THE FASCY HORROR PICTURE SHOW

Post n°16 pubblicato il 17 Febbraio 2006 da garcia.lapis

sempre più frequente l'apertura di circoli, sedi,gruppi neo- (nazi)fascisti.
il lavacro della svolta di fiuggi ha legittimato il ruolo di potere della nuova destra italiana senza però sbiancare la base su cui poggia il consenso.
dallo squadrismo territoriale si è passati a un'aperta, seppur camuffata, guerra semiologica: incontri culturali, bollettini (pseudo)storico-informativi in cui si manifesta l'obiettivo di appropriarsi di modelli e tradizioni culturali non ascrivibili a una linea unilaterale (continuo riferimento alle culture orientali con una trasposizione in chiave nera di miti ed etiche;il riproponimento del tema fantasy privato del suo significato originario, vedi nazismo magico, che ridiventa grazie all'industria dell'intrattenimento tentativo di coesione dell'istanze alter-mondialiste).
a questo progetto di egemonia culturale (confiscato al pensiero gramsciano) corrisponde l'impossessamento materiale del territorio.

QUI e ORA
nell'hinterland napoletano la situazione che si presenta è parzialmente dissimile dal resto d'italia: l'esponenziale crescita dei (nuovi)fascisti non fa leva sullo scontro tra gruppi antagonisti ma sul vuoto politico-culturale che caratterizza interi quartieri e cittadine cresciute intorno a un centro che incamera energie e azioni senza restituire nulla se non modelli inutilizzabili perchè parziali nel loro radicamento.

è necessario smettere di rifarsi all'anti-fascismo militante come tramandato dall'agire partigiano passando per il '68/77, ma affermare nuovi modi e luoghi di RESISTENZA.
ripensare è il primo agire.
contrapporsi invece che lasciar passare.


a FRATTAMAGGIORE (NA) sabato 18 febbraio 2006: rutilio sermonti (figura nerissima) incontra le nuove generazioni.

chi legge si faccia sentire.

 
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IL BALLO DEI SENZATERRA

Post n°15 pubblicato il 13 Giugno 2005 da garcia.lapis
Foto di garcia.lapis

Adesso queste storie si raccontano meglio con dei fumetti piuttosto che con una serie di frasi una dopo l’altra. Ma per disegnarlo, questo racconto, dovrei ricordarmi troppe cose che ormai ho dimenticato. Mi limiterò a darvi un’idea delle vignette con i loro sfondi tratteggiati, le azioni dei personaggi, le nuvole e i testi. Magari se qualche ricordo riaffiora nitido dalle brume della mia memoria credo che lo disegnerò.

Per cominciare, il volto di un paffuto capostazione con il suo berretto gallonato, la giacca verde, i baffi sottili. Gocce di sudore gli rigano il volto mentre con voce ossequiosa, rassicura un altezzoso nano barbuto con tight e cilindro  - si fa in un attimo signor Cavaliere mio, ora che il treno ha fischiato. Nella striscia seguente i motori del treno sono azionati, le ruote sui binari iniziano il loro

DODES’KA-DEN, i fanali riscaldano l’aria silenziosa del pomeriggio e con azioni impacciate, il treno lascia la stazione.

Lo scenario corre veloce, la corsa del cuore si fa solerte e i sonnolenti battiti delle palpebre racchiudono i colpi della città che cambia pelle ad ogni istante. La sequenza è ingarbugliata e i contorni si confondono.

-    I nostri cammini sono opposti e molti vorrebbero inconciliabili. Pochi i focolai di piacere, tra tante macchine scassate e travi di palazzi non ancora issati. Sull’albero della vita resto appeso alla corda con indosso la maschera del demonio. Su e giù come una macchina che fotte.

Raccontare con i fumetti mi diverte molto, però avrei bisogno di alternare alle vignette “d’azione” delle vignette “ideologiche”; immaginate dunque un quadratino di quelli tutti scritti, che serve per informare sinteticamente sui precedenti dell’azione: dopo aver rovinato la festa dei notabili, occupando il collegio in cui era rinchiuso, il nostro ‘giovane diavolo’ è stato espulso dal direttore nano e barbuto.

-    non so che farmene dei valori e delle leggi di un mondo che altalena tra la disintegrazione atomica e la disintegrazione spirituale.

Cammino contento. La narrazione procede bene. Il viaggio continua all’infinito oppure il cammino incomincia e il viaggio è già finito?

Il nostro eroe scende ed attraversa la città. Saluta i suoi balconi e le sue finestre ed ogni porta.

Ogni città, ogni promontorio, ogni frutteto, ogni fabbrica è diversa dall’altra, storie diverse si sono intessute, eppure ad ogni angolo abbiamo, firmatari di petizioni, conosciuto porte sbattute in faccia, sussurri e grida a finestre che non vogliono spiragli di luce.

