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MOBILITA O MILITARIZZAZIONE?


La mobilità, secondo il ministro Brunetta, consiste nella possibilità dello stato di "SPOSTARE" il dipendente(?) secondo le necessità.Questo, assieme alla lotta all'assenteismo, dovrebbe risolvere il problema della produttività nella pubblica amministrazione.Dice il ministro: "Oggi la mobilita' si fa solo con l'assenso dei dipendenti, con il risultato che ci sono degli squilibri, ora invece la mobilita' sara' fatta, con le dovute garanzie, anche se il dipendente non e' d'accordo". E ancora:" "Ci sara' piu' mobilita', oggi e' volontaria, non lo sara' piu"', insistendo sul fatto che "potra' capitare che il dipendente sia spostato a seconda delle necessita': da un'area dove e' meno utile ad una dove lo e' di piu'.Bene, signor Brunetta, anzi male; da dove un ministro prenda il potere di decidere dove un individuo deve vivere non ci è dato saperlo. Certo, molti accetteranno - e Lei potrà dire che è quello che vogliono gli italiani -, ma sarà per necessità, e non per condivisione, come è sempre successo, ad esempio, nella scuola. Spostare a seconda delle necessità dell'azienda senza tener conto delle esigenze del dipendente e forzatamente pena il licenziamento (non può che essere cosi altrimenti non avrebbe senso), non è certo un modo di fare tipico di una democrazia.La cosa che più sconcerta, però, non è tanto la legge in se (la mobilità forzata è cosa gradita da sempre al capitalismo (e dello stato che lo sostiene) che gli da modo di gestire la produzione senza il problema della ricollocazione del personale: o accetti o ti licenzi), ma il principio che ne deriva. Fino ad oggi, e grazie alle lotte operaie, la mobilità è concordata tra datore e dipendente senza nessuna forzatura (come ammette lo stesso ministro), ciò comporta un necessario e continuo confronto tra le parti, inserendo la "FORZATURA", il rapporto non si baserà più sul confronto ma su un rapporto di subalternità del dipendente dal datore dando l'impressione di una "militarizzazione" dei rapporti.La "militarizzazione" è si mitigata dalla possibilità di scelta, ciò non toglie comunque la totale subalternità.L'inserimento di tale principio, a sua volta, porterà a rapporti lavorativi sempre più tendenti a instaurare uno squilibrio tra diritti dei dipendenti e quelli del datore a favore del datore. Il dipendente si troverà a dover decidere ogni volta se val la pena o no, non più in base ad eventuali incentivi ma, più semplicemente e drammaticamente, in base alla necessità di lavorare e dato che in massima parte i dipendenti vivono del proprio lavoro, sarà costretto ad accettare.Questa, come altre proposte del ministro, non sono affatto riforme come vorrebbe farci credere, ma controriforme.