteri nelle cassette, impaginare, comporre.  

Stesura del colore con il rullo

 La fortuna della xilografia la si deve però al cordel, come dire due facce della stessa medaglia, inseparabili e intrecciate fittamente. Con la diffusione graduale di una letteratura popolare che da orale, declamata dai repentistas - sorta di cantastorie - a memoria, o improvvisata sul momento, viene poi fissata su carta, stampata e moltiplicata in centinaia di copie, la xilografia ha la sua grande chance : di prendere posto accanto alla letteratura. Piccoli libricini - folhetos - i primi con i fogli cuciti a mano, con l'esigenza di un'immagine di copertina. Un ruolo importante perchè sarà grazie a tale disegno, accattivante, ben fatto, riuscito, che il cordel avrà successo, sarà richiesto e venduto. Illustrazioni che devono riassumere il nocciolo della storia, dare un assaggio di quel che si leggerà, focalizzarsi sul/sulla protagonista. 

folhetos - mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

Non è un lavoro preso alla leggera. L'artigiano deve leggersi le storie, avere doti riassuntive, inventarsi un disegno che funzioni. Lo butta giù su carta, poi lo capovolge e lo ricalca su legno ed infine pazientemente incide. Sa come creare i mezzi toni, come dare profondità, come ottenere certi risultati, il bianco qui, il nero là, le ombreggiature, alcuni scendono nel dettaglio, altri si fermano a linee essenziali. Se sbagli son dolori, non puoi proprio rimediare. Gli strumenti sono davvero pochi, coltellini, ferri, penne a punta, i più ingegnosi possono anche personalizzarseli e farseli da sè. Poi la limatura della superficie, per renderla liscia ed omogena, uno strato di benzina  - sorta di anti-tarma e la matrice è pronta ad assorbire il colore. Infine con un rullo a passare la tinta, nella giusta dose, nè più nè meno, e l'eccesso, caso mai, si assorbe con carta da giornale. La stampa, a mano è una fase delicata. Con una si tiene il foglio, con l'altra una leggera pressione, per poggiarlo e stirarlo per bene, spandendo poi il colore, aiutandosi con un semplice cucchiaio. La xilografia è finita, la si appende, come un panno, su una corda, ad asciugare.

matrici -mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

 Dalla letteratura all'arte il passo è stato breve. Le xilografie ora non dovevano solo pubblicizzare un prodotto o supportare libretti, ma vendere se stesse. Negli anni '60, con la creazione  a Fortaleza del Museo d'Arte dell'Università del Cearà (MAUC), e con un generale risveglio d' attenzione, in tutto il paese, per le tradizioni popolari, l'artigianato ed il folclore, vari curatori ed artisti girarono alla ricerca di manufatti. A Juazeiro, acquistarono, per arricchire il museo con collezioni, le vecchie matrici dei maestri artigiani, conservate nelle tipografie. Stimolarono gli editori a commissionarne di nuove e, per incentivare e tenere viva questo pezzo di memoria, commissionarono essi stessi serie di opere, album di xilografie tematici. La pubblicazione di alcuni studi e libri sull'argomento, la realizzazione di alcune esposizioni, fecero il resto.

Matrice di João Pedro do Juazeiro

Le xilografie nordestine e relative matrici- avevano fatto il salto di qualità. Uscite dalle fiere di paese conquistavano i musei, timidamente, senza chiedere il permesso,  divenute merce preziosa per mercanti d'arte, collezionisti privati, galleristi, direttori di musei, ricercatori. Tutti ad affannarsi a comprare- alcuni ricorrendo anche ad inganni e sotterfugi, altri più limpidi- e far produrre il più possibile. Un'agitazione febbrile che incentivò però la nascita di nuove generazioni di xilografi.  Nei decenni successivi, l'avvento della tv, la diffusione di tecnologie di stampa, i cambiamenti del mercato e le richieste di prodotti meno artigianali e più massificati, hanno inflitto un arresto e agli intagliatori non è rimasto altro che  rimboccarsi le maniche e trovarsi attività alternative. Chi si è dato al commercio ed ha aperto bottega, chi riparava orologi, chi scolpiva statue di santi, chi  fabbricava mobili.

