PENITENTIAGITE...

Marta (seconda parte)


                    Marta dei colori
Da quel giorno tutte le mattine il nonno accompagnava la piccola a spasso e le raccontava i colori che incontravano.Poco alla volta Marta iniziò a catalogare i nomi dei colori che il nonno le descriveva all’interno della sua personale tavolozza di grigi cercando di scomporli e aggregarli in strutture logiche che ne consentissero l’identificazione.Era un lavoro complesso e faticoso che Marta viveva però come un gioco e con la gioia di vedere felice il suo amatissimo nonno.
All’inizio i risultati furono modesti: “che colore è questo?” “uhm...azzurro?” “Ma no! Si è mai visto un tarassaco azzurro?” Il nonno rideva, senza mai perdere la pazienza e la incoraggiava con quella dolce calma che rasserenava la bambina e le infondeva una rinnovata fiducia.Passarono le stagioni, Marta cresceva mentre il nonno si rimpiccioliva sempre più e, purtroppo, come sovente succede, la vecchiaia portò con sé un triste fardello: la vista del nonno cominciò rapidamente a scemare. Dapprima egli parve non accorgersene, sebbene Marta si domandasse come mai la sua vista solitamente così acuta all’improvviso non gli permettesse di distinguere particolari che per lei erano evidenti, poi anche la percezione del colore si ridusse drasticamente: era come se un velo grigio si frapponesse tra lui e il mondo. Marta cercò allora con rinnovato impegno di superare i suoi limiti; si rendeva conto di non avere più molto tempo per imparare dal nonno a distinguere i colori e, nel medesimo tempo, la consapevolezza di quanto quella perdita avrebbe rappresentato per lui la spingeva a voler diventare nel modo più veloce e accurato possibile “gli occhi” del suo amatissimo nonnino.Così venne poi il tempo della logica.Marta aveva oramai imparato ad associare i colori a ciò che vedeva: sapeva che il cielo era azzurro, le nuvole bianche, i prati verdi e, da queste nozioni di base, applicava la sua scala dei grigi per identificare nell’arco del medesimo colore la tonalità o la sfumatura dello stesso.In tal modo distingueva il verde chiaro di una gemma dal verde cupo di un pino.“Non va bene!”, ripeteva il nonno. “Tu vedi col cervello. Non vedi col cuore!”“Vedere col cuore?”Marta per quanto si sforzasse proprio non riusciva a capire come si potesse vedere col cuore.Eppure si rendeva conto che il nonno aveva ragione e che “vedere” non poteva essere una specie di ragionamento.Il suo modo di interpretare i colori aveva poi delle ovvie limitazioni: come quella volta che, poco prima di cena, il nonno le indicò il cielo e le disse: ”Guarda che meraviglia”.Candide nuvole ribollenti venivano inondate da un enorme sole rosso che le infiammava di un porpora intenso. I raggi morenti si stagliavano netti formando una raggiera di fasci di luce che sembravano abbracciare l’intero orizzonte; più in alto, negli squarci tra le nubi, un cielo blu cobalto racchiudeva, abbracciandolo, il mondo ed era ravvivato dai primi sentori di stelle e da una falce di luna immacolata.
“Che bello nonno!” disse la bambina, “peccato per quei nuvoloni grigi”.  “Grigi?”, protestò il nonno. “Ma se sembra un incendio!”Marta rimase perplessa: nel suo personale archivio le nubi andavano dal bianco al nero; erano anzi una riposante eccezione in quel mondo di colori virtuali. Le nuvole erano esattamente come lei le vedeva e invece...Marta allora capì che non avrebbe mai potuto incasellare nella sua memoria l’intero mondo e i suoi colori che, per quanto si fosse sforzata di ricordare e catalogare, la vita le avrebbe sempre riservato delle sorprese e che la conoscenza non può essere un processo esclusivamente logico.Si sentiva frastornata e delusa: tutto quel lavoro e quell’impegno profusi invano. Si era cacciata in un crudele vicolo cieco e, come se non bastasse, il pensiero di aver deluso il nonno le risultava insopportabile.Eppure doveva riuscire! Non era più una questione di semplice conquista personale. Adesso c’era una ragione ben più importante: come un triste sipario la notte scendeva sempre più rapidamente sugli occhi del nonno e lei doveva trovare il modo per imparare a raccontare i colori a quell’uomo per alleviare la pena che, come le era facile intuire, quella cecità avrebbe causato.Marta era una bambina speciale: cominciò a scrutare nei suoi grigi, chiuse gli occhi della mente e si concentrò su quello che “vedeva”. A poco a poco, con immensa fatica all’inizio e poi viva via sempre più agevolmente , si rese conto di una particolare “grana”, di una specifica “vibrazione” insita in ciascuna tonalità che la modificava e la differenziava da quello che prima gli sembrava essere il medesimo grigio.
Lentamente cominciò a ridefinire la sua scala e cominciò a vedere i colori distinti ciascuno nella sua peculiarità.Ovviamente non avrebbe identificato lievi variazioni dello stesso colore. Non sarebbe per esempio riuscita a percepire l’esatta sfumatura dell’azzurro acquamarina degli occhi del nonno però ora i colori le apparivano come verità immediate e non come frutto di un ragionamento.Sarà stata la visione col cuore di cui favoleggiava il nonno,  ma sicuramente rappresentava un enorme successo che riempiva Marta di legittimo orgoglio.E così, mentre gli occhi del nonno si chiudevano definitivamente relegandolo nella spaventosa caverna del buio totale, gli occhi di Marta si dischiusero un poco di più e lei prese a sua volta il nonno per mano e lo condusse per quei sentieri per i quali tante volte era stata da lui condotta.Così Marta riuscì a diventare gli occhi dell’amatissimo nonno. Gli sedeva vicino nelle giornate invernali leggendogli racconti o parlandogli delle loro passate avventure e, non appena il tempo lo consentiva, lo conduceva all’aperto dove lei gli descriveva il mondo circostante con la dovizia e la minuziosità di particolari di chi ha allenato per lunghi anni i suoi occhi a “vedere”.C’era tutto l’amore di Marta per la vita in quelle descrizioni ed era proprio quell’amore e quell’entusiasmo a sorreggere il nonno oramai stanco e sfiduciato nella sua gabbia di buio.La voce della ragazza, Marta oramai era cresciuta, perforava la cupa angoscia di quell’uomo vissuto con gli occhi e che non sapeva rassegnarsi a un mondo senza luce.I racconti e le descrizioni di Marta aprivano squarci nella sua memoria, lo trascinavano fuori da quella  gabbia senza sbarre, gli ridonavano la gioia per una vita, forse oramai alla fine, che meritava di essere vissuta per la ricchezza dell’amore che riceveva.Erano giorni sereni nonostante tutto. Marta sentiva di ripagare in qualche modo i lunghi anni di amorevole istruzione che il nonno le aveva dedicato e nello stesso tempo di godere dell’esclusivo privilegio di essere il centro delle sue attenzioni.(continua...)