- In quel vicolo ho conosciuto la passione e poco dopo una coltellata al fianco…

il giovane diavolo ha la gola secca e beve con le mani incavate ad una fontanella triste. Le vignette che seguono sono piene di punti interrogativi, di lampadine fulminate e rotelle di meccanismi ormai arrugginiti. Il pensiero arriva, netto, fragile, buio, sospettoso e risolutivo.

- Il colore di questa vita è sporco di violenza: da quel pozzo buio dove l’orrore e l’amore non hanno fondo, da lì veniamo fuori, sissignore non sono il solo, con le mani piene di storie, favole e leggende, poesie sommerse e finalmente liberate dal compito di controllare e servire una tradizione una cultura un potere mai piaciuti, mai voluti.

Ho smesso di credere a chi mi accoglie, a chi mi offre una qualche soddisfazione con scarsi consigli, a chi mi fa spazio tra queste macerie, in questo cerchio di inibizioni dove il dolore e la felicità sono sconfessati, dove il desiderio diventa consumo e l’uguaglianza pullula di milizie ma la trasformano in omologazione.

Stanco per il suo girovagare, colui che ci ha permesso di raccontare questa storia, si siede su di una panchina. Inizia a leggere. Lautreamont e Rimbaud. Guarda la gente passare. Innumerevoli colori ridotti ad un’unica tonalità.

Grida.

- Ci hanno insegnato a stare al nostro posto, a non oltrepassare i limiti lasciando che ci tirassero il terreno da sotto i piedi. Eppure le nostre notti sono sogni muscolari, sogni di azione. Sogniamo di saltare, di nuotare, di correre, di arrampicarci. Sogniamo di scoppiare dalle risa, di scavalcare il fiume con un salto, di essere inseguiti da mute di macchine che non ci pigliano mai. Sogni che al mattino spesso dimentichiamo se non fosse per quel sapore di amarezza e di rimpianto che ci accompagna negli occhi.

Qualcuno si avvicina incuriosito. Qualcun altro infastidito ma ascolta, abituato a sentirne tanti

- La fantasia è malattia pericolosa, libera gli uomini dai propri fantasmi, libera gli uomini dagli antenati, da una tradizione morale troppo impellente, la fantasia libera mostri e soluzioni alternative, restituisce la città a nuovi usi, conquista nuovo terreno per pratiche antagoniste e di narrazione.

Della guerra non abbiamo bisogno, non sarà la violenza a scrivere le riforme (la rivoluzione) che attendiamo: non ci scacceranno più da nessuna città

Gli astanti che si erano radunati e che iniziavano a comprendere le sue parole volevano seguirlo, sapere tutto di lui.

- Che importa di me? Non sono il vostro eroe mascherato, la rivoluzione che proponiamo è impersonale, è nuova, ma è la stessa di sempre; il mio nome non è diverso da quello degli altri e la liberazione che sogno non è diversa da quella che gli altri sognano; le emozioni che provo e i pensieri che vibrano non sono un patrimonio da amministrare ma piuttosto un materiale da stravolgere.

Smise e ricominciò il suo cammino. Si sa che ha continuato a vedere villaggi fiumi monti persone, ma mai a terra ha visto  una linea rossa -un confine- per cui morire o uccidere ancora.

Chi siete, continuano a chiedere.

- Siamo ibridi mediali, siamo scarti e dispersioni che cospirano, che passano di fiato in fiato per raccontare ciò che ancora manca e già vive, rispondo…

Garcia Lapis, el genio de las antipodas

 

 
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1994-2004 DISCESA IN CAMPO

Post n°14 pubblicato il 13 Giugno 2005 da garcia.lapis

- com’è che sudo così tanto stamattina? Lo sapevo… Dovevo indossare una camicia bianca almeno le macchie di sudore si sarebbero viste meno… guarda qua! E questa cravatta che mi stringe… se solo potessi toglierla. Oggi fanno dieci anni. Dieci anni… ma perché non corre un po’ questo, dobbiamo arrivare puntuali… adesso glielo dico… la prima volta che l’ho visto una folgorazione. Non era la prima volta che si presentava in tv ma a differenza delle precedenti apparizioni sempre defilate, in quell’occasione esplose, così sicuro di sé in quel suo doppiopetto blu, capace di alternare sguardi tristi e voce greve a sorrisi smaglianti, accentratori   del lato allegro di ogni discussione.. e la sua voce? Ipnotica. Roba da restare a pendere dalle sue labbra. Voleva salvare il Paese. Amore. Il riflettersi di molte sue parti contemporaneamente, attraverso una molteplicità di circostanze nebulose, alle quali non è unito ogni volta che attraverso il legame dell’eventualità, offusca istantaneamente il suo ultimo chiarore in una prima confusione della forma. È il momento in cui la parola si fa carne. La mia figura ideale, al pari della fascinazione paterna.

Passai in rassegna una lista immaginaria per vedere le cose che avevamo in comune. Per prima cosa anch’io sono ricco. Non come Lui certo, ma nel mio piccolo ho un “impero”. Stessa professione: anch’io sono un imprenditore. Entrambi laureati in legge. Lui presidente di una squadra di calcio, io di basket. Anch’io mi sono risposato.

