ombra e fantasia

una pagina triste.


Dopo i fatti di Oslo degli scorsi giorni, non riesco a non associare le azioni dell’uomo colpevole dello scempio (non è solo un caso se lo chiamerò uomo), a quelle di coloro che, con calcolata freddezza, separavano le madri dai loro figli e riuscivano come per lavoro a rasare a zero persino le teste dei bambini che urlavano dal terrore, per poi garantirgli una fine atroce e univoca, privando per sempre tutta l’umanità di una buona fetta di dignità. L’onta che ci ha macchiato durante la seconda guerra mondiale, sembra star lì quasi a voler dimostrare la resistenza da parte del lato più spregevole della nostra natura ai tentativi di rielaborare, di scongiurare la ripetizione dell’orrore storico, di superare la vergogna, che la comunità umana ha cercato di fare nei decenni successivi, e lo dimostra con questi episodi odierni, in una nazione fino ad ora considerata un esempio di civiltà, che non fanno che sponsorizzare le ciniche azioni perpetrate dall’uomo contro l’uomo. Da chi dunque? dall’uomo. Se penso che c’è quasi un’esigenza nel nostro essere, che richiama ad esistere una forma di mostruosità collettiva, l’unica reazione è un urlo disperato dal profondo dell’anima. E allora? Se mostri siamo, se davvero un’esigenza c’è di far emergere la brutalità dell’idea di pace sociale, la tentazione è pensare che lo dovremmo essere in altro modo, come attraverso la punizione esemplare di chi osa offendere, infangare e deturpare la grazia della vita, la bellezza dell’esistenza, lo splendore delle luci delle giovani generazioni. Se dopo aver dimostrato la sua natura di mostro, l’uomo di Oslo si è consegnato dunque alle forze dell’ordine, quasi a proporsi ai suoi fanatici proseliti come figura di martire, che il ripudio delle genti si abbatta su di lui, in modo lento ed esemplare. Non martire ma oggetto di vergogna collettiva e, ripeto, collettiva.