freedomwriter

the invisible


Arriva per tutti un momento, nella propria vita, in cui inevitabilmente ci si deve rendere conto di aver perso qualcosa. Non so esattamente quando fosse arrivato per me quel momento né tantomeno avevo idea di cosa o chi avessi perso e il perché. Tutto quello che so è che improvvisamente mi ritrovai solo, solo in mezzo ad almeno una dozzina di persone come se mi fossi, per la prima volta, svegliato dopo un sonno durato 24 anni, come se non mi fossi mai realmente reso conto di cosa significasse essere se stessi. Mi ritrovavo dopo un tempo apparentemente interminabile a scoprire che per tutto quello stesso tempo avessi vissuto la vita di un altro; o forse era quello che cercavo a tutti i costi di propinare a me stesso. Come per nascondere che, per la prima volta, non so come, non ero più l’uomo sicuro di sé, capace di gettare tutti ai suoi piedi senza batter ciglio semplicemente per il gusto di farlo. In qualche modo dovevo dare una spiegazione logica a quello che mi stava succedendo… doveva essere così. Eppure più riflettevo sulla questione più mi convincevo del fatto che tutti i miei ragionamenti non avevano senso e quando finalmente rinsavii mi sentii peggio di prima. Stavo male: Stavo in qualche modo assurdo e ignoto soffrendo. Fisicamente mi sentivo benissimo, sano come un pesce tuttavia inspiegabilmente ero come infetto da un virus dalla manifestazione insolitamente tardiva e mentre trepidante cercavo di fare mente locale per ricordare se mai avessi potuto sorvolare su qualche ipotetico sintomo capii che per fare capo alla questione c’era una sola cosa che potessi fare. Per quanto l’idea non  mi piacesse , per quanto cercassi alternative valide a quello che avrebbe potuto essere se non un tentato suicidio, peggio, dentro di me non faceva che aleggiare la malsana quanto sempre più convincente sensazione che un’analisi  della mia breve vita avrebbe fatto al caso mio.