Al paese fondai la prima sezione del nuovo partito. Mi candidai e seguii la sua ispirazione. Attaccai il vecchio establishment ormai completamente corrotti, applicai in piccola scala l Sua lezione, in bilico fra l’arcaico e il moderno, sottolineando incessantemente ed in maniera morbosa quei “bisogni” da creare, soddisfate, aumentare immettendoli nel circuito mediale.

Toh… siamo arrivati… quando viaggio in macchina la gamba sinistra si informicolisce… uno specchio, aggiusto un attimo la cravattaaaa…………………………………………………………... …………………………………………………………………………………………………………

Dal verbale dell’appuntato Vincenzo Pulvinari: “…in seguito al rapimento dell’Onorevole Pippo Frulliferi sulla soglia dell’Ergife Hotel, dove il partito del po(po)lo si riuniva per festeggiare il decennale della sua fondazione, il portiere dell’albergo, il signor Alfonso Rebello, incensurato, ha così risposto alle nostre domande :    -dovevamo essere le 11:30-12:00 quando l’Onorevole è arrivato, è sceso dalla sua Lancia blu ed ha iniziato a battere il piede sinistro sull’asfalto, probabilmente il lungo viaggio gli aveva informicolito la gamba… sa che io non posso fare viaggi lunghi? La pressione arteriosa mi provoca uno scompenso che se non… come dice? Debbo finire di raccontare? Continuo mi scusi… chi se lo immaginava che quella coppia di fidanzati, da stamani a sbaciucchiarsi davanti all’hotel, sequestrasse l’Onorevole? Sono saltati su di un’auto nera, di grossa cilindrata e sono spariti…- “

 

Dalle comunicazioni interne del Movimento  antiimperialistaantiliberistaantineocolonialista:              “Compagni , stamattina io e la compagna Beta abbiamo portato a termine la missione nome in codice “commenda”. Purtroppo è sorto un problema sul nostro obiettivo. Invece di colpire il Presidente, abbiamo preso uno dei suoi onorevoli ma… cazzo era spiaccicato a quello sfruttatore, i pochi capelli, bassa statura, doppiopetto blu. Anche lo stesso accento. L’identificazione dello scambio di persona è avvenuto dopo l’esecuzione… così adesso non si può porre rimedio… chiediamo lumi sul da farsi… Rivendichiamo?

Saluti rivoltosi

I compagni Eta e Beta 

Il Presidente salì sul palco. Dalla tasca destra dei pantaloni estrasse un fazzoletto e si asciugò la fronte. Era emozionato. Arrivato al podio inizia il suo discorso. È un sollievo capire o vedere la nostra disperazione espressa da un’altra persona. Ricorda il triste evento che si è abbattuto sul partito. Elogia la figura dello scomparso. Gli dedicheranno non so quante sezioni. Si ferma. Per un istante guarda l’uditorio. Sconosciuti che lo seguono, portatori, della peggior divisa in cerca anche quest anno di proseliti per le elezioni. Non va. Se ne accorgono tutti. Battuta. Far finta di niente.
Lo scheletro condiziona l’immagine estetica.

Garcia Lapis, el genio de las antipodas

 

 

 
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Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 13 Giugno 2005 da garcia.lapis

i bastioni

sgualgisco tovaglioli
cartacea certezza
di un pranzo x pranzo
di una cena x cena.
i bastioni delle  mie certezze quotidiane
potrebbero crollare in filmica sequenza
senza una colonna sonora
a certificarne il       (?)
più nulla da stropicciare.
nell'intolleranza dell'attesa
che offre mollica di pane
e ticchettio di mani su tavolo dolente.
“se stringo il bicchiere
nessuno puo' togliermelo”
-pensiero bambino
ma onesto-
e ora che non posso stringere
tutto cio' che mi appartiene
battezzo la mia sincera inquietudine
per l'ingordigia del macabro possesso.
che ci mette sul baratro ad ogni istante,
ciascuno insospettabilmente idoneo
a farci perdere tutto.

 

 
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WELCOME TO SOUTHAFRICA: PLEASE NO DARK

Post n°12 pubblicato il 13 Giugno 2005 da garcia.lapis
Foto di garcia.lapis

PRIMA DI NOI HANNO DETTO:

 

-    “occorre permettere ai neri di giocare un ruolo economico e politico in un sistema controllato dai bianchi” 

Frederick van Zly Slabber, leader del partito progressista

-    “non è vero che non siamo democratici. Ma se diamo il voto ai neri ci cacciano dalla sola nostra patria e poi mandano il paese in rovina. Se avessimo una minoranza nera gli daremmo il diritto di voto. Ma così proprio non è possibile”

 

Mr. P. W. Botha, Primo ministro del SudAfrica e leader del National Party

OGGI NOI:

-    Gli occhi ancora attaccati dal sonno. Guardo il soffitto. Il soffitto guarda me. Doccia. Rito purificatorio. EspiazionePurificazioneEspiazionePurificazione. Acqua calda. Annodata la cravatta. Camicia bianca. Guardo il poster di Nelson Mandela attaccato in camera. Come una reliquia. Omaggio quotidiano. Sono nero. Sono un agente di borsa. Guido una Mercedes. Ho villa e piscina. Prendo lezioni di golf insieme a mia moglie.

