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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Messaggi del 26/09/2008

La Principessa di Giada

Post n°258 pubblicato il 26 Settembre 2008 da Kaos_101
 

II  parte...

Non era stato difficile per Lath convincere due garzoni, dietro adeguato incentivo economico, a lasciarsi sostituire nella consegna di frutta e verdura alla casa della Principessa.
Ricapitoliamo:
voi bussate, quando vi sarà richiesto, infilerete il lasciapassare sotto la porta.
Si, si eccolo il lasciapassare, è questo foglio. Dovete averne uno ciascuno: Carl dai il tuo al signore.
Dopo che dall’interno avranno verificato l’autenticità del documento, vi verrà aperto.
Mi raccomando: non entrate subito! Dovete contare fino a dieci prima di entrare, è la regola.
Vi troverete in un ingresso stretto e lungo, quasi un corridoio con solo una porta all’altra estremità che non dovrete aprire per nessun motivo.
Nell’ingresso ci sono dei carrelli, posateci sopra i la roba e uscite facendo attenzione a richiudere bene la porta dietro di voi.
Mi raccomando NON APRITE L’ALTRA PORTA!
L’ultimo che ci ha provato è stato licenziato in tronco e a me serve questo lavoro.
Due giorni dopo una strana coppia bussa al portone della casa di pietra grigia.
Il più alto dei due ha il capo e il torso coperto da un telo bianco su cui poggia un enorme sacco di patate, l’altro più minuto tiene in equilibrio due ceste appese a mo’ di bilancieri ad un’asta posata sulle sue spalle.
Chi è?
Ci mandano compar Olaf e compar Walter per le consegne settimanali.
Lasciapassare!
La voce è roca e stridula nello stesso tempo e affatto gradevole.
I due lasciapassare spariscono sotto la porta; uno scatto e il battente si scosta un poco.
Uno…due…tre…quattrocinqueseisetteottonovedieci!
Ur spinge con veemenza la porta che si apre rivelando un lungo e stretto andito alla fine del quale riesce a scorgere una porta che si sta chiudendo!
Eccoci dentro,
Borbotta compiaciuto.
Se penso che avrei potuto farlo mesi e mesi fa mi viene da prendermi a calci da solo!
Beh, questo è contrario alle regole della cavalleria no?
Non si è sempre detto che gli uomini stanno fuori ad aspettare che le donne si decidano a farli entrare?
Dalle mie parti non funziona così! Dalle mie parti quando un uomo vuole una donna se la prende e se quella non ha nulla in contrario se la tiene!
Siete voi popoli del sud che avete queste usanze da smidollati!
Va bene lasciamo perdere sei troppo barbaro per capire l’amor cortese!
Adesso che si fa?
Che vuoi fare? Si entra no? Siamo venuti apposta per questo e poi c’è una tale puzza qui che non voglio rimanerci un minuto di più.
In effetti la stanza è pervasa da un lezzo di chiuso e di marcio che da togliere il fiato.
Con quattro passi Ur raggiunge la porta interna, la apre e viene ricacciato indietro, quasi fisicamente, dal tanfo che lo colpisce come un pugno allo stomaco.
Per gli Dei, ma che cos’è questo schifo!
Esclama portandosi istintivamente la mano al volto per tentare di ripararsi da quel puzzo insopportabile.
La stanza in cui sono entrati è un ampio salone rettangolare al centro del quale parte un’elegante scalinata che conduce ai piani superiori.
E’ facile intuire che un tempo quella fosse la sala di rappresentanza: il pavimento di marmo finemente intarsiato, le colonne di granito, gli arazzi alle pareti, tutto era destinato a raccontare la ricchezza, l’opulenza, il potere del casato.
Oggi invece quel salone parla di putredine e di decomposizione.
il pavimento è cosparso di generi alimentari marci che spargono i loro liquami e il loro fetore ovunque, gli arazzi penzolano marciti e sfilacciati, le colonne stesse sono ricoperte di una muffa “pelosa” e di un color verde malato.