xilografia -mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

Questi sapienti intagliatori li ha conosciuti quasi tutti Geova Sobreira,  ne ha raccolto amorevolemente le matrici, che sarebbero andate perse, cercando di difenderle dall'attacco delle tarme. Come quella "Via Sacra", una via crucis miniaturizzata intagliata da Mestre Noza (1897 - 1983), uno dei decani del gruppo. Li ha frequentati e li ha fatti conoscere,  ben disposto  ad aprire i suoi bauli e mostrarne i tesori, di ciascuno di loro conosce bene la storia.   Fu lui negli anni' 60 a presentare al ricercatore americano Ralph della Cava - autore dell'opera "Miracolo a Juazeiro" i poeti, gli autori di cordeis e gli xilografi di Juazeiro.  Fra loro anche Walderêdo Gonçalves (1920 - 2005), una vera istituzione, nominato maestro di cultura, ci ha lasciato raccolte memorabili, sull'Apocalisse e sul folclore cearense. Sapeva fare di tutto un pò, il carpentiere, come suo padre, l'elettricista, il falegname, sapeva fondere l'oro ed aprire le casseforti, e, non soddisfatto, lavorò anche per una lotteria. Non fu mai solo uno xilografo, ma tutte queste cose insieme. Animato da perfezionismo e passione, girava per le fiere paesane osservando i tipi più interessanti e per trarre così spunto per i suoi disegni. Leggeva attentamente prima di illustrare un testo. Disegnava direttamente sul pezzo di legno, al contrario, con mano sicura. Usava coltellini e solo legno di imburana, resistente al taglio, poco deformabile, poco fibroso e perfetto da lavorare, per ottenere immagini nitide. Ha fatto di tutto, anche matrici in linoleum, fòrmica, gomma, stampi di piombo, targhe di bronzo, pannelli in pietra e pure sculture. Si è spento a 85 anni, infaticabile vecchio, e fino all'ultimo ha usato le mani, come solo lui sapeva fare.

Walderêdo Gonçalves

E' però curioso notare che il termine xilogravura e sinonimi non siano contemplati nel completo "Dicionario do Folclore Brasileiro" (1952) del famoso antropologo Luiz da Câmara Cascudo e che nel corso degli anni, buona parte del mondo culturale brasiliano -ricercatori e studiosi, letterari e storici- abbia ignorato, mostrato indifferenza, se non fastidio per tale forma di cultura popolare, come se quest'ultima fosse di basso pregio, sia per l'aspetto letterario che per l'aspetto artistico (vale a dire cordeis e xilografie). Non solo mancò per molto tempo una storia della xilografia nordestina, ma non veniva nemmeno citata o mostrata alcuna illustrazione in prestigiosi testi e studi folclorici, come se fosse roba da buttare, da usa e getta. Un silenzio colmo di pregiudizi, ma, come ben afferma Eduardo Diatahy B. de Menezes, professor emerito della UFC, " questa produzione dell'immaginario popolare della nostra regione e le sue diverse forme di illustrazione, hanno costruito un crocevia culturale mediante il quale la popolazione subalterna e isolata ha preservato la memoria collettiva dei suoi valori, credenze e sentimenti ed hanno costruito un modo originale e creativo di creare un collegamento fra la realtà e l'espressione simbolica della sue storie, fantasie e sogni. Una cosa è certa- prosegue il professore - il nostro artista popolare crede religiosamente ciò che recita un hadith del Corano : nel Paradiso c'è un mercato dove si vendono immagini". 

Tipografia Padre Cicero -mostra "Xilografos do Juazeiro" Museu do Cearà, Fortaleza

mostra "Xilografos do Juazeiro" presso

Museu do Cearà, Fortaleza, fino al 31 agosto 2012 

 
 
 

Graffitara, militante, femminista

Post n°672 pubblicato il 24 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

L'iniziativa certo non le manca, ha uno sguardo vispo,  in testa, oltre ad avere una massa di capelli, ha pure tante idee.. Panmela Castro, carioca di 30 anni, dalla periferia nord di Rio de Janeiro è diventata parecchio famosa.Basta digitare  il suo nome su internet, sfogliare riviste nelle sale d'aspetto, leggere distrattamente i quotidiani, perchè appaia magicamente lei, sfoderando sorrisi, in posa con le sue inseparabili amiche, le bombolette spray. E' una grafiteira, ma non si è improvvisata..ha studiato disegno e frequentato la locale Scuola di Belle Arti- e si vede- e fin qui tutto normale. La convivenza con la strada, le esperienze personali, i rapporti sociali le hanno però suggerito un modo diverso di impiegare il suo talento. E così da vari anni Panmela, alias Anarkia Bolandona (dove il bolandona- termine tipico carioca- sta per contestatrice), abbina arte urbana e lotta femminista, graffiti e progetti di integrazione sociale, disegni e messaggi di parità fra i sessi.  