Mi reco al lavoro. Spacciatori nigeriani, ambulanti congolesi e giovani sudafricani senza lavoro ma tu  guarda un po’ questa immigrazione…

Nel 1999 il governo sudafricano ha pubblicato un libro bianco che alimenta questa xenofobia, segnalando l’intenzione di creare “un ambiente che non offra agli immigrati opportunità di lavoro e disponibilità di quei servizi pubblici gratuiti che non hanno nei Paesi d origine”

 

E ancora: “controllare, in cooperazione con la comunità, che gli stranieri illegali non ricevano servizi dalle banche dagli ospedali, dalle scuole, e dai fornitori di energia, contribuirà a creare la percezione che il SudAfrica non è un ricettacolo di immigrazione illegale”.

Ufficio. VendoComproVendoCompro. Colleghi. Tanti. Azioni continue e simili. Ora di pranzo. Io e John pranziamo in un ristorante europeo. Perché accontentarsi? Senegalesi straccioni, mozambicani pulciosi sempre a bighellonare per strada per fregarsi i nostri soldi…

Questo tipo di approccio dello Stato può solo incoraggiare i cittadini ad agire come vigilantes e a contare sull’impunità. L’apartheid si fondava sull’idea della superiorità bianca e bollava i neri come “l’altro” inferiore.

Ora abbiamo capovolto la situazione: la nascita della nuova nazione sudafricana si è basata sulla premessa della nostra superiorità sul resto dell’Africa.

La macchina è in panne. Prendo il treno. Una rissa. Tolgo la giacca e mi ci infilo. Picchiamo tre immigrati. Dicono di essere sudafricani ma sono troppo scuri in viso, per non parlare dell’accento e dello stile di abbigliamento. Non so neanche perché li picchiamo ma forse non è importante saperlo, dai con i calci, forza con i pugni. Uno lo scaraventiamo fuori, gli altri due scappano sul tetto ma restano folgorati dalla corrente elettrica. La mia fermata. Scendo. Sereno. Mia moglie ha preparato il salmone. Proprio come i bianchi, eh sì… proprio come i bianchi prima di noi BURP.

Garcia Lapis, el genio de las antipodas

 

 

 
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ACCOMODATI E PRENDI

Post n°11 pubblicato il 13 Giugno 2005 da garcia.lapis

Se negli ultimi mesi siete stati a una fiera informatica forse l'avete  vista: una lattina color argento, con il logo di una linguetta a strappo  e a fianco la scritta "opencola". Dentro c'è una bevanda frizzante che somiglia molto alla Coca-Cola e alla Pepsi. Ma sulla lattina c'è scritto. qualcosa che rende questa bevanda diversa: "Controllatene l'origine su opencola.com". Andate alla pagina web indicata e vedrete qualcosa che non c'è sul sito della Coca-Cola o della Pepsi: la ricetta della cola. Per la prima volta nella storia potete realizzare l'originale a casa vostra.

Nel 1979 Frank Zappa, in Joe’s Garage, descriveva con poetica efficacia l’opera sorniona e perversa dei poteri di controllo, incarnati nel diabolico ruolo del central scutinizer che tutto verifica e tutto vieta o impone; fino ad arrivare all’abolizione della musica, pericoloso strumento di libertà.

Craig Barret, presidente della Intel: “ chi compra un cd deve avere la possibilità di copiarlo quando vuole, e di ascoltarlo su qualunque supporto, in ogni momento, in ogni luogo. Mentre le major vorrebbero che tu pagassi ogni volta che ascolti una canzone. Pensino invece a risolvere i veri problemi […] Controllare lo scambio di file su Internet è come aprire una lettera privata di una persona. L’industria dell’entertainment è affetta da tecnofobia. Hanno proposto persino di mettere nuove tasse sui prodotti hi-tech. Ma si ricordino: ‘No taxation without representation’. E loro non rappresentano i consumatori. Anzi.
Oggi OpenCola è il primo prodotto di consumo open source (sorgente aperto). Definendolo “opensource”, il suo fabbricante sta dicendo che le istruzioni per realizzarlo sono aperte a tutti. Chiunque può produrre la bevanda,
modificarne e migliorarne la ricetta, a condizione che la nuova formula rimanga di dominio pubblico. È un modo piuttosto insolito di fare affari. Mentre la Coca-Cola non dà via i suoi preziosi segreti commerciali, OpenCola lancia un segnale importante: una battaglia che da tempo oppone due diverse filosofie di sviluppo dei programmi informatici si è estesa al resto del mondo.

