Creato da Franzhi il 13/06/2006

Racconti a pezzi

Racconti Liberi a Puntate

 

 

feeling of inadequacy

Post n°61 pubblicato il 18 Marzo 2008 da Franzhi
 

...come quando la tua presenza è indifferente, e tu ti chiedi, che cazzo ci sto a fare io qua?

feeling or inadequacy?

 
 
 

13 - Ritorno

Post n°60 pubblicato il 16 Dicembre 2007 da Franzhi
 

17 agosto 2007. Alla fine abbiamo deciso di partire stasera, risaliremo la penisola “con il favore delle tenebre”. Dopo una giornata passata a mollo in spiaggia e una cena come si deve, salutiamo gli altri e iniziamo la risalita. Da Ragusa a Catania, la strada è abbastanza scorrevole e totalmente buia, alzo l’autoradio e striglio gli occhi. Finalmente raggiungiamo l’autostrada Catania -  Messina. Giò si è sistemata comoda sul sedile del passeggero e sonnecchia. Siamo d’accordo che la sveglio quando arriviamo all’imbarco. Da Catania iniziamo ad incontrare diverse auto che procedono nella nostra direzione, sono quasi le due quando intravedo le luci della costa e la punta della Calabria sonnacchiosa. All’imbarco c’è già coda, mi auguro con tutto il cuore di riuscire a far entrare anche la mia auto nella pancia del traghetto, perché l’idea di aspettare il prossimo, fino alle tre del mattino, mi sembra semplicemente insostenibile. C’è un vento fresco che si intrufola tra le auto in attesa, molta gente con gli occhi assonnati, bambini zombie e macchine cariche di cose, non si riesce a capire se vettovaglie, bagagli o materassini e salvagenti sgonfiati in fretta. La gente fuori dalle auto parlotta, c’è chi tira fuori succhi di frutta, pezzetti di torta, cracker, li offrono al vicino di corsia, fanno due passi con le mani in tasca, guardano in su. Ad un tratto, come spacciatori che si dileguano all’avviso del palo che la polizia sta arrivando, tutti si infilano in macchina. Hanno alzato la sbarra di accesso. Le macchine in coda si rianimano, le luci dei fanali ritornano a pulsare. Le auto si muovono lente, come destrieri difficili da tenere, sobbalzano con accelerate rabbiose per assicurarsi di non perdere il posto nella fila e la precedenza acquisita sul vicino. L’obiettivo è passare sotto quella maledetta sbarra prima che te l’abbassino davanti agli occhi. Mi immedesimo nella parte, e riesco anche a guadagnare un paio di posizioni, acceleratore, frizione, un aggiustatina di sterzo e sono dentro la fila buona. Guardo la sbarra ancora alzata, la nave che continua a mangiare le auto, la Peugeot che mi sta davanti e non si muove…e dai cazzo! Che manca poco! Tiro il motore su di giri, come per voler spingere l’auto che mi sta davanti, mi ascolta e passiamo sotto la sbarra trionfanti, in culo a quelli che ci stanno dietro!
Dal ponte del traghetto, la Calabria sembra una forma scura e sonnolenta appoggiata sul mare, un pezzo di pongo ancora da modellare, puntellato di brillantini, le luci di Villa San Giovanni e, poco più sotto, di Reggio Calabria.
Respiro a fondo l’aria del mare prima di risalire in macchina, sono quasi le tre e ci aspetta un bel pezzo di strada, in questo sabato di controesodo da bollino giallo secondo la società Autostrade.
La Salerno Reggio Calabria è punteggiata di lucine mobili rosse che viaggiano verso nord, come quelle specie animali che quando è l’ora di migrare, senza saperne il perché, si dirigono tutte, in un’unica direzione, verso una zona precisa.  Qui siamo tutti che andiamo in su. A Battipaglia ci fermiamo per riposare un po’, sono quasi le sette, l’autogrill è pieno di macchine cariche di gente che dorme, scende dall’auto, prende un capuccino, va a fare pipi e poi torna nell’abitacolo zeppo di roba. Qualche bambino non vuol saperne di dormire e zompetta sul sedile posteriore mentre la mamma, dal sedile anteriore cerca di convincerlo di stare buono che papà deve riposare per portare tutti a casa sani e salvi. Papà sbadiglia con aria un po’ assonnata, un po’ incazzata. Guardo la distesa di macchine che ci circonda e penso che è Italia anche questa, silenziosa e sconosciuta ai più.
Ripartiamo verso Napoli. Giò si è ripresa e mi dice che Goethe, nel suo “Viaggio in Italia” afferma che “l'Italia senza la Sicilia non lascia immaginare nello spirito, lì è la chiave di tutto”. Sinceramente sono un po’ rincoglionito dopo quasi settecento km guidati di notte e non sto tanto a interrogarmi sul significato profondo di quelle parole, ma penso di essere d’accordo con lui. Mi è piaciuto molto questo viaggio. Lei però continua con le sue citazioni e parla di una scrittrice francese che pare abbia detto "Nel bene e nel male, la Sicilia è l'Italia al superlativo"…Può anche essere, dico.  Metto la freccia a destra, accosto su una piazzola e chiedo a Giò se vuole guidare un po’ lei, sono stanco, il sole è alto e siamo quasi verso Roma, l’autostrada è dritta, è facile guidare. Dai Giò, che se tutto va bene, tra sei sette ore saremo a casa.