Per la sua lotta è stata inserita dalla rivista Newsweek fra le 150 donne che "hanno scosso il mondo" nel 2011. Accanto a lei, nomi come la presidentessa  Dilma Rousseff, Hillary Clinton, Angela Merkel, Oprah Winfrey, Angelina Jolie. Già nel 2010 era stata premiata con il Vital Voices Global Leadership Awards,  premio riconosciuto a donne che lottano per la democrazia. Non pensava di arrivare a tanto e rimane sempre una ragazza di poche pretese e molti fatti. Quello che le sta a cuore, più dei riconoscimenti, è avvicinarsi alle persone, promuovere un cambiamento di mentalità, mutare una certa cultura, un certo modo di considerare la donna.

  I maltrattamenti, l'impunità, , la sessualità e l'uso de corpo, il rispetto per il sesso femminile, la violenza fra le mura domestiche, la legge Maria de Penha... tutto sparpagliato - attraverso bei volti di fanciulla, dolci ma forti- non solo sui muri di Rio de Janeiro,  ma in varie parti del mondo. Ha fatto gruppetto, ha catalizzato altre ragazze che amano graffitare ed adesso, ruinite e forti, armate di spray colorati, partono alla ricerca di muri da riempire. Migliaia di giovani hanno finora partecipato ai suoi incontri. In collaborazione con ONG lei parla delle leggi, racconta la sua esperienza personale, nonchè quella di numerose amiche e conoscenti, informa sui diritti e ciò di cui parla, alla fine, rimane  stampato sul muro, nei murales realizzati tutte insieme.

Di graffiti e graffitari Rio è piena, alcuni bellissimi ed altamente tecnici, ma i suoi hanno puntato sul discorso femminista, mostrando ai colleghi un pò prevenuti - tenacia, volontà, bravura. Quando ha iniziato aveva 23 anni, non c'erano molte donne a graffitare per le strade e le battutine ironiche si sprecavano. La sua famiglia faceva ostruzionismo, il padre disapprovava, la madre era preoccupata. Poi è arrivato il premio Hutús - il più importante nell'ambito della cultura hip hop in America Latina, vinto da lei per ben due volte, nel 2007 e nel 2009, nominata graffitara dell'anno e  del decennio. I genitori si sono acquietati. 

 

Organizza corsi di graffiti per ragazze e bambine, fornisce i materiali, insegna le tecniche base. E' come una catena di S.Antonio.. lo scopo è quella di di diffondere idee e posizioni, di esprimersi pubblicamente con gli spray, di  lasciare una traccia per le città, di far riflettere i passanti, di attirare attenzione da parte dei media. E' tutto successo. E così nel 2010 è nata la Rima, Rete Femminista di Arte Urbana. Le militanti urbane aumentano e si rafforzano.

Il prossimo obiettivo è trovare una sede per la sua organizzazione, in qualche quartiere a rischio, dove traffico di droga e violenza sono all'ordine del giorno. Una sfida la sua, interagire e inseririsi in luogo non facile dove la battaglia, e non solo per i diritti delle donne, ma per i diritti di tutti gli abitanti del quartiere, sono continuamente ignorati.  E il suo è lavoro di volontariato, si intende, e per questo ha bisogno dell'aiuto di tanti, collettivo. La giovane, si divide così fra impegni sociali e impegni artisitici, continua  con la sua arte, fà mostre, a fatica tiene il ritmo per accettare i vari inviti. Di recente è stata anche a Fortaleza, invitata dalla Sebrae, nell'ambito dell'Expo Beleza Nordeste- fiera del settore cosmetico - per fare un mural. Ha deciso per un omaggio alla donna brasiliana, a  Gabriela Libélula, personaggio di Jorge Amado, che tanto le è piaciuto. Una donna estremamente sensuale, una sensualità  a fior di pelle, che incompresa si isola in un bozzolo, per uscirne poi più forte e decisa. Sarà per questo che uno dei suoi miti è anche Frida Kahlo?