Quel che distingue i programmi open source dal software commerciale è il fatto che sono liberi, sia in senso politico sia in senso economico. Se volete usare un prodotto come Windows Xp o Mac Os X dovete pagare un compenso e accettare di rispettare una licenza che vi vieta di modificare o condividere il software. Se invece volete usare Linux o un altro pacchetto di programmi open source potete farlo senza pagare un centesimo, anche se diverse aziende vi venderanno il software insieme a dei servizi di assistenza. Potete anche modificare il software a piacimento, copiarlo e darlo ad altri. Questa libertà è un invito o una sfida  agli utenti ad apportare miglioramenti. Oggi migliaia di persone lavorano costantemente su Linux, aggiungendo nuove caratteristiche e individuandone gli errori. Ma Quello che è cominciato come un dibattito tecnico sul modo migliore di correggere gli errori dei software sta diventando un dibattito politico sulla proprietà della conoscenza e su come essa è usata: da un lato c'è chi crede nella libera circolazione delle idee, dall'altro chi preferisce definirli proprietà intellettuale. l'open source sta emergendo come una possibile alternativa, un mezzo per contrattaccare. E in questo esatto momento voi state contribuendo a verificarne la validità

Il copyleft esprime anche una posizione politica che mette al centro la libertà di espressione, diffida del potere delle grandi aziende e non vede di buon occhio la proprietà privata della conoscenza, è "una visione libertaria del giusto rapporto che ci dovrebbe essere tra gli individui e le istituzioni". tecnologie che aboliscono la distinzioni 
tra “originale” e “copia”. Usano network telematici peer to peer (decentrati, “da pari a pari”) per mettere in condivisione i dati dei propri dischi rigidi. Aggirano con astuzia ogni ostacolo tecnico o legislativo. Prendono in contropiede le multinazionali dell’entertainment erodendone i finora smodati profitti. Di conseguenza creano grosse difficoltà agli enti che amministrano il cosiddetto diritto d’autore, il fantomatico copyright, utilizzato per indicare il diritto allo sfruttamento economico di un’opera dell’ingegno propria o altrui. Propriamente il copyright consiste nella dichiarazione esplicita con cui il titolare del diritto d’autore manifesta l’esclusività del proprio diritto a sfruttare economicamente un’opera. Per quelle opere per cui si richiede la protezione del copyright è previsto l’obbligo dell'applicazione del simbolo © seguito dal nome del proprietario e dall'anno di pubblicazione.

L’open source e il copyleft superano le limitazioni che il copyright impone e si estendono ormai ben oltre la
programmazione del software in quanto le licenze aperte sono dappertutto e in tendenza possono divenire il paradigma di un nuovo modo di produzione. D’altronde il divieto di riproduzione va a colpire un target di persone che le case editrici (e quelle discografiche) hanno già perso, a causa di politiche che prevedono rialzo dei prezzi e del generale calo di qualità: non si possono mettere in commercio tecnologie come campionatori, computer, scanner, masterizzatori, fotocopiatrici, e poi far intervenire i governi e le forze di polizia perché la gente li utilizza... nel modo "sbagliato".

Siamo per la libertà di riproduzione. La libertà di riproduzione non limita le vendite: sono circuiti diversi, approcci diversi, supporti diversi.

La diffusione dei programmi informatici, della lettura, della musica, della cultura in genere, si favorisce permettendo la diffusione dei testi, non restringendola. l'idea di proprietà privata intellettuale appartiene a un periodo assolutamente breve e recente della storia e ogni giorno che passa appare sempre più come il tentativo di vincolare e ridurre una delle attività umane più naturali, collettive e irrinunciabili: raccontare il mondo attraverso le storie (che siano trascritte, suonate, ballate, dipinte, telematiche o solo immaginate). Le storie sono di tutti. Appartengono alla collettività. Chi si appropria di una storia e vuole tenerla solo per sé, commette un furto. Il narratore che vive del suo lavoro, non lo fa vendendo storie che sono sue, ma raccontando storie che sono anche sue, attraverso performance o grazie ad oggetti particolari, i libri o cd, che vengono venduti come qualsiasi altro prodotto. Il contenuto della narrazione, invece, può soltanto essere restituito alla comunità, che deve potersene servire liberamente. nessun autore inventa o scrive da solo, e non ci riferiamo solo all'editor o al ghost writer di turno, ma al fatto che le idee sono nell'aria e non appartengono a un singolo individuo. L'autore, restituisce, censura, riorganizza  informazioni immaginazioni, pulsioni che vengono trasmessi dall'intera società e la riattraversano in lungo e in largo, senza sosta. In linea di principio, è assurdo voler imporre una proprietà privata
della cultura. C'e' lo scambio e il riutilizzo delle idee, cioe' il loro *miglioramento*. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta. Perché le idee progrediscano è necessario il "plagio" (e quindi anche la sua pre-condizione, cioe' la "pirateria", la riproduzione libera).