Fine

 
 
 

12 - Mal di Marina

Post n°59 pubblicato il 04 Dicembre 2007 da Franzhi
 

16 agosto 2007. L’isolotto di Capo Passero è l’estrema punta sudorientale della Sicilia. La sua parte finale è dominata dalla mole del faro che segna il promontorio in corrispondenza del quale le acque dello Ionio incontrano quelle del Canale di Sicilia. A vederlo da Porto Palo, il piccolo comune di pescatori che si trova dirimpetto al Capo, non mi era chiaro come ci fosse arrivata tutta quella gente sull’isolotto che ci stava di fronte. In giro non c’erano ponti né barche. Eppure quelli che si vedevano dall’altra parte erano ombrelloni, nessun dubbio al riguardo. Mi riusciva difficile però pensare che tutta quella gente avesse nuotato fin là. E subito, da bravo malfidente, avevo pensato ad un barcarolo abusivo o a qualcosa del genere.  In realtà, una volta arrivati sulla spiaggia mi sono reso conto che le cose stavano diversamente. Bastava caricarsi zaini, ombrelloni, frigoriferi e quanto altro di necessario sopra le spalle o in testa, come fanno spesso le donne africane che si vedono nei documentari, e guadare. Sì, volendo si poteva noleggiare qualche pedalò, ma i più si cimentavano nel passaggio a piedi, immergendosi nell’acqua tiepida e placida di quel ramo di mare verde azzurro.  Mi ero messo lo zaino sopra il cappello, l’ombrellone in spalla e mi ero avviato, in avanscoperta, gli altri non si muovevano più a mettersi il costume e io dopo un po’ divento insofferente. Allora, quando mi capita così è meglio che parto. Il livello dell’acqua non mi era mai arrivato oltre l’ombelico lungo tutta l’attraversata.
Presi dall’ansia di Cristina, timorosa che salisse la marea - e poi noi come saremmo ritornati dall’altra parte? - verso le quattro, quando il sole era ancora alto e caldo, ci eravamo già lasciati convincere che era il caso di riattraversare e riprendere la nostra giornata di peregrinare, in cerca di un'altra spiaggia più “sicura” e meno lamentosa. L’insenatura che guarda Capo delle Correnti sembrava fare al caso nostro. Eravamo giunti con il sole che si stava abbassando impercettibilmente all’orizzonte. Anche lì, di fronte alla spiaggia, appariva ben visibile e vicino un isolotto con il faro, Capo delle Correnti, che pullulava di sagome di curiosi. Appena messi giù gli zaini e gli asciugamani, io e Giulio ci siamo fiondati in acqua con l’intento di raggiungerlo a nuoto, ma poi si è messo in mezzo anche Luca, che non sa nuotare. E allora abbiamo fatto tutto il giro fino a dove, la punta estrema della spiaggia sembra toccare la riva dell’isolotto. Anche qui si trattava di guadare, ma il percorso era senz’altro più breve ed il livello dell’acqua più bassa, rispetto alla traversata di