CLUB FORZA BOLOGNA

PORCEDDA SENZA ONORE - di Guido De Carolis


Porcedda, senza onoreBufera nel club, ultimo sfregio al Bologna fonte: Corriere di Bologna/ Corriere.it«Bologna è una città provinciale», disse Sergio Porcedda. Vero. Una di quelle province sanamente paciose e denuclearizzate, ma da ieri atomizzata e piena di scorie radioattive come dopo una catastrofe. Il sogno dell’imprenditore (ma chissà se è ancora giusto chiamarlo così?) non ha retto neanche lo spazio di un quadrimestre. Salvo imprevedibili e miracolosi capovolgimenti.Bocciata la sua gestione e quell’idea spericolata di guidare un’azienda, con migliaia di tifosi e simpatizzanti, senza averne (per quello fin qui visto) le capacità finanziarie e gestionali. Può già riparare verso Cagliari, ai suoi occhi città di più ampie vedute. La spocchia e i sorrisi si sono sciolti, resta il fumo con cui ha provato ad abbindolare il popolo rossoblù.Per qualche mese c’è pure riuscito. Aiutato da chi ha fatto finta di non vedere, continuando a suonare l’orchestrina mentre il Titanic rossoblù s’era già schiantato contro un iceberg e colava a picco.Oggi è unanime l’urlo «vattene», ma fino a 48 ore fa gli scettici venivano irrisi e additati come disfattisti. A ottobre, quando il presidente bucò il pagamento dell’Irpef, questo giornale titolò: «Un macigno sul futuro rossoblù». La storia ha emesso la sua sentenza: resta solo un filo di speranza che non sia definitiva. Purtroppo paga il club e sconteremo tutti assieme. Colpisce, e spaventa allo stesso modo, vedere con quale facilità la Bologna d’oggi accetti e si sottometta come un vecchio cagnolino stanco e mansueto.Porcedda è l’ultimo sfregio a una città che nell’immaginario collettivo di mezza Italia era sempre stata capitale del vivere bene e degli amministratori virtuosi. Non lo siamo più e l’abisso in cui è precipitato il club rossoblù fa seguito a quello della politica. Il tutto sfocia in un’unica sintesi: decadimento. Cui va aggiunto il ridicolo — gravato dalle certe penalizzazioni per la squadra — di cui ci stanno coprendo in questi giorni. Abbiamo già perso una formazione di basket, ora il rischio è di vedere scomparire pure il calcio perché il fallimento è dietro l’angolo. Infierire su Porcedda è giochino fin troppo semplice, ma pure sterile. Siamo all’ovvio chiedendogli di togliere le tende e di non ripresentarsi mai più. Il calcio è un gioco costoso, ma non solo. Ha ricadute economiche, d’immagine (quasi tutte le più grandi città d’Italia hanno almeno un club in serie A), sociali e storiche. Porcedda ha provato a distruggerle in un sol colpo. In questi mesi abbiamo tentato di capire come il proprietario di un bagno in Sardegna potesse avere le carte in regola per gestire un club che ogni anno esprime un budget di circa 45 milioni. Si sono spulciati conti, fatte visure camerali, si è battuta ogni strada nel tentativo disperato di incappare in un tesoro nascosto. Tutto per il bene della società, del nostro Bologna. Alla fine però abbiamo trovato solo una grotta vuota. Possiamo definire quella del presidente rossoblù una vera follia, inspiegabile resta invece la strategia di Renzo Menarini. La Riviera è disseminata di insegne «Bagno Lido», ne abbiamo uno pure a Casalecchio. Alla luce dei fatti sarebbe stato lo stesso per il Geometra chiedere a un omino qualunque di Cervia di rilevare il Bologna. Il presente è una commedia dell’assurdo, il futuro un dramma. Si è incanalato nel tunnel più nero e a tutti pare con una sola uscita forzata: verso il fallimento. Ora gli unici a poter far qualcosa sono i giocatori. Si sacrifichino per una maglia gloriosa dalla storia centenaria che non merita di essere infangata così. Oggi l’unico simbolo rimasto a questa città è Marco Di Vaio. Il capitano ha, per l’ennesima volta, un doppio grande onere: continuare a segnare e gestire la squadra. Non spetta a lui è vero. È però l’unica speranza di non veder morire un sogno.Guido De Carolis19 novembre 2010