E così l'esperimento prosegue. Il contributo nostro è pubblicare questo articolo in regime di copyleft. Significa che potete copiarlo, ridistribuirlo, ristamparlo per intero o in parte, e in generale farne quello che vi pare, a patto che anche voi rendiate pubblica la vostra versione con un copyleft e rispettiate gli altri termini della licenza.

Un motivo di questa decisione è che così facendo possiamo stampare la ricetta dell'OpenCola senza violarne il copyleft. Se non altro questo dimostra la capacità del copyleft di diffondersi. Ma c'è anche un altro motivo: vedere quel che succede. Chissà quale sarà il risultato. Forse l'articolo scomparirà senza aver lasciato alcuna traccia. Forse sarà fotocopiato, ridistribuito, rieditato, riscritto, copiato su pagine web, volantini e articoli. Non lo so, ma non è questo il punto: la questione non è più di mia competenza. La decisione adesso sta a tutti noi.  

 [ G.L.]

 
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OPINIONI DI UN (MC) CLOWN

Post n°10 pubblicato il 10 Giugno 2005 da garcia.lapis

- Vita agra la mia. Faccio il pagliaccio al McDonald’s. porta pazienza mi dicono, alla tua età già guadagni. Do ai bambini gli Happy Meal. Con navi spaziali, dinosauri e roba da mangiare. I bambini sono più riluttanti, non gli importa niente dei palloncini vogliono solo macchiarmi di ketchup la mia salopette gialla. Le bambine no, sono buone, gli dai un palloncino e sono felici. Mangiano Happy Meal. Se un bambino mangia questo, è chiaro che rutta questo. Perché il rutto è la comunicazione più diretta tra l’apparato intestinale e il cervello, dato che nasce nella pancia ed esce dalla bocca, cioè dalla testa. Dunque uno pensa a seconda di quello che mangia. O meglio, di quello che rutta, che è in sintesi quello che mangia.

(Non ho niente contro il popolo americano.

Per solidarietà mi sono messo a pedinare gli islamici del quartiere.

Ad uno gli ho incendiato la baracca. Che goduria.

Mi limito solamente a studiare la relazione tra i gas e la comunicazione dei gas con il cervello tramite i rutti. E le deformazioni del pensiero e del comportamento.)

Ho pensato di avvelenare gli Happy Meal dei bambini.

Con un pesticida. Meglio che muoiano alla svelta, quella domenica, invece di andare avanti tutta la vita con una testa che è diventata uno schifo e che butta fuori schifezze, cioè butta fuori pensieri che fanno schifo.

Perché farli crescere con i loro pensieri di ammazzare il capo e poi invece sono costretti a servirgli il caffè. Di non comprarsi il biglietto della metro e poi finire per comprarsi un biglietto da dieci corse. Di voler picchiare un poliziotto fino a spellarsi le nocche ed invece andargli a chiedere il nome di una strada. Pensare di abortire e poi decidere di partorire. Pensare di bruciare vivo un barbone e poi fargli l’elemosina e invece solo oboli misericordiosi. Decidere di votare l’estrema destra ma quella domenica preferire il letto, restando fica contro cazzo.

Sono stato messo in guardia da questo lavoro, che pensate. Era una domenica come le altre, livida, con i suoi bambini schiamazzanti. Sedevano ad un tavolo un nonno e una nipotina. Carina lei con i suoi boccoli biondi e i nastrini rosa. Felice per le sorprese dell’Happy Meal. Lui, era uguale alla vecchia foto di un medico viennese dei primi del ‘900, attaccata alle pareti di un dottore dove mia madre da piccolo mi portava spesso. Giacca, cravatta, barba, occhiali non gli mancava nulla. Era imbronciato, mi avvicino per farlo sorridere ma lui mi urla di distruggere questa società universale dei consumi, non ostile alla democrazia ma indifferente, dove i cattivi clienti devono essere sostituiti da uomini e donne felici di essere chiamati consumatori.

Dove l’omologazione delle identità culturali non avviene in maniera radicale: la pop music è ravvivata dai ritmi latino e reggae dei ghetti di Los Angeles; a Parigi il BigMac lo servono con birra francese. Nessun governo autoritario o sistemi di educazione repressiva. Pseudocultura. Pseudacultura. Jurassic Park, Titanic, il signore degli anelli, gli Incredibili… metti sabbia negli ingranaggi, bloccali, falli ridere. Una risata li seppellirà

La cosa più normale è che una persona pensi molto e non faccia niente. Le cose che io penso, occhio… le faccio.

[G. L.]

 

 
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MOUSETRAP

Post n°9 pubblicato il 08 Giugno 2005 da garcia.lapis

Tempo che non passa… Il buio che ti inghiotte… L’angoscia che non venga più domani. La mezzanotte è passata. Le città sono creature invisibili, piano piano insinuatesi nella nostra vita e che ci travolgono con le loro vene da mostri allucinati –strade, luci al neon, soffi di motore- sento il fragore confondersi al silenzio di uno slang spaccabudella. Faccio fatica a togliermi di dosso questa agitazione pestilenziale che sale dalle fogne.

al Qaeda fino agli inizi del 2001, quando il governo americano decise di perseguire bin Laden in contumacia e dovette usare leggi antimafia che richiedevano l'esistenza di un'organizzazione criminale nominata, non aveva nemmeno un nome:  non si tratta di una rete internazionale organizzata. Non ha dei membri o un capo. Non ha "cellule dormienti". Non ha una strategia globale. Infatti esiste appena, eccetto come un'idea di pulizia di un mondo corrotto attraverso la violenza religiosa.