Su tutto quello sfacelo un brulicare di topi scarafaggi formiche e parassiti di ogni genere.
Misericordia! Ma che significa questo lerciume?
Ur è senza parole Lath, non meno sconvolto di lui, preme con forza il fazzoletto sul naso e guarda come ipnotizzato quel fluire di vita laida e ributtante che riempie la sala.
Presto, via di qui!
Ur attraversa di corsa il salone e sale a due a due i gradini della scalinata, seguito da vicino dal suo compagno d’avventura.
Il primo piano si presenta in condizioni migliori, anche se lo stato di abbandono è evidente, accentuato dallo spesso manto di polvere che copre ogni cosa.
Ma che significa questo? Come può la Principessa vivere in un posto simile?
Ur non riesce a capire, si guarda attorno basito, entra in ogni camera nella vana speranza di scoprire qualcosa che gli parli di quella donna tanto desiderata.
Lath, al contrario, quasi che la sorpresa l’abbia privato della capacità di ragionare, segue il compagno con gli occhi sbarrati e un’espressione di fissità vacua nello sguardo.
Dopo aver ispezionato tutto il piano alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che spieghi quella sconvolgente situazione, non resta loro che salire all’ultimo piano.
Qui il tanfo è molto più sopportabile e anche le stanze sembrano essere meno abbandonate di quelle sottostanti: meno abbandonate, ma pur sempre deserte.
Uno scalpiccio lontano.
Ur si lancia nella direzione da cui proviene il rumore seguito come un automa da Lath, che oramai sembra solo l’ombra senza volontà del suo compagno.
Il rumore si ripete: ora sembra il suono di passi frettolosi sul metallo.
Dietro l’angolo una scala a chiocciola in ferro battuto si avvita verso l’alto.
I due la salgono uscendo finalmente al sole sul tetto piatto dell’edificio, nell’attimo in cui un’ombra, raggiunta l’estremità opposta della terrazza sparisce dietro una torretta di pietra.
Ur respira a pieni polmoni: per la prima volta da quando è entrato in quella casa l’aria è nuovamente pulita e respirabile.
Si ferma un attimo per riprendere fiato e guardarsi attorno
La terrazza, lastricata anch’essa come tutto l’edificio con pietre  grigie irregolari, è ingombra ogni genere di cianfrusaglie; lungo tutto il suo perimetro un muro di circa un metro e mezzo la delimita,  e la protegge.
Quasi al centro della terrazza due pali di ferro a forma di T, conficcati al suolo, sorreggono delle corde dalle quali penzola tristemente quello che un tempo doveva essere uno splendido vestito da sera, pallido ricordo dei fasti di un tempo, ridotto com’è ad un misero straccio macchiato e strappato in più punti.
A terra, sotto quella specie di stenditoio, altri abiti femminili affastellati alla rinfusa.
Pochi attimi per guardare, ancor meno per comprendere e Ur è di nuovo all’inseguimento dell’ombra che continua a sfuggirgli.
Raggiunge la torretta dietro la quale è sparita: un’altra scala che scende. Di nuovo giù verso il tanfo.
La scala finisce in un andito angusto con una porta chiusa a chiave che sbarra loro la strada.
Ur è esasperato, oramai qualcosa più di un barlume di consapevolezza si sta facendo strada nel suo cervello, rendendolo ad un tempo furibondo e leggero.
La porta, marcia come tutta la casa, non resiste alla spallata del guerriero ed esplode in una nuvola di schegge e di polvere che si posa lentamente rivelando davanti a loro la famosa balconata dalle belle vetrate, alla quale così spesso avevano volto lo sguardo sognante.
Al pari di tutto il resto anche questo passaggio dimostra inequivocabilmente i segni del degrado e dell’incuria.
Ancora lo scalpiccio: viene da oltre la balconata.
Ur si incammina oramai senza fretta.