 

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°671 pubblicato il 24 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Trio Gato con fome canta "Derby"

 
 
 

Voci dal Brasile

Post n°670 pubblicato il 24 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Trio Gato con fome canta ""Bacharel de gafieira"

 
 
 

Rio de Janeiro - Il Giardino Botanico

Post n°669 pubblicato il 23 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Nonostante prediliga paesaggi creati da Madre Natura, spontanei per così dire, senza interventi di mano umana e costrizioni razionali, il Giardino Botanico di Rio de Janeiro merita. E più di una visita, se, come nel mio caso, lo si vede non sotto una buona luce, con un cielo plumbeo e la pioggia incombente. Merita, perchè è molto esteso  e girare per tutti i 54 ettari e goderseli appieno ci vuole tempo. Merita perchè è un omaggio alla botanica, un pezzo di flora brasiliana, strappata alle foreste e ricreata in forme artificiose. Un viaggio nella vegetazione locale ed esotica, in un luogo che storicamente ha subito processi e trasformazioni. Un giardino in continuo divenire, nella sua lunga vita di 200 anni.

lago Frei Leandro - Victoria regia in fiore

Camminare fra i  trenta viali, intersecati da vialetti, attraversati da canali, segnalati con targhe ed ombreggiati da maestosi Mangifera indica, Couropita guianensis, Carapa guianensis, e Roystonea oleracea,  intitolati ciascuno a botanici, naturalisti, ricercatori, agronomi è come ripercorrere una parte della sua storia. Laddove adesso sorge il Solar da Imperatriz, una elegante residenza di campagna, un tempo c'era la casa dei proprietari di una piantagione di canna da zucchero, l' Engenho de Nossa Senhora da Conceição da Lagoa,  impiantata qui, nei presso della Lagoa de Freitas, nel 1575. Era un latifondo vastissimo che includeva una cinquantina di edifici, fra cui il senzala per gli schiavi. Sono stati ritrovati, nel corso di scavi, oggetti d'uso quotidiano, vestiario, frammenti di stoviglie e resti alimentari risalenti all'ultima fazendeira, Dona Felicidade Perpetua da Cunha. Requisito dal principe regnante Dom João VI, sul terreno venne costruita una fabbrica di polvere da sparo ed esplosivi. La Real Fabrica da Polvora, fondata nel 1808  e smantellata nel 1831, faceva parte delle numerose iniziative prese dalla corte portoghese- appena giunta a Rio da Janeiro- per urbanizzare e migliorare il contesto urbano, produttivo, architettonico, culturale della città, che presentava ancora un' arretrata fisionomia coloniale.

La creazione di un "giardino d'acclimatazione", poi chiamato "orto reale"  e solo successivamente "giardino botanico" rientrava in tale ottica. Era una sorta di nursery per piante native ed esotiche, che giungevano da varie regioni del Brasile o da altre colonie dell'impero. Un luogo adatto, scelto per farle acclimatare,  farle abituare al terreno, in vista di una coltivazione su larga scala. E così giunsero noce moscata, pepe, cannella, canfora, chiodi di garofano ed altri speci vegetali dalle isole Mauritius, thè da Macao.

Il boom botanico si era propagato in tutta Europa alla fine del '700. Naquero i primi orti - come quello dell'Ajuda a Lisbona- vennero organizzate numerose spedizioni scientifiche, proliferarono pubblicazioni, classificazioni botaniche, raccolte e collezioni di materiale,  vennero creati appositi istituti geografici ed accademie, si  stesero mappe, disegni e relazioni, tutto al fine di conoscere e gestire al meglio i territori conquistati,  e soprattutto allo scopo di individuare possibili fonti di guadagno. Contraddistinta da un carattere prettamente pragmatico, la botanica era quindi usata per fini produttivi, prettamente economici. Si studiavano e ricercavano le piante al fine di poterle usare, vendere, riprodurre..dovevano servire a qualcosa, che avessero un uso alimentare, farmaceutico, cosmetico, medico.  Potevano fornire legname per costruzione o ricavare preziose spezie per la cucina, tutti prodotti assai ricercati e costosi. Si spiega così la preoccupazione dei sovrani europei di coltivare e riprodurre le specii utili o pregiate, ossia di impiantare orti botanici ovunque. L'amore per la natura ed il gusto per il paesaggio non c'entravano, e vennero dopo.   