Prima dell'11 settembre i miei traumi, più o meno, me li ero inflitti da solo, ma superare quella nube tossica, che un attimo prima era la torre nord del World Trade Center, mi ha lasciato in bilico su quel crinale in cui la Storia Mondiale e la Storia Personale entrano in collisione, quel punto di intersezione rispetto al quale i miei genitori, sopravvissuti ad Auschwitz, mi avevano messo in allerta insegnandomi a tenere sempre i bagagli pronti.
 
Gli internati nei campi di concentramento sono simili a individui mai nati nel mondo dei vivi, dove  nessuno presumibilmente dovrebbe sapere se sono ancora in vita o già morti. Essi semplicemente non esistevano: questo è il motivo per cui da un lato potevano essere uccisi infinite volte nello spazio di una stessa giornata e dall’altro era loro vietato di suicidarsi.

La stampa si è abituata a pubblicare storie di panico ed a non ritrattarle; i politici si sono abituati a rispondere a supposte minacce piuttosto che discuterne; il pubblico si è abituato all'idea che appena dietro l'angolo vi possa essere un qualche tipo di apocalisse: il  millennium bug, AIDS, il cibo geneticamente modificato, può essere ricondotta a una sorta di prova generale per la guerra al terrorismo.  

Questa è la ballata della città di notte dove a giocar partite con la vita e la morte ancora ci si diverte.
La notte è finita. Tutti i tipi strani svaniscono nella luce del domani. Io da solo mi rammendo un calzino la benzina è finita e un falso movimento sono diventato povero mostro anch’io figlio di questo mondo

 
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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 08 Giugno 2005 da garcia.lapis

SCAGLIE DI LUCE BRUCUANTE SQUARCIANO IL FILTRO DELL’ABBANDONO
LIEVE E PUNGENTE QUESTA BREZZA DI RICORDI E SPERANZE NON MIRATE
AL CREPUSCOLO DI NON SO QUALE ALBA
O TRAMONTO
MI PERDO
APPESANTITO DA UNA NEBBIA DENSA DI MALINCONIA
DENTRO
BARCOLLO E INCIAMPO NELLE CERTEZZE DEI MIEI DUBBI
AFFANNO NELL’ARIA CUI HO DOVUTO ABITUARMI
FLAUTI SUGGERISCONO UN MOTIVO DI VOGLI ANTICA DI RINNOVAMENTO
SCRUTO INTATTI SOTTILI LEGNI PER UN FUOCO CHE NON DIVAMPERA’
EMBRIONI D’ANIMA
PEGGIO CHE SOPPRESSI, INIBITI DA GUSCI DI OVATTA SPORCA
ANNERITA D’ALTRUI FUMOSE MASCHERE
MASSI SCOMODI DI IDEALI ACCOLGONO PIANTE
DI PIEDI STANCHI
SANGUINANO SU SCOGLI DI REALTA’
VELOCE SCIVOLA LA PORPORA ARDENTE
TUTTO E’ RABBIA
TUTTO E’ BIANCO
NEL NEGRETTO MENDICO CHE TI TIRA PER I PANTALONI STIRATI
NON CONFONDERE I RUOLI, SCHIAVO
EBBRO DI RAZZISMO
BRUCIA AMMANTATO, UN PIANTO LATENTE
NEL CIELO GONFIO DI SDEGNO
IMPLOSIONE
LASCIA CHE SCORRANO LE LASCRIME DELLA TUA IMPOTENZA
NUDO, SOLO, ACQUA IONTORNO;
COME SEI NATO, CI SEI RITORNATO,
O FORSE NON SEI MAI CAMBIATO
FRAMMENTI DI IDENTITA’ SUPPOSTE SI STRINGONO
A FLEBILI TRALCI PESANTI D’AMARO
PLIC…
GOCCIA…ECO… FRASTUONO ESISTENZIALE…
ACUTI SPECCHI DI DOLORE, MOLTEPLICE RIFLESSO
INFRANGERSI PIATTO
ABITUDINE.

 
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UNA STRATEGIA VINCENTE

Post n°7 pubblicato il 08 Giugno 2005 da garcia.lapis
Foto di garcia.lapis

AMY GOODMAN: Oggi John Perkins si e’ unito a noi presso i Firehouse studios. Benvenuto a Democracy Now!

JOHN PERKINS: Grazie, Amy. Mi fa piacere essere qui.

AMY GOODMAN: Il piacere e’ nostro. Okay, spiegaci il significato di questo termine: “ sicario economico”.

