Sono trascorse da poco le feste che mi hanno riportata colla mente a quei giorni lontani di bambina , che trascorrevo nella grande casa di papà in campagna. Tutto era meraviglioso, ma la cucina è rimasta nel mio animo,ricordo acceso come la stufa di allora, nel piacevole e struggente bruciare del legno,mobili lingue di fuoco, che stagliavano sui muri stinti guizzi lampeggianti pieni di poesia e che ora sono ardente nostalgia . E allora come non ricordare l'emozione di quando studiavo Svevo e si leggeva nelle" Confessioni di un italiano" questo brano. La cucina di Fratta.La cucina di Fratta era un vasto locale, d’un indefinito numero di lati molto diversi in grandezza, il quale s’alzava verso il cielo come una cupola e si sprofondava dentro terra più d’una voragine; oscuro anzi nero d’una fuliggine secolare, sulla quale splendevano come tanti occhioni diabolici i fondi delle cazzeruole, delle leccarde, e delle guastade appese ai loro chiodi; ingombro per tutti i sensi da enormi credenze, da armadi colossali, da tavole sterminate; e solcato in ogni ora del giorno e della notte da una quantità incognita di gatti bigi e neri, che gli davano figura d’un laboratorio di streghe. — Tutto ciò per la cucina. — Ma nel canto più buio e profondo di essa apriva le sue fauci un antro acherontico, una caverna ancor più tetra e spaventosa, dove le tenebre erano rotte dal crepitante rosseggiar dei tizzoni, e da due verdastre finestrelle imprigionate da una doppia inferriata. Là un fumo denso e vorticoso, là un eterno gorgoglio di fagiuoli in mostruose pignatte, là sedente in giro sovra panche scricchiolanti e affumicate un sinedrio di figure gravi, arcigne e sonnolenti. Quello era il focolare e la curia domestica dei castellani di Fratta. Ma non appena suonava l’Avemaria della sera, ed era cessato il brontolio dell’Angelus Domini, la scena cambiava ad un tratto, e cominciavano per quel piccolo mondo tenebroso le ore della luce. La vecchia cuoca accendeva quattro lampade ad un solo lucignolo; due ne appendeva sotto la cappa del focolare, e due ai due lati d’una Madonna di Loreto. Percoteva poi ben bene con un enorme attizzatoio i tizzoni che si erano assopiti nella cenere, e vi buttava sopra una bracciata di rovi e di ginepro. Le lampade si rimandavano l’una all’altra il loro chiarore tranquillo e giallognolo; il fuoco scoppiettava fumigante e si ergeva a spire vorticose fino alla spranga trasversale di due alari giganteschi borchiati di ottone, e gli abitanti serali della cucina scoprivano alla luce le loro diverse figure.
Dal nulla del minimal style alle cucine di un tempo....
Sono trascorse da poco le feste che mi hanno riportata colla mente a quei giorni lontani di bambina , che trascorrevo nella grande casa di papà in campagna. Tutto era meraviglioso, ma la cucina è rimasta nel mio animo,ricordo acceso come la stufa di allora, nel piacevole e struggente bruciare del legno,mobili lingue di fuoco, che stagliavano sui muri stinti guizzi lampeggianti pieni di poesia e che ora sono ardente nostalgia . E allora come non ricordare l'emozione di quando studiavo Svevo e si leggeva nelle" Confessioni di un italiano" questo brano. La cucina di Fratta.La cucina di Fratta era un vasto locale, d’un indefinito numero di lati molto diversi in grandezza, il quale s’alzava verso il cielo come una cupola e si sprofondava dentro terra più d’una voragine; oscuro anzi nero d’una fuliggine secolare, sulla quale splendevano come tanti occhioni diabolici i fondi delle cazzeruole, delle leccarde, e delle guastade appese ai loro chiodi; ingombro per tutti i sensi da enormi credenze, da armadi colossali, da tavole sterminate; e solcato in ogni ora del giorno e della notte da una quantità incognita di gatti bigi e neri, che gli davano figura d’un laboratorio di streghe. — Tutto ciò per la cucina. — Ma nel canto più buio e profondo di essa apriva le sue fauci un antro acherontico, una caverna ancor più tetra e spaventosa, dove le tenebre erano rotte dal crepitante rosseggiar dei tizzoni, e da due verdastre finestrelle imprigionate da una doppia inferriata. Là un fumo denso e vorticoso, là un eterno gorgoglio di fagiuoli in mostruose pignatte, là sedente in giro sovra panche scricchiolanti e affumicate un sinedrio di figure gravi, arcigne e sonnolenti. Quello era il focolare e la curia domestica dei castellani di Fratta. Ma non appena suonava l’Avemaria della sera, ed era cessato il brontolio dell’Angelus Domini, la scena cambiava ad un tratto, e cominciavano per quel piccolo mondo tenebroso le ore della luce. La vecchia cuoca accendeva quattro lampade ad un solo lucignolo; due ne appendeva sotto la cappa del focolare, e due ai due lati d’una Madonna di Loreto. Percoteva poi ben bene con un enorme attizzatoio i tizzoni che si erano assopiti nella cenere, e vi buttava sopra una bracciata di rovi e di ginepro. Le lampade si rimandavano l’una all’altra il loro chiarore tranquillo e giallognolo; il fuoco scoppiettava fumigante e si ergeva a spire vorticose fino alla spranga trasversale di due alari giganteschi borchiati di ottone, e gli abitanti serali della cucina scoprivano alla luce le loro diverse figure.