orchidario

Il primo giardino botanico brasiliano, quello di Belem (Amazzonia), quello successivo di Olinda (Pernambuco) e quello di Rio de Janeiro, nacquero tutti così. Tutti e tre ereditarono la "collezione" vegetale (spezie per lo più) provenienti dall'ex colonie francese - conquistate nel 1809 dai portoghesi. Create dai francesi, "La Gabriele"   (Guyana) ed il Jardin de Pampelmusse (Mauritius) erano complessi agricoli modello - che furono debitamente copiati in Brasile- e costituivano la principale fonte di reddito delle due colonie. Oltre alla prima partita di specii esotiche, cui si aggiunsero quelle native, gli orti reali ricevevano piante e semi anche da altre parti dell'impero, la china dal Suriname, i gelsomini dal capo di Buona Speranza, alberi da legname, caucciù, alberi da frutto (avocado, banano, goiaba), indaco e canna da zucchero, in un interscambio mondiale, una  circolazione globalizzata di vegetali, talmente quotati che- in taluni casi- erano stati persino usati come moneta corrente.

Cactario

Il successivo passaggio da azienda agricola imperiale a luogo anche di passatempo e socializzazione, avvenne solo a partire dal 1822, dopo la proclamazione dell'Indipendenza e si consolidò nel 1889, mantenendo negli anni sempre un carattere molteplice di ricerca scientifica, produzione e vendita di esemplari, divulgazione pedagogica- attraverso istituti e scuole agrarie,  nonchè di intrattenimento domenicale per le famiglie benestanti carioca. Il suo biglietto da visita,  impresso anche nel logo del giardino, sono da sempre le altissime palme imperiali (Roystonea oleracea), che accolgono il visitatore all'ingresso, svettanti nei lunghi viali centrali. La Palma mater, prima piantina piantata - in atto simbolico -dal fondatore Dom João nel 1809, sfortunatamente colpita da un fulmine negli anni '70, è ancora religiosamente custodita- quel che ne resta- come una reliqua. Le sue discendenti,  la Palma filia e tutte le altre, vegetano finora indisturbate.

vivaio di orchidee

Fra prati sterminati, macchie arboree, cespugli e viottoli spuntano ogni tanto busti e volti bronzei, irrigiditi dal tempo. Sono gli ex- direttori, antropologi, etnologi, collezionisti, fitopatologi, studiosi di entomologia, professori emeriti, figure di spicco di epoche diverse , ciascuno con la sua storia, il suo personale, fondamentale contributo, ma tutti animati dalla medesima passione... alcuni brasiliani - come João Barbosa Rodrigues, frei Custodio Serrão, Paulo de Campos Porto, Francisco Freire Alemão - tanti stranieri -il tedesco Alexandre Brade, il portoghese Manuel Pio Correa, il francese Auguste de Saint-Hilaire, l'inglese John Wills, lo svedese Albert Logfren, l'austriaco Karl Glasl- che qui giunsero al seguito di missioni scientifiche, o per conto proprio, qui si fermarono affascinati da siffatta vegetazione e qui morirono, altri tornarono da dove erano venuti. Alcuni rigorosamente frati (il carmelitano frate Leandro del Santissimo Sacramento) ed altri rigorosamente scienziati (Aristides Pacheco Leão, Manuel Arruda Camara, Leonidas Damasio). C'è chi sulle piante ci scrisse volumi e volumi, e chi invece  ci ha dipinto, come Margaret Mee. Chi ha individuato specii rare, chi ha creato preziosi erbari, chi si è concentrato sulle orchidee e chi sulle spezie. Tutti  fito-dipendenti..

