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Post n°132 pubblicato il 29 Marzo 2010 da gabriellatiganisava
“Nulla è sicuro, ma scrivi”: La poesia impegnata di FRANCO FORTINI (1917-1994) Perché poeti in tempo di povertà? Con questa domanda (che per primo si pose Holderlin due secoli fa) si è aperto un interessante ciclo di incontri, con sede nella Biblioteca delle Oblate a Firenze, dedicato alla poesia moderna e contemporanea. Palese è il riferimento alla difficoltà di scrivere o semplicemente anche di parlare di poesia e leggere poesia oggi come in passato. In uno degli ultimi incontri, il prof. Vittorio Biagini, docente di letteratura italiana a Firenze, ha presentato la poesia “irregolare” del fiorentino Franco Fortini, figura importante della seconda metà del Novecento. Grande critico letterario, poeta e saggista, Fortini fu anticipatore del Sessantotto. Alle sue accurate traduzioni, si deve la conoscenza e diffusione delle opere (poesie, canzoni e testi teatrali) di Bertold Brecht, alla fine degli anni Cinquanta in Italia. Grande fu anche l’impegno politico di Fortini, il quale sperimentò personalmente l’esperienza della guerra antifascista andando a combattere assieme ai partigiani della Valdossola. Collaboratore di numerose riviste quali “Officina”, “Quaderni rossi”, “Quaderni piacentini”. La produzione poetica di Fortini ebbe inizio a partire dagli anni Trenta. Tra le opere più note: Foglio di via e altri versi (1946; riedizione del 1967), Poesia ed errore (1937-1957, 1969); Una volta per sempre (1963), L’ospite ingrato (1966), Paesaggio con serpente (1983); Versi scelti (1939-1989). Quella che segue è una delle poesie di Fortini più note e assieme di più difficile lettura, nonostante di primo acchito si possa pensare il contrario, intitolata Traducendo Brecht (da Foglio di via, 1946). I versi iniziali descrivono un evento naturale, un temporale (simbolo di conflitto e della diversa interpretazione della Storia che divideva Fortini e Montale); nei versi seguenti l’autore compie un autoriferimento (anche di me) assai frequente nelle sue poesie, cogliendosi intento a fissare versi di cemento e vetro (si tratta dei versi di Brecht, autore complesso e dalla scrittura dura, tagliente), la pagina secca (perché prosciugata, ermetica) ascoltavo morire etc..(il poeta fa riferimento alla difficoltà del mestiere di poeta e di traduttore, alla quasi impossibilità di rendere in una lingua non propria, i versi di un altro poeta); non per noi più (in un momento storico di non-ascolto, di mancanza di attenzione). Fortini prosegue con l’evidenziare lo stato di quiete (o di calma apparente), quasi di stand-by, in cui non si riesce più neanche a distinguere le vittime dai carnefici. I versi finali sono un’auto esortazione, un invito, nonostante la non necessità della poesia (la poesia non muta nulla) rivolto a se stesso a proseguire nella sua attività. Negli ultimi versi (la natura…) Fortini affronta il problema della diversità tra Storia e Natura: la natura non ha la violenza e la brutalità della Storia che presenta agli uomini scontri di crudeltà inaudita, estranei alla natura. Nulla è sicuro, ma scrivi: la consapevolezza della caducità e dell’incertezza della vita, la fragilità delle strutture sociali e politiche, non devono distogliere l’intellettuale dalla scrittura e dall’ impegno civile. Traducendo Brecht (da Foglio di via) Un grande temporale per tutto il pomeriggio si è attorcigliato sui tetti prima di rompere in lampi, acqua. Fissavo versi di cemento e vetro dov’erano grida e piaghe murate e membra anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando ora i tegoli battagliati ora la pagina secca, ascoltavo morire la parola d’un poeta mutarsi in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso credo di non sapere più di chi è la colpa. Scrivi, mi dico, odia chi con dolcezza guida al niente Gli uomini e le donne che con te si accompagnano e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici scrivi anche il tuo nome. Il temporale è sparito con enfasi. La natura per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi. M. Gabriella Tigani Sava
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