Racconti a pezzi

11 - Noto


15 agosto 2007. “Il Sindaco di Noto, rende noto”, inizia così l’ordinanza comunale affissa alla bacheca che mi sta di fronte, ispessita dal numero imprecisato di annunci incollati nel tempo l’uno sopra l’altro. La bacheca espone ora in bella mostra l’ultimo avviso del primo cittadino alla cittadinanza. Lo so, è una formula standard, i sindaci di tutti i comuni rendono noto, ma pure il sindaco di Noto? Non potevano trovare un’eccezione per lui? Insomma una ripetizione così, proprio all’inizio, non ci sta troppo bene. Il sindaco di Noto rende noto. Mi perdo in questo bisticcio senza senso, sul quale, fossi stato bambino, avrei trovato molto da dire, fino a sfinire i miei genitori e tutti i grandi che mi stavano intorno, come la storia del paese che si chiama Paese e sta a pochi km da casa mia. Andiamo al paese di Paese. Di che paese sei? Di Paese. Allora sei forse mio paesano? Ma se non siamo dello stesso paese! Allora, come si chiama il tuo paese. Paese. Sì ho capito che vivi in un paese. Anch’io. Ma come si chiama, il tuo paese? Il mio Montebelluna e il tuo, di paese? E avanti di questo passo. Nino!!! Sento che mi chiamano da in cima alla via. Gli altri ormai, hanno passato l’intersezione con la salita dell’Infiorata e sono di fronte alla Cattedrale. La pietra degli edifici tutto intorno, sembra di guardarla filtrata da una lente marrone chiaro, quasi giallo. Il colore del tufo (sembra proprio tufo, ma forse non lo è), ocra intenso, riluce sbiancato dal sole a picco di mezzogiorno. Raggiungo gli altri, che poi tergiversano all’ombra degli alberelli ai piedi delle scalinate della chiesa. A quanto pare siamo fortunati, l'intera costruzionel’hanno rimessa in sesto solo da pochi mesi dopo il terremoto del 1996. Mentre le donne discutono sul da farsi, noi tre ometti intraprendiamo l’ascesa e affrontiamo i gradini che conducono all’ingresso della cattedrale. C’è una gran porta di bronzo scolpito che cattura la mia attenzione. Prima, arrivando, non me n’ero reso conto. C’era una persona accovacciata a chiedere l’elemosina, questo lo ricordo, ma la porta era aperta e a vederla così, da lontano, poteva sembrare anche di legno e comunque totalmente piatta. Invece, da vicino, osservo con un certo stupore, non abituale per me, che è piena di bassorilievi, sculture, scene religiose, credo. La guardo con il piglio di un esperto. Mentre due vecchi vorrebbero farsi fotografare e aspettano che io mi tolga dalle scatole, ma io non ho tutta questa urgenza. Arriva Giò con la sua inseparabile guida e si mette a leggere. La porta è del 1983, dice la guida, e ai miei occhi perde subito ogni attrattiva. Sorrido del mio metro di giudizio così poco scientifico. Mi sembra di essere uno di quelli che pensano di aver fatto un affare solo se hanno speso a sufficienza. Se costa poco, non c’è valore nell’acquisto e quindi niente affare, il che non è sempre vero. Così,se la porta di una chiesa non è almeno del 1700, cosa te ne stai a guardarla? Inetto. Gironzoliamo un po’ per una città sempre più calda e sempre più deserta, finchè Cristina s’inventa la bella idea di entrare in una delle due chiese che fanno da baluardi alla cattedrale, Santa Chiara, mi pare. Saliamo fino in cima per godere del panorama compreso nell’euro versato per la visita, fa sempre più caldo e io continuo a bere. Non so perché, ho il terrore che mi venga una colica renale, o di restare disidratato. Non ci sono delle ragioni particolari, a volte divento ipocondriaco per niente. Mi fisso su qualcosa e nulla me lo leva dalla testa, anzi sto con tutti i sensi tesi a cogliere i minimi sintomi che potrebbero corrispondere alla mia diagnosi preventiva. Sento il caldo battermi sulla testa, il vento attutisce la sensazione di calura, ma non la luce bianca, né il sole che continua a stampare i suoi raggi imperterrito sopra le nostre crape. Ce ne stiamo un po’ nel terrazzo sopra Santa Chiara a guardare in giro, le campane del palazzo vescovile che ci sta di fronte, la piana alle nostre spalle, la gente che cammina di sotto.Guardo Luca e Giulio, e con un cenno di intesa iniziamo la discesa, ormai ho finito l’acqua, me la chiedono tutti, perché nessuno ha pensato di portarsela con sé. Ma dico io, con questo cazzo di caldo, al confine con il mare che confina con l’Africa non potresti pensare che forse è il caso di portarti appresso una mezza bottiglia di un qualche genere liquido?!?! Ormai mezzogiorno è passato da un pezzo, ci riuniamo per decidere sui nostri prossimi spostamenti, in fila indiana, addossati al muro di un edificio che ci garantisce mezzo metro d’ombra. Nicoletta ha rinunciato alla sua pretesa di visitare Modica, non oggi, non con questo caldo. Vorrebbe far sembrare che le dispiace, che lei ci teneva davvero a visitare Modica e fa quella faccia tipica delle donne martiri che vorrebbero tanto ma, sapete, per il bene comune… ma non è un cazzo vero. Andiamo in macchina e, alla faccia di Nicoletta, puntiamo il mare di Capo Passero.(Continua)