 

speci del cactario

E' un vero angolo di paradiso e di paradisi vegetali  ne trovi di vari tipi.. da quello giapponese a quello biblico, da quello messicano a quello cactaceo,  da quello sensoriale a quello medicinale. Il clima edenico è interrotto dal passare, raro per la verità, di micro-vetture interne, proposte per svogliati e pigri. Ad ogni angolo panchine per godere con tutti i cinque sensi dei boschetti e della frescura, dei rumori di acque e dei versi degli uccelli, del giocare a nascondino di qualche scimmietta sagui. I bambù immobili si stringono fra sè, i rampicanti si contorcono su tettoie scenografiche, licheni tetri ricoprono imponenti alberi e si chinano mollemente fino a terra. 

 

scimmietta sagui ,detta anche mico (Callithrix jacchus)

Tronchi e rami, scolpiti dalla natura, fanno a gara con statue scolpite dall'uomo.  Affacciate in meditazione su laghetti o quasi ingoiate dalla vegetazione esuberante, classicheggianti e mitologiche, ecco apparire ninfe e dee in tema (Cerere e Diana, Eco e Teti),  un putto alato, volatili- via di mezzo fra cicogne e trampolieri-  ed un cacciatore.. alcuni di marmo, altri di bronzo o ferro fuso, usciti da prestigiose fonderie francesi..come le fontanelle, nel modello detto "wallace", a muro, con cariatidi, copie di quelle sparse per Parigi- o opera dello scultore più famoso del rorocò carioca, il mulatto Mestre Valentim. 

il sistema di canalizzazione e flusso delle acque venne progettato nel 1851 e completato con la creazione dall'acquedotto da Levada.

Nel verde complessivo, tonalità che dilaga e domina per ogni dove, risaltano ancor di più alcune rare costruzioni bianche, piccole serre d'aspetto vittoriano. In una sono ospitate le piante insettivore che, nonostante il nome, appaiono così fragili ed indifese, altro che carnivore..  in un'altra, orchidee in sequenza, accostate, appese, esposte, con accanto il vivaio dove vengono allevate e vendute al pubblico, ma anche anthurium e filodendri. Una varietà di forme, colori, dimensioni, puntinate o melange, bicolori o screziate, frastagliate o allungate..l'orchidario è un piccolo saggio delle tante specie classificate da Alexandre Curt Brade, su è giù per il Brasile. Stranezze e varietà  anche nel vicino bromelario, centinaia di esemplari, dalla più comune ananas alle bromelie rinsecchite della caatinga.

  

orchidee e bromelie in fiore

Di più recente formazione il cactario con varietà provenienti dall'America centrale, Messico soprattutto.. spinose ed acuminate, tondeggianti o a candelabro, a fiore o a vermicello, è la forma qui a farla da padrona. Le acque, tante, scorrono per ogni dove, fluiscono dall'acquedotto da Levada ed alimentano fontane, cascatelle e laghetti. Quello centrale, con un'acqua limacciosa, è dedicato a Frei Leandro, primo direttore del Giardino Botanico. Sulla superficie galleggiano maestose Victoria regia, piatti verdi rigidi e fibrosi, piccole ninfe in fiore e tutt'intorno magnifici esemplari di Ravenala Madagascariensis, quasi giganteschi ventagli mossi dal vento.

lago frei Leandro - Victoria regia

Un giardino maestoso, una cartolina postale di Rio de Janeiro, di cui la corte imperiale andava orgogliosamente fiera, uno spazio da esibire all'estero, senza rischiare di sfigurare. Visitato da grandi personalità, reali e politici,  militari e scienziati, del calibro di Albert Einstein. Ma anche un grande vivaio da cui uscivano piante per addobbare la città, abbellire piazze e viali, da cui partivano migliaia di esemplari e sementi destinati ad Europa e Stati Uniti. Un patrimonio arboreo da vedere e godere, gratis per anziani e bambini. Raccomandato.

 cactus

 
 
 

Cronaca visiva di un lungomare..

Post n°667 pubblicato il 22 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

praia de Iracema

praia de Mucuripe

Espigão Rui Barbosa

Volta da Jurema

praia de Iracema

Mucuripe

Praia de Iracema

Volta da Jurema

Ponte dos Ingleses

praia de Iracema

Beira -mar

Beira-mar

Ponte dos Ingleses

praia de Iracema

 
 
 
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