Capo Passero. Stare in piedi nel corso del guado però, non era facile a causa degli scogli viscidi e della corrente del mare che esercitava una funzione ulteriormente destabilizzante, spingendoci di qua e di là. In direzione opposta alla nostra continuavano a venire un sacco di persone, per lo più spalmate di una strana poltiglia giallo ocra. All’inizio avevo pensato che si trattasse di una crema particolare, ma poi c’era troppa gente con quella roba addosso. Arrivati dall’altra parte non avevamo perso tempo, ci siamo fermati sul versante sud del Capo e, raccolta un po’ d’argilla da terra, l’avevamo bagnata con l’acqua del mare strofinandola poi sul corpo, come facevano tutti. Il motivo ufficiale, credo, era per proteggersi dal sole, in realtà, vista l’ora non correvamo più il rischio di scottarci, ma il desiderio di assomigliare a tutta quella popolazione spalmata di giallo che vagava per l’isola era troppo forte. Siamo tornati agli asciugamani che sembravamo scappati dai Simpson, con la pelle tutta incrostata di argilla e che tirava dappertutto. Il tempo di far colpo sulle nostre fanciulle che ci eravamo già spanciati in acqua per ritornare del nostro colore originale. Proprio in quel momento, mentre mi stavo grattando via gli ultimi rimasugli d’argilla, in riva e Giò mi si era avvicinata per decantare le proprietà esfolianti dell’argilla, avevo avuto la sensazione che forse era meglio se me ne stavo buono disteso sull’asciugamano invece di imbarcarmi anche per l’Isola dei Simpson. Avevo una strana sensazione, sentivo dei brividi su tutto il corpo e le guance che sfogavano come quando d’inverno si sta per troppo tempo in una stanza eccessivamente riscaldata. Non so spiegarlo, ma tutti abbiamo un momento in cui, da bravi medici di noi stessi, capiamo che sta arrivando qualcosa che non va e iniziamo a rimproverarci di aver esagerato, che non avremmo dovuto fare questo e che era meglio fare quello e così via, ma ormai è troppo tardi... Ecco, mentre Giò mi diceva quanto più liscia sarebbe stata la mia pelle, io pensavo proprio a questo, che avevo esagerato e che avevo la netta sensazione che l’indomani ne avrei pagato le conseguenze, per essere stato tutto il giorno sotto il sole dell'Africa d'Italia,c ome dice De Gregori. Ieri pensavo così.
Ora sono disteso a letto, a guardare le pale del ventilatore che girano silenziose sopra la mia testa, mentre in appartamento non c’è nessuno. E ho la conferma che ieri avevo ragione. Solo io e questo maledetto mal di gola, che mi sembra un controsenso in questa giornata di sereno, mentre tutti sono a godersi il mare e la spiaggia. Almeno ci fosse una televisione in questo appartamento!...magari ci scappava anche un episodio dei Simpson!

