Fu, all’inizio, un’operazione basata sulla fiducia, movimentata da colloqui delicati. Hanno truvato ‘e lampetelle romane a Baia!., ci disse, in tutto segreto, uno dei nostri amici pescatori. Spettò a noi condurre poi una complicata indagine, per avere particolar più concreti. Si mosse il giro delle conoscenze e alla fine potemmo venire a capo della faccenda, non dopo aver assicurato una nostra spassionata iniziativa presso la Soprintendenza alle Antichità per il riconoscimento del giusto premio. L’esplorazione sottomarina del tratto di mare antistante il litorale flegreo non ci aveva dato, quest’anno, frutti apprezzabili. E ciò, malgrado una impegnativa serie di ricerche, nel quadro di una campagna archeologica già preventivamente stabilita. Un primo sopralluogo sulla zona finalmente rivelata , ci mise di fronte a serie difficoltà: i ruderi sommersi che nascondevano le lucerne erano sepolti sotto strati di sabbia e sassi, Per raggiungere i pavimenti delle stanze, inoltre, bisognava sgomberare i vani da enormi massi e sollevare le macerie dei solai. Qualche ottimo esemplare di lucerna, rinvenuto durante questa prima immersione, ci spronava a continuare nell’opera iniziata. I massi più pesanti li avremmo spostati con le apposite sacche da riempire d’aria. Per la sabbia e il fango si scartò invece l’idea di una normale sorbona per non arrecare danni agli oggetti: occorreva invece un’apparecchiatura dalle dimensioni e capacità ridotte. Adottammo così un piccolo compressore (messo a disposizione da Armando Carola, capo equipe, della quale facevano anche parte, tra gli altri, Luigi e Giovanni Lucignano, Migliorini e Massimo Scarpati), cui venne applicato un tubo del diametro di circa cento millimetri, chiuso all’imboccatura da una rete metallica in modo da evitare l’aspirazione anche dei più piccoli oggetti come monete, chiodi, frammenti vari. Alla seconda immersione, andai per primo. Il panorama mi era noto per averlo fotografato più volte, ma stavolta non sapevo da dove iniziare, Mi diressi verso un muro che riuscii ad intravedere nell’acqua non limpida. Nuotai lungo il muro e con le mani rimossi sabbia e detriti in un punto centrale, Scoprii alcune piccole lucerne di fattura semplice. Più tardi, con gli altri, fu possibile raccogliere un centinaio di esemplari prima che l’acqua diventasse una grossa macchia nera. La successiva immersione fu meno caotica; ci dividemmo più dettagliatamente i compiti e cominciammo a lavorare con le sacche di plastica e la sorbona, finché non liberammo diversi metri quadri di fondo. Scoprii uno strato di lucerne con le quali vennero riempiti numerosi cesti che, dietro segnale, calarono dalla barca-appoggio. Era tardi quando decidemmo di tornare e la barca era letteralmente piena di ceste colme di lucerne.
LE LUCERNE ROMANE DI BAIA ( di CLAUDIO RIPA)
Fu, all’inizio, un’operazione basata sulla fiducia, movimentata da colloqui delicati. Hanno truvato ‘e lampetelle romane a Baia!., ci disse, in tutto segreto, uno dei nostri amici pescatori. Spettò a noi condurre poi una complicata indagine, per avere particolar più concreti. Si mosse il giro delle conoscenze e alla fine potemmo venire a capo della faccenda, non dopo aver assicurato una nostra spassionata iniziativa presso la Soprintendenza alle Antichità per il riconoscimento del giusto premio. L’esplorazione sottomarina del tratto di mare antistante il litorale flegreo non ci aveva dato, quest’anno, frutti apprezzabili. E ciò, malgrado una impegnativa serie di ricerche, nel quadro di una campagna archeologica già preventivamente stabilita. Un primo sopralluogo sulla zona finalmente rivelata , ci mise di fronte a serie difficoltà: i ruderi sommersi che nascondevano le lucerne erano sepolti sotto strati di sabbia e sassi, Per raggiungere i pavimenti delle stanze, inoltre, bisognava sgomberare i vani da enormi massi e sollevare le macerie dei solai. Qualche ottimo esemplare di lucerna, rinvenuto durante questa prima immersione, ci spronava a continuare nell’opera iniziata. I massi più pesanti li avremmo spostati con le apposite sacche da riempire d’aria. Per la sabbia e il fango si scartò invece l’idea di una normale sorbona per non arrecare danni agli oggetti: occorreva invece un’apparecchiatura dalle dimensioni e capacità ridotte. Adottammo così un piccolo compressore (messo a disposizione da Armando Carola, capo equipe, della quale facevano anche parte, tra gli altri, Luigi e Giovanni Lucignano, Migliorini e Massimo Scarpati), cui venne applicato un tubo del diametro di circa cento millimetri, chiuso all’imboccatura da una rete metallica in modo da evitare l’aspirazione anche dei più piccoli oggetti come monete, chiodi, frammenti vari. Alla seconda immersione, andai per primo. Il panorama mi era noto per averlo fotografato più volte, ma stavolta non sapevo da dove iniziare, Mi diressi verso un muro che riuscii ad intravedere nell’acqua non limpida. Nuotai lungo il muro e con le mani rimossi sabbia e detriti in un punto centrale, Scoprii alcune piccole lucerne di fattura semplice. Più tardi, con gli altri, fu possibile raccogliere un centinaio di esemplari prima che l’acqua diventasse una grossa macchia nera. La successiva immersione fu meno caotica; ci dividemmo più dettagliatamente i compiti e cominciammo a lavorare con le sacche di plastica e la sorbona, finché non liberammo diversi metri quadri di fondo. Scoprii uno strato di lucerne con le quali vennero riempiti numerosi cesti che, dietro segnale, calarono dalla barca-appoggio. Era tardi quando decidemmo di tornare e la barca era letteralmente piena di ceste colme di lucerne.