PENITENTIAGITE...

Catena


Oggi ho ricevuto da un’amica questa foto, che trovo, invero, molto evocativa.Mentre la guardavo, pensando che mi sarebbe piaciuto pubblicarla, mi sono accorto che era perfetta per illustrare il mio concetto di appartenenza.Anche a non voler scomodare l’arci-abusato brano di Saint-Exuppery della volpe e del Piccolo Principe, non si può negare che il processo che conduce all’appartenenza sia scandito da due elementi fondamentali: la creazione di un rituale e la consapevolezza di non potersi affrancare da colui che ci possiede.
Tralascio, per ora, le problematiche legate ai rituali e mi soffermo, invece, sulla progressiva presa di coscienza di non potere né voler sfuggire al proprio carceriere; carceriere a cui evidentemente ci si  affida in modo assolutamente volontario senza alcuna forma di plagio o di violenza coercitiva..In genere quando ho la necessità di spiegare a qualcuno cosa significhi per me appartenere, uso un’immagine che mi pare sufficientemente chiarificatrice.In qualche modo la schiava è “ostaggio” e “prigioniera” del suo Padrone. Questo stato di vassallaggio, seppur spontaneamente vissuto, non di rado dà luogo a rigurgiti di orgoglio e tentativi di fuga. Ebbene, così come la convenzione di Ginevra, riconosce ai prigionieri di guerra il  diritto di fuggire, stabilendo la loro non punibilità per tali azioni, così per me una schiava ha tutti i sacrosanti diritti di tentare di affrancarsi da me. Questo suo diritto, però, ha una controindicazione di non poco conto:ogni tentativo fallito la rende un poco più mia.Proviamo ad immaginare che il rapporto che ci lega sia come una lunga catena alle cui estremità ci troviamo noi due. Ora, ogni volta che la mia schiava tenta di rompere questa catena ha solo due possibilità: riuscirci o fallire.Nel primo caso, nessun problema, tornerà da essere una donna libera (ammesso che sia ciò che davvero desidera), nel secondo, invece, sarà come se, di sua mano, avesse accorciato di una maglia la catena che ci lega, catena che tanto più corta diventa, tanto più difficile sarà da spezzare. In altre parole, come diceva Von Clausewitz “non iniziare mai una guerra che non sei certo di vincere”