Caos ed Essere

Sinossi dei frammenti


Ring composition nel nome del caos. Building roman inverso che percorre l’involuzione, la degenerazione dell’essere verso le intimità più nascoste, quelle inconsce, che lavorano in silenzio piantando i semi delle proprie fragilità in ogni comportamento, concimando il manto umorale, fino a vederne straripare i frutti nell’attimo repentino in cui la deformità dell’alter ego si rivela. La prefazione indica la lotta impari contro le necessità della vita, che lusinga, con le sue vane speranze, l’impossibilità di combattere, mortificando poi ogni impeto e frantumando l’emozione in un caleidoscopio confuso nel quale si alternano i lampi di ogni sensazione che si staglia sul chiaroscuro della voluttà: i frammenti dell’essere, cocci deformi di un puzzle incompleto in cui l’identità si perde, naufraga tra gli abissi dell’anima.  L’amore solca la linea di inizio di una poesia nella cui delicata inconsapevolezza già cominciano a lavorare i ragni cerebrali, che, nell’istante stesso in cui il piacere esplode sulla pelle, preparano le impronte da percorrere, fino a raggiungere il burrone dei propri vuoti. Scivola la passione lungo gli istmi imperfetti del desiderio. La schiavitù incatena il pensiero sul brivido che languido si infrange lungo le linee di un profilo posto sull’altare di un tempio interiore nel quale consumare la devozione, sporca di una veemenza viscerale che implode di continuo nel punto in cui convogliano tutte le fantasie più ardite. Brucia la fiamma sciogliendo la cera, che come pianto scorre lungo lo stelo della malinconia. L’assenza rende densa l’aria di una presenza invisibile che si avverte palpabile in ogni respiro. Un urlo di fiato che colpisce l’aria, condensando le immagini che scorrono in sequenza, come diapositive sbiadite da un tempo interiore paralizzato nell’eone di un’era emotiva marchiata in filigrana sulle crepe di ogni rimbombo sordo del cuore. Il baratro ingoia l’essere, come uno specchio multidimensionale nel quale riflessa c’è la rappresentazione dei propri demoni. La disperazione li nutre, amplificandone la risonanza che, in climax ascendente, comincia ad impossessarsi di ogni pensiero, disegnando la prigione in cui ansimare la claustrofobia di una cattività della quale si è vittime e carnefici. Non esiste chiave per dischiudere le sbarre della galera dell’io. E nella cella delle proprie domande, al cospetto di spettri che stridono come graffi sulle pareti, sordida si insinua la rabbia. Violenza ferina di un’orgia con se stessi. Vomita anatemi, danzando al ritmo incessante di tutte le masturbazioni cerebrali che avide succhiano la ragione, occludendone il regolare scorrere. L’autismo è il ventre nel quale isolarsi, rinchiusi in una realtà parallela della quale l’ossessione è madre e puttana. Stasi apparente di un’apocalisse interiore che fiorisce veleno su ogni cicatrice atavica. La catabasi è un limbo nel quale geme la persecuzione delle proprie elucubrazioni. Ansima il mostro sulla nuca di ogni flash ridondante, paralisi di angosce leccate sulla tagliente lama di un mistero che all’improvviso si rivela nella sua crudele ineluttabilità. In ginocchio sulla soglia di un manicomio intimo, l’ossessione avanza, impugnando la camicia di forza con la quale legare la coscienza. Labile gusto di un’astenia recisa. La pazzia si scioglie tra cuore e reni, diramando  le metastasi di una possessione irreversibile. Io, superio, conscio, inconscio, alter ego, l’ibrido sperimenta la fusione, abbandonandosi ancora ai dettami del caos, padre invocato nel nome dell’insostenibilità di sé. La chiave spalanca le porte dell’esistere, nello scontro ripetuto e costante con le proprie fragilità, e nell’altrettanto ripetuto e costante impatto con la roulette truccata della vita. Non si scappa da se stessi, una lettera scarlatta  che viola l’identità, definendola. Esegesi esoterica il numero, che involucra i frammenti in un dogma trascendentale del quale l’essere è la sintesi. Ciascuna emozione si rafforza di un significato evocativo che ne sublima il senso, nella lotta di un microcosmo antropomorfo costantemente in bilico sulla soglia dicotomica che sfonda  le divergenze comportamentali, fino ad appiattire la percezione verso un unico punto indefinito sul quale tendere lo spasmo di una liberazione che solo tra le braccia della non-vita può  avvenire.  L'autolesionismo è un piacere che non potrei permettermi... 
 Tra le cosce dei pensieri ho leccato l'emozione, involucro la pelle nel sudore di quest'istante in cui l'amplesso con la notte gemita parole...