(Continua)

 
 
 

11 - Noto

Post n°58 pubblicato il 23 Novembre 2007 da Franzhi
 

15 agosto 2007. “Il Sindaco di Noto, rende noto”, inizia così l’ordinanza comunale affissa alla bacheca che mi sta di fronte, ispessita dal numero imprecisato di annunci incollati nel tempo l’uno sopra l’altro. La bacheca espone ora in bella mostra l’ultimo avviso del primo cittadino alla cittadinanza. Lo so, è una formula standard, i sindaci di tutti i comuni rendono noto, ma pure il sindaco di Noto? Non potevano trovare un’eccezione per lui? Insomma una ripetizione così, proprio all’inizio, non ci sta troppo bene. Il sindaco di Noto rende noto. Mi perdo in questo bisticcio senza senso, sul quale, fossi stato bambino, avrei trovato molto da dire, fino a sfinire i miei genitori e tutti i grandi che mi stavano intorno, come la storia del paese che si chiama Paese e sta a pochi km da casa mia. Andiamo al paese di Paese. Di che paese sei? Di Paese. Allora sei forse mio paesano? Ma se non siamo dello stesso paese! Allora, come si chiama il tuo paese. Paese. Sì ho capito che vivi in un paese. Anch’io. Ma come si chiama, il tuo paese? Il mio Montebelluna e il tuo, di paese? E avanti di questo passo. Nino!!! Sento che mi chiamano da in cima alla via. Gli altri ormai, hanno passato l’intersezione con la salita dell’Infiorata e sono di fronte alla Cattedrale. La pietra degli edifici tutto intorno, sembra di guardarla filtrata da una lente marrone chiaro, quasi giallo. Il colore del tufo (sembra proprio tufo, ma forse non lo è), ocra intenso, riluce sbiancato dal sole a picco di mezzogiorno. Raggiungo gli altri, che poi tergiversano all’ombra degli alberelli ai piedi delle scalinate della chiesa. A quanto pare siamo fortunati, l'intera costruzionel’hanno rimessa in sesto solo da pochi mesi dopo il terremoto del 1996. Mentre le donne discutono sul da farsi, noi tre ometti intraprendiamo l’ascesa e affrontiamo i gradini che conducono all’ingresso della cattedrale. C’è una gran porta di bronzo scolpito che cattura la mia attenzione. Prima, arrivando, non me n’ero reso conto. C’era una persona accovacciata a chiedere l’elemosina, questo lo ricordo, ma la porta era aperta e a vederla così, da lontano, poteva sembrare anche di legno e comunque totalmente piatta. Invece, da vicino, osservo con un certo stupore, non abituale per me, che è piena di bassorilievi, sculture, scene religiose, credo. La guardo con il piglio di un esperto. Mentre due vecchi vorrebbero farsi fotografare e aspettano che io mi tolga dalle scatole, ma io non ho tutta questa urgenza. Arriva Giò con la sua inseparabile guida e si mette a leggere. La porta è del 1983, dice la guida, e ai miei occhi perde subito ogni attrattiva. Sorrido del mio metro di giudizio così poco scientifico. Mi sembra di essere uno di quelli che pensano di aver fatto un affare solo se hanno speso a sufficienza. Se costa poco, non c’è valore nell’acquisto e quindi niente affare, il che non è sempre vero. Così,se la porta di una chiesa non è almeno del 1700, cosa te ne stai a guardarla? Inetto.
Gironzoliamo un po’ per una città sempre più calda e sempre più deserta, finchè Cristina s’inventa la bella idea di entrare in una delle due chiese che fanno da baluardi alla cattedrale, Santa Chiara, mi pare. Saliamo fino in cima per godere del panorama compreso nell’euro versato per la visita, fa sempre più caldo e io continuo a bere. Non so perché, ho il terrore che mi venga una colica renale, o di restare disidratato. Non ci sono delle ragioni particolari, a volte divento ipocondriaco per niente. Mi fisso su qualcosa e nulla me lo leva dalla testa, anzi sto con tutti i sensi tesi a cogliere i minimi sintomi che potrebbero corrispondere alla mia diagnosi preventiva. Sento il caldo battermi sulla testa, il vento attutisce la sensazione di calura, ma non la luce bianca, né il sole che continua a stampare i suoi raggi imperterrito sopra le nostre crape. Ce ne stiamo un po’ nel terrazzo sopra Santa Chiara a guardare in giro, le campane del palazzo vescovile che ci sta di fronte, la piana alle nostre spalle, la gente che cammina di sotto.
Guardo Luca e Giulio, e con un cenno di intesa iniziamo la discesa, ormai ho finito l’acqua, me la chiedono tutti, perché nessuno ha pensato di portarsela con sé. Ma dico io, con questo cazzo di caldo, al confine con il mare che confina con l’Africa non potresti pensare che forse è il caso di portarti appresso una mezza bottiglia di un qualche genere liquido?!?! Ormai mezzogiorno è passato da un pezzo, ci riuniamo per decidere sui nostri prossimi spostamenti, in fila indiana, addossati al muro di un edificio che ci garantisce mezzo metro d’ombra. Nicoletta ha rinunciato alla sua pretesa di visitare Modica, non oggi, non con questo caldo. Vorrebbe far sembrare che le dispiace, che lei ci teneva davvero a visitare Modica e fa quella faccia tipica delle donne martiri che vorrebbero tanto ma, sapete, per il bene comune… ma non è un cazzo vero. Andiamo in macchina e, alla faccia di Nicoletta, puntiamo il mare di Capo Passero.


(Continua)

 
 
 

