ombra e fantasia

Ciao amici, non so il motivo per cui mi trovo oggi a scrivere queste parole e soprattutto a rivolgerle ad un pubblico di lettori di cui non immagino l'origine. Quello che so, è che mi piace condividere alcuni miei pensieri, e credo faccia bene a tutti il poter riflettere e condividere le proprie conclusioni con altri.

In questo momento, di una vita non sempre facilissima ma piena di cose che riescono sempre a stupirmi e a darmi voglia di sapere cos'altro ci sarà, le mie riflessioni spesso convergono sulla libertà di parola e su quella di pensiero. Sul concetto di libertà dunque, senza allontanarmi troppo dalle attinenze alle cose che poi accadono. Chiaramente la mia finestra di osservazione non può che essere il mio mondo, quello della società in cui vivo e nel tempo in cui io vivo. Rispetto ad altri riferimenti la fatica è davvero grande e, seppur tutto sia possibile, risalire ad altri contesti, nello spazio e nel tempo, è cosa che reputo non necessaria comunque a poter fare due conti semplici e trarre alcune deduzioni.

Dagli anni novanta conosciamo in Italia un periodo storico che ha dovuto far sì che ciò che era definito di dominio pubblico facesse i conti, o si scontrasse, con quelli che un tempo erano definiti interessi privati o comunque per pochi. Ci siamo abituati alle ingerenze private riconosciute come di dominio pubblico, e abbiamo imparato anche ad apprezzarne le prerogative (non so pensare a una vita senza le televisioni o le radio private). Eppure non è sempre stato così. Prima di questo, negli anni sessanta e settanta in realtà non tutto era di libero accesso al privato e nessuno si sarebbe mai sognato un telegiornale se non da una emittente RAI ad esempio.

Un'altra questione cruciale, che peraltro si sovrappone e complica la precedente, sta nel riconoscere i cosiddetti domini, ovvero la dimensione del possesso privato, specialmente se si tratta di beni rivolti a persone che li useranno per anni e generazioni.

In questi anni abbiamo processato le intenzioni dei possessori di canali televisivi e giornali, ci siamo guardati bene dal comprare beni o servizi senza conoscerne l'origine, la proprietà, o l'appartenenza ideologica, e nonostante tutto, torna alla mente un pensiero: quante delle cose che pensiamo o facciamo sono davvero frutto di una nostra libera volontà, e non sono invece prodotti come qualsiasi costruttivista sarebbe felice di dichiarare, di un lavoro ben studiato e ponderato per influenzare le masse e indurle in comportamenti determinati e precisi?

Una risposta a questi amletici interrogativi non è possibile darla, ma il dubbio io ce l'ho, e solo il dubbio giustifica una voglia grande di muovere qualcosa e di svegliare le menti (la mia compresa) che sotto questa nefasta ipotesi si troverebbero eventualmente in una sorta di coma profondo, di letargo. Sarebbe terribile, sarebbe il vero male del secolo, e a giustificarne l'ipotesi basterebbero banalmente i libri di storia contemporanea, quella che per ironia risulta tanto difficile da credere e da interiorizzare quanto più vicina è a noi nel tempo. Nessuno sconforto, nessun timore, ma proverò a pensare a dei criteri e a dei metodi per non subire induzioni potenziali di cui magari non ho mai avuto percezione.

Arrivederci.