Sentimentalmente

...con le guance colorate coi petali di geranio.


La poetessa iraniana Forough Farrokhzad, nata a Teheran nel 1935, è stata, nella sua breve vita ,una  donna islamica fortunata nel senso che intendiamo noi. Sposa a 17 anni, subito madre e divorziata.  La sua poetica  è quella di una donna appassionata che si trovava a vivere in un paese dove, se forse non c'era quella gran libertà politica, c' era almeno la libertà di vivere la propria vita, anche dal punto di vista della morale. Era l’Iran degli anni ‘50 e ‘60 con lo Scià e la dolce vita persiana, ben diverso dalla teocrazia instaurata successivamente da Khomeini: e infatti la rivoluzione islamica del 1979 mise al bando le opere della Farrokhzad.  E' stata la mia curiosità a farmi conoscere questa scrittrice.Forough viaggiò in Germania e Francia, soggiornò a lungo in Italia, girò film e documentari. Si legò a un altro poeta, Nader Naderpur, vivendo di provocazioni che la portarono a sfidare le autorità religiose e i letterati più conservatori: chiedeva con insistenza di poter godere del proprio corpo, contestando il ruolo della donna nel matrimonio tradizionale e nella società. Poi trovò l’amore della sua vita, lo scrittore e regista Ebrahim Golestan: una passione tempestosa, un alternarsi di litigi e quiete felice.  Dopo un litigio con lui , tornando da una visita alla madre si schiantò con la sua jeep: l’incidente pose fine alla sua vita a soli 32 anni. 
 "Se ne sono andati quei giorni"Una poesia di Forough Farrokhzad carica di struggente malinconia per i giorni andati. Se ne sono andati quei giorniquei bei giorniquei giorni freschi e intensiquei cieli ricolmi di perlinequei rami carichi di ciliegiequelle case appoggiate l’una all’altraal verde riparo dell’ederaquei tetti di aquiloni giocosiquei viali inebriati dall’odore delle acacieSe ne sono andatiquei giorni quandosgorgavano dalle mie palpebre,come bolle colme d’aria,le mie canzoniil mio sguardo sorseggiava, come latte fresco,tutto quanto scorgevacome se vivesse tra le mie pupillevivace lepre della felicitàal mattino, insieme al vecchio sole,scendeva nelle piane sconosciute della curiositàe alla sera si perdeva fra i boschi delle tenebreSe ne sono andatiquei giorni innevati e quietimentre dietro la finestra,nel tepore della stanza,restavo incredula a guardarela mia candida nevecadere lenta come morbida peluriasulla vecchia scala di legnosul filo sottile dei pannisui capelli di pini antichie pensavo a domani, ah domani,bianca sagoma scivolosaDomaniiniziava con il fruscio del velo della nonnae la sua confusa ombra nel quadro della portache d’un trattosi abbandonava nel freddo senso della lucenella vaga scia delle colombe in volotra i colori delle vetratedomani…Assonnata dal tepore della stufalontano dagli occhi di mia madrecancellavo rapida e audacela firma della maestradai vecchi compitiQuando cessava la nevevagavo triste nel nostro giardinoe seppellivo i miei passeri mortisotto i gelsomini arsi e spogliSe ne sono andatiquei giorni d’incanto e stuporequei giorni di sonno e di vegliaquando ogni ombra celava un segretoogni scrigno nascondeva un tesoroogni angolo del ripostiglio,nella quiete del mezzogiorno,pareva un mondoe chi non temeva quel buiopareva un eroeSe ne sono andatiquei giorni di festa,l’attesa del sole, l’attesa dei fioriil fremito fragrantedel mucchio timido e silentedei narcisi selvaticiche salutavano la cittànell’ultimo mattino d’invernoe la voce dei venditori ambulantilungo i viali macchiati del verdeIl mercato era intriso dagli odori vagantil’odore acre del pesce e del caffèil mercato, sotto i passi della gente,si estendeva, si allargava e si mescolavaa ogni attimo del camminoe roteava in fondo agli occhi delle bamboleil mercato era mia madreche andava in frettaverso tutto ciò che colorato fluivae tornavacon ceste piene e regali impacchettatiil mercato era la pioggia che cadeva,cadeva e cadevaSe ne sono andatiquei giorni di stupore dei segreti del corpoquei giorni delle timide conoscenzedella bellezza azzurra delle vene di una manocon un fiorechiamava, oltre il muro,l’altra manoe piccole macchie d’inchiostrosulle mani impaurite, confuse e tremantipoi l’amoresvelarsi in un timido salutoTra il fumo e il calore del mezzogiornocantavamo nelle stradine polverose il nostro amoreconoscevamo l’ingenuo idioma del fiore messaggeroportavamo i nostri cuorial giardino delle candide tenerezzee li prestavamo agli alberie la palla, con i baci vaganti,passava di mano in manoera l’amorequel sentore confuso nel buio dell’atrioche d’improvviso accerchiava e rapivatra i respiri e i palpiti infuocatitra i piccoli sorrisi rubatiSe ne sono andatiquei giorni,come le piante marcite nel caloresi sono arse sotto i raggi del solee sono smarritequelle stradine ebbre dal profumo delle acacienel chiassoso tumulto di una strada senza ritornoe la ragazza che tingeva le sue guancecoi petali dei geraniora, è una donna sola,una donna sola.Forough Farrokhzad