Alla FiNe Ci RiuScì!

Il MiO GiALLo


Quello che segue è l'ottavo capitolo del giallo che sto scrivendo e che è in dirittura di arrivo. A voi l'ardua sentenza....VIIIDopo pranzo, se pranzo poteva chiamarsi un etto di prosciutto crudo, un panino e un caffè, rientrò in ufficio. Si sedette alla scrivania, dove con pazienza, si mise a firmare una montagna di carte, che diligentemente gli avevano fatto trovare in bella mostra, accompagnate da un biglietto: -le firmi per favore-. Il braccio andava da solo ma la testa, quella, seguiva traiettorie personali, ma tutte andavano in una sola direzione. Chissà perché si era fatto persuaso che l’omicidio era in qualche modo collegato con la scomparsa del ragazzo, anche se niente fino a quel momento poteva metterli in relazione. Ma quell’idea non lo abbandonava. Era come se da qualche parte dentro la sua testa qualcosa si fosse inceppato, come un ingranaggio che non girava più a causa di un granello che si era insinuato fra i denti di quelle ruote che erano i suoi pensieri, ma cosa era quel granello, quel sassolino che non permetteva alla mente di girare? Niente. Irremovibile l’ingranaggio restava fermo, anzi no come un trenino a molla si caricava e si  riavvolgeva in continuazione. L’ultima firma la mise che erano quasi le otto di sera. Decise di tornarsene a casa. La frescura che provò uscendo dal commissariato era piacevole, ottobre quell’anno stava regalando ancora giornate calde. Ad ogni passo Enrico sentiva crescere dentro di lui la voglia di non rintanarsi subito tra quattro mura ma di infilarsi tra i vicoli stretti del centro storico a quell’ora semi deserti. Camminò a lungo e pensò molto. La sparizione del ragazzo, l’omicidio di quell’uomo gli avevano ricordato che lui era comunque un poliziotto, la monotonia estiva gli aveva messo addosso una specie di letargo ma ora violentemente se ne era risvegliato. Quel cadavere gli aveva rimesso in circolo quel virus che spinge fin da piccoli ad essere guardie e non ladri. E lui come guardia doveva necessariamente essere pronto, sveglio e non farsi impoltrire dal noioso andazzo di una cittadina come quella. Infilandosi in vicoli sempre più stretti e arrampicandosi su, per viuzze sempre più ripide arrivò in uno slargo che  apriva direttamente la vista sul castello bizantino che dominava la città vecchia. Era stato restaurato da qualche anno e le sue torri circolari imponenti e massicce, dall’altro lato del profondo fossato,  sembravano essere state piantate sulla roccia in un sol colpo e non costruite un pezzo alla volta. L’aria si era fatta ancora più fresca e da mare si era levata la solita brezza serale. Si diresse verso un muretto proprio vicino a quello che doveva essere stato un tempo il ponte levatoio ora sostituito da una grande passerella in legno che poggiava su delle arcate in pietra che tradivano la recente epoca di costruzione. Si affacciò e ciò che vide gli calmò spirito mente e corpo. La fila di luci si protraevano  verso nord faceva riconoscere tutta la litoranea, concentrandosi si potevano distinguere le fievoli luci di Vietri e poi più su quella che era la costiera Amalfitana con le sue rocce a picco e le sue calette deserte e irraggiungibili. Pensò a Roma, ai suoi amici  e colleghi, ma non provò nostalgia, semplicemente li ricordava come tali, amici e colleghi. Capì in un solo istante quello che da tanto cercava di tenere nascosto a se stesso e agli altri. XXXX era un paese che si amava subito o si odiava fino a farti scoppiare le viscere e lui quella sera capì che, internamente si sentiva in piena salute. Si accese una sigaretta, diede tre tiri e la gettò a terra gli sembrò che con il fumo stesse contaminando la tela di un prezioso quadro. Continuò a fissare le luci del lungomare, la brezza portava fin lassù il rumore della risacca ad una cinquantina di metri sotto di lui, dove le leggere onde si infrangevano su rocce in quel punto ripide e taglienti. Si chiese che ore fossero ma non voleva distogliere lo sguardo da ciò che gli stava offrendo quella sera…….