JOHN PERKINS: In pratica, ciò in cui consisteva il nostro lavoro era di espandere l’impero americano. Creare situazioni nelle quali più risorse possibili potessero confluire in questo paese, nelle nostre corporazioni, nel nostro governo, e di fatto abbiamo avuto un grande successo. E’ stato fatto negli ultimi 50 anni a partire dalla seconda guerra mondiale con l’utilizzo di una contenuta forza militare. E’ solo in rare circostanze come l’Iraq che la forza militare interviene come ultima alternativa. Questo impero, come nessun altro nella storia, e’ stato costruito principalmente attraverso la manipolazione economica, con la frode, con la falsità, con la corruzione di persone, con i sicari economici. Io ne ero coinvolto per gran parte. 

AMY GOODMAN: Okay, descrivici la compagnia per cui hai lavorato.

JOHN PERKINS: La compagnia per cui ho lavorato aveva sede a  Boston, nel Massachusetts. Ero il dirigente del settore economico. Cinquanta persone lavoravano per me. Ma il mio vero lavoro consisteva nella negoziazione finanziaria. Concedere prestiti ad altri paesi, enormi prestiti, molto di più di quanto essi fossero  in grado di restituire. Una delle condizioni del prestito – diciamo un miliardo di dollari a paesi come l'Ecuador – era che questi paesi avrebbero poi dovuto impiegare il novanta per cento della somma del prestito per contratti con una o a più compagnie americane: queste compagnie avrebbero costruito strutture elettriche, porti o autostrade, e queste cose sarebbero servite solo per le poche famiglie più benestanti di quei paesi. La gente povera avrebbe dovuto invece accollarsi il peso di un enorme debito che non avrebbero potuto restituire. Così, in pratica, li abbiamo messi in scacco. Quindi, quando noi vogliamo più petrolio andiamo in Ecuador e diciamo: ”voi non potete pagare il vostro debito, allora date alle nostre compagnie petrolifere i vostri giacimenti in Amazzonia che sono pieni di petrolio.” Noi concediamo un grande prestito, molto di questo ritorna negli Usa, mentre il paese debitore e’ lasciato con un grande debito che cresce con gli interessi, ed in pratica loro diventano i nostri servi, i nostri schiavi. E’ un impero. Un grande impero. Ed è stata una strategia vincente.

AMY GOODMAN: Hai detto che a causa delle bustarelle ed altre ragioni, non hai scritto questo libro per lungo tempo. Cosa vuol dire?

JOHN PERKINS: Ho  preferito accettare mezzo milione di dollari negli anni novanta per non scrivere il libro.

AMY GOODMAN: Da chi?

JOHN PERKINS: Da un uomo basso e calvo

AMY GOODMAN: Perché?

JOHN PERKINS: …legalmente parlando non era una bustarella, ma era una remunerazione per una consulenza. Questo e’ perfettamente legale. Ma in pratica non ho fatto niente. Loro  erano a conoscenza che fossi alla lavorazione di questo libro che poi ho chiamato "Confessioni di un Sicario Economico". E tu sai, Amy, che si tratta di una storia straordinaria, quasi come quelle alla James Bond.

AMY GOODMAN: Di certo e’ così che si legge il libro.

JOHN PERKINS: Si, e lo e’. E quando l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale mi arruolò, mi sottoposero, per un giorno, a testi di percezione delle bugie. Scoprirono tutte le mie debolezze e subito mi plagiarono. Usarono le droghe più forti della società: sesso, potere, denaro, per vincere su di me.
Provengo da una vecchia famiglia calvinista del New England, cresciuta con forti valori morali. Nonostante tutto credo di essere una brava persona e ritengo che la mia storia dimostri come questo sistema di droghe, di sesso, soldi e potere possono sedurre la gente, perché io senza dubbio sono stato sedotto. E se non avessi vissuto questa vita come un sicario economico, mi sarebbe difficile credere che esistano persone che fanno certe cose. Ecco perché ho scritto il libro. Perché il nostro paese ha bisogno di capire. Se la gente di questa nazione si rende conto di ciò che e’ davvero la nostra politica estera, di cosa siano gli aiuti esteri, come funzionano le corporazioni, dove vanno a finire le nostre tasse, allora credo che pretenderemo di cambiare.


AMY GOODMAN: Allora, quando, dove hai deciso di cambiare, di lasciare tutto?
 

JOHN PERKINS: E’ stato un periodo affascinante. Mi ricordo bene. Tu sei forse troppo giovane per capire. Mi sono sentito colpevole per tutto il tempo che è trascorso, ma ero stato sedotto. Il potere di queste droghe, del sesso, dei soldi era estremamente forte su di me. E, naturalmente, stavo facendo cose che ero adatto a fare. Ero un dirigente finanziario. Facevo cose che piacevano a Robert McNamara.

AMY GOODMAN: John Perkins, ti ringrazio sinceramente di essere stato con noi. Il libro di John Perkins si intitola "Confessioni di un Sicario Economico".

 
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