Percorre quello spazio multicolore che varia passo dopo passo a seconda delle tinta delle vetrate circostanti, guarda incuriosito la doppia corda tesa che corre a mezz’altezza lungo tutto il corridoio e, non può trattenere una sonora e liberatoria risata quando, giunto alla fine di quella specie di acquario sospeso a mezz’aria, scopre all’estremità della corda un manichino dalle fattezze femminili montato su una sorta di carrello.
Finalmente ci incontriamo Principessa!
Ur esegue un perfetto e cerimonioso inchino, poi si volta verso Lath e con grande sussiego:
Mio impagabile amico, sono lieto di presentarti l’oggetto dei nostri desideri, la nostra ossessione, il pensiero che ci ha trapanato il cervello in questi lunghi mesi.
Principessa: le presento il mio amico e sodale Lath menestrello delle terre del sud!
NON E’ VERO! NON E’ VERO!
La voce di Lath è un misto dell’urlo roco del gabbiano e del miagolio del gatto in calore.
Taci! Taci! Non dire più niente!
Questo è solo un manichino non è la MIA Principessa.
Lath, amico mio, riprenditi!
Non essere più cieco di un cieco!
Come fai a non capire?
E’ tutto così grottescamente evidente: i vestiti, il manichino, tutto.

Lath ha gli occhi vitrei, si porta le mani alle orecchie come per impedire alle parole dell’amico di raggiungerlo.
Taci! Taci! Non ti voglio sentire!
No non è come dici tu!
Lei è qui da qualche parte!
Credevi davvero che si sarebbe lasciata sorprendere così facilmente?
Lei è la Principessa di Giada, non una donna qualsiasi, probabilmente in questo momento ci sta spiando da qualche nascondiglio segreto e ride della nostra stupidità
Lei è qui!Io lo so, deve esserci!
La voce di Lath ha assunto un tono stridulo e lamentoso, il corpo del menestrello è scosso da un tremito incontrollabile le sue mani si torcono e si avvinghiano l’una sull’altra quasi a trattenere un pensiero che stia inesorabilmente scivolando via.
Ur è stordito dalla reazione dell’amico lo guarda senza capire né il senso immediato né, tantomeno, quello profondo di una simile reazione, poi, da uomo d’azione quale è, afferra Lath sotto le ascelle lo solleva in aria e lo scuote violentemente!
Lath, Lath riprenditi! Svegliati!
Sono sveglio, sono sveglio, mettimi giù.
Ur posa il compagno che si affloscia a terra come un sacco vuoto.
Fai presto tu a parlare!
Domani te ne vai, torni alla tua terra alla tua gente al tuo regno, ma io che faccio?
Dove vado adesso se lei non c’è più?
Devi giurarmi una cosa!
Tutto quello che vuoi Lath, pur di non vederti più così.
Devi giurarmi che non dirai a nessuno cosa abbiamo visto.
Noi non siamo mai stati qui, non siamo mai entrati in questa casa, non abbiamo mai aperto quella porta e non abbiamo mai attraversato quella balconata.
…nemmeno una parola…GIURAMELO!
Va bene hai la mia parola d’onore, ma perché vuoi che non parli di ciò che abbiamo scoperto?
Perché io non voglio rinunciare a credere che la Principessa di giada esista.
Quando sarai partito, resterò solo io a sapere.
Quando sarai andato via non avrò nessuno che mi ricordi di questa maledetta avventura, nessuno che mi dica: ti ricordi che puzza in quel salone?
La memoria è una puttana, si fa trovare e si fa smarrire come vuole lei.
Circondato da questi fessi convinti che Lei un giorno uscirà per scegliere il suo Principe, finirò per credere di aver sognato, finirò per pensare che anche tu fai parte di quel sogno, che non sei mai esistito, che quel brutto ricordo non è altro che l’incubo di una notte stregata.
Io ho solo questo sogno, non uccidermelo, ti prego!
Il giorno dopo, molto prima dell’alba, Ur lasciò per sempre la città di Nasdran.
Non salutò nessuno e nessuno si alzò per salutarlo.
Nella bruma del mattina un uomo lo osservava da dietro gli alberi, ma non avrebbe mai osato chiamarlo o fargli un cenno di saluto.
Non aveva passato la notte sveglio per questo.
Quella notte non aveva dormito né avrebbe potuto dormire tutte le notti in cui Ur fosse ancora stato lì a ricordargli ciò che voleva dimenticare.
Lath non salutava l’amico in silenzio e di nascosto, Lath era lì solo per essere sicuro che Ur si portasse  via per sempre quell’ingombrante ricordo con cui non voleva convivere.
…Lath è sepolto sotto un faggio nel giardino della casa di pietra grigia con una semplice scritta incisa sulla corteccia.


Qui giace Lath il sognatore
Sognò con tutto se stesso
non bastò a far vivere il sogno
.

 
 
 
 

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