La gaia scienza

IL FINE GIUSTIFICA IL DOLORE!


Ecco, son qua. Con uno stinco fuori uso e un piede quasi insensibile. Torno dagli esercizi in stato semiconfusionale, con un subbuglio di emozioni contrastanti. Ma devo essere soddisfatta o incazzata nera? Devo gioire o attaccarmi alla prima trave che trovo? Paziento o impreco? Mollo la presa o ingrano la terza e tento il sorpasso? Sì, chi sta davanti a me, per ora, non va molto veloce. Il sorpasso non richiede un'accelerazione da 0 a 100 in 5 secondi. Sullo specchietto retrovisore intravedo l'Apecar, superata senza troppi intoppi. Ora me la devo sbrigare con una Fiat vecchia maniera. Pensavo fosse amore e invece è un calesse. Me ne stavo tranquilla e felice col braccio fuori dal finestrino. Stereo a palla e via. Coi capelli al vento e occhialoni neri. Gasata ma con modestia. Poi ad un tratto ecco l'ostacolo. Perchè Emilio mi ha affibbiato il primo di una lunga serie di esercizi che mai avrei pensato di dover affrontare. "Io col jazz non avrò mai niente a che fare! Troppo difficile. Roba per gente che ha suonato la batteria tenendo la bacchetta in una mano e il biberon nell'altra. E che magari ha adattato le altezze al seggiolone, invece che allo sgabellino". Ma visto che "il jazz è la musica classica della batteria" e che "sarebbe obbligatorio conoscerne i rudimenti"...allora...allora va bene. Accetto. Famolo. Accendila. In pratica: il piede sinistro fa il suo tempo. Il destro anche. La mano sinistra pure. La mano destra manco parlarne. Quindi: dovrei trasformarmi in una specie di Pinocchio, quelli affari di cartoncino con giunture snodabile e che si muovono a casaccio. Ecco: quel Pinocchio si muove a casaccio. Il batterista no. Dovrebbe pensare contemporaneamente e in modo assolutamente slegato a tutti e quattro gli arti. E nel frattempo deve seguire il metronomo, leggere la partitura, regolare gli accenti e le dinamiche... Se sono nata, come tutti, con il dono della respirazione come riflesso involontario, in questi mesi-anni-vita dovrò iniziare a trasformare gli arti in polmoni. E farli macchinare in scioltezza. Neanche dirlo che il processo richiede un certo dolore sparso. Da qui, dopo tutta questa premessa chilometrica, il titolo: "Il fine giustifica il dolore!". In altre parole: "E' arrivato il momento di tirar fuori le palle". Essendo fisicamente una metafora, è chiaro che a questo punto alzo il finestrino, metto tutte e due le mani ben salde al volante, metto sulla stazione "metronomo" e ingrano la terza. Intanto ho messo la freccia. Prima o poi quella Fiat-catorcio la sorpasso. Più prima che poi. Perchè quando tornerò a lezione dal mio drum teacher, voglio sentirmi dire ancora una volta "Molto bene!". Vado a studiare. Ohibò!