10 - Ragusa Ibla

Post n°57 pubblicato il 11 Novembre 2007 da Franzhi
 

14 agosto 2007. Finalmente anche l’ultimo di noi è riuscito a farsi la doccia e possiamo partire per Ragusa. Il bello di condividere l’appartamento con altre persone è che il divertimento non manca; il brutto, in questo caso, è disporre di un solo bagno. Ma anche per oggi è andata e siamo tutti quanti belli profumati e pieni di crema doposole, pronti per avviarci verso Ragusa.
Quando abbiamo deciso di prendere l’appartamento a Marina di Ragusa, pensavamo tutti di essere a due passi dalla città invece ci sono 22 chilometri a separarci dal capoluogo di provincia. Il fatto è che, dopo un po’, la passeggiata serale lungomare stanca, sembrano tutti uguali, i lungomare, soprattutto in questi giorni infuocati di ferragosto e dintorni. A pensarci in questo momento, solo i murazzi del lido di Venezia, mi si presentano come una passeggiata lungomare diversa, ma forse è solo perché l’ultima volta ci sono stato d’inverno, insieme a Giò.
La strada che conduce a Ragusa è una linea retta, scarsamente frequentata a quest’ora dove, per lo più, si incontrano auto che vanno in direzione opposta alla nostra. Arriviamo in centro e parcheggiamo proprio di fronte al municipio, nel piazzale delle poste. Ogni volta che mettiamo giù la macchina Luca e Giulio si guardano in giro circospetti, svitano l’antenna dalla cappotta della loro Bravo noleggiata e la ficcano dentro il baule. Sembrano due agenti segreti in missione, penso, gli manca solo l’auricolare. Adesso togliete anche le ruote e mettete la macchina su quattro mattoni? chiedo. No, mi risponde serio Luca, ci avevamo pensato, ma la chiave che c’è sul kit degli attrezzi è spannata. Ah, continuo io serio, capisco. No perché, proseguo, sarebbe davvero un fastidio doversi trovare senza ruote a 22 km dal nostro appartamento e per di più la sera della vigilia di ferragosto! Eh, sì, si intromette Luca, ma cosa possiamo farci, dobbiamo correre il rischio. Mi guardo in giro, la piazza è deserta, illuminata a giorno da almeno 5 lampioni. Secondo me, dico io, qui sono tutti in ferie e se ne fottono proprio delle vostre ruote, potete stare tranquilli. Speriamo, sospira Luca.
Giò è avanti, insieme a Cristina e Nicoletta, le fidanzate rispettivamente di Giulio e Luca. Stanno cercando un posto per la cena, ma ci sono ben poche anime vive in giro, anche se sono solo le otto di sera. Sullo spiazzo davanti alla Cattedrale incontriamo alcuni signori che ci consigliano di scendere verso Ragusa Ibla, l’altro “pezzo” di Ragusa, lì  - ci dicono – è pieno di ristorantini e altre cose che saziano gli uomini e incuriosiscono le donne. Scendiamo la strada fino a raggiungere la scalinata che unisce i due centri.
A vederla da quassù Ragusa Ibla sembra un presepe. Una lucina per ogni casa, il centro abbarbicato su un pendio scosceso, le viuzze che si perdono tra i tetti. Rimaniamo un po’ lì a guardare in silenzio lo spettacolo che si presenta sotto i nostri occhi, disturbato di tanto in tanto dal rombo di qualche auto che passa tra i due centri. Al di là del rimbombo provocato dai motori, tuttavia, anche i fari delle macchine, che corrono sulla strada piena di curve e lambisce i centri delle due Raguse, contribuiscono ad aumentare il fascino del panorama che ci troviamo davanti.
Iniziamo la discesa, gradino dopo gradino, e poi risaliamo le vie di Ragusa Ibla, tra gli sbuffi di Nicoletta, che per la serata non ha scelto le scarpe più adatte. Il fondo di sassi e la pendenza della stradina che stiamo percorrendo non si addicono proprio alle sue scarpette luccicanti a mezzo tacco. Luca geme sotto gli sbuffi della sua bella. Finalmente raggiungiamo il centro di Ragusa Ibla, decisamente più vivo, rispetto al centro della città gemella. Seduti al tavolo di un ristorante, abbiamo il nostro bel da fare a spiegare a Cristina che il Brunello è un vino toscano e generalmente è di Montalcino e non d’Avola. D’Avola, invece è il nero, che sorseggiamo con piacere in questa sera d’estate, tra le prelibatezze della cucina siciliana.

(Continua)


 
 
 

TROVA RACCONTI

Seleziona tra i tags i racconti precedentemente pubblicati. Le puntate sono contrassegnate da un numero progressivo crescente. Buona lettura!
 

TAG

 
 

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

mariomancino.mgimarcalicciardi.annam2011ambra962LadyAileenlolitascrittricem.avalonvale462003VentoDiPoesiaamoregmrossi2004poetellaperdersinelleparolelorettazuinpapercut87moliere1955
 

ULTIMI COMMENTI

quel tizio che ha scritto “Sonia ti amo, perdonami” ecco,...
Inviato da: Anonimo
il 22/05/2008 alle 14:53
 
E' sì caspita Checco come ti permetti,un racconto in...
Inviato da: Anonimo
il 19/05/2008 alle 08:09
 
Già, mi scuso con tutti i lettori, ma ho fatto male il...
Inviato da: Franzhi
il 18/05/2008 alle 13:33
 
lunedì 12 maggio 2008 13.41 E presto anche l’ultimo...
Inviato da: Anonimo
il 17/05/2008 alle 21:37
 
Promette bene! : ) Cristina
Inviato da: Anonimo
il 07/05/2008 alle 11:47
 
 

AREA PERSONALE

 

FACEBOOK

 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963