SFIDE DI PENNA
ci troverete recensioni di film, giochi letterari e informazioni sui concorsi
Creato da ParafrasandoOblii il 19/02/2010Area personale
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In amore non può esserci tranquillità, perché il vantaggio conquistato non è che un nuovo punto di partenza per nuovi desideri.
Marcel Proust
Tutte le decisioni definitive sono prese in uno stato d'animo che non è destinato a durare.
Marcel Proust
L'esser contenti è una ricchezza naturale, il lusso è una povertà artificiale.
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Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo.
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Eravamo insieme, tutto il resto del tempo l'ho scordato.
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La moda è una forma di bruttezza così intollerabile che siamo costretti a cambiarla ogni sei mesi.
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L'uomo stolto cerca la felicità lontano, il saggio la fa crescere sotto i propri piedi.
J.
Robert Oppenheimer
"...è uno strano dolore... morire di nostalgia per qualcosa che non vivrai mai..
." Baricco-Seta
La felicità è benefica per il corpo, ma è il dolore che sviluppa i poteri della mente.
Proust
Ti amo, ma la cosa non ti riguarda. Holderlin
Post n°20 pubblicato il 13 Gennaio 2011 da ParafrasandoOblii
http://www.scripta-volant.org/index.php?option=com_content&view=article&id=364&Itemid=262 In occasione della festa di San Valentino, Associazione Aliantide / Scripta Volant organizza San ValenZine.
Il termine per inviare la propria poesia per partecipare al concorso scadrà giorno 10 febbraio REGOLAMENTO DEL CONCORSO 1. “San ValenZine” è un concorso per poesie, per partecipare al quale è sufficiente la registrazione gratuita al Portale Scripta-Volant.org. E' un concorso aperto a tutti i cittadini italiani, di qualunque età purché maggiorenni.
4. Per partecipare al concorso dovranno inserire nel forum San ValenZine la propria poesia. Ogni autore potrà partecipare con un solo componimento 7. I partecipanti al concorso sono tenuti a leggere e commentare le poesie in gara. Sussiste comunque l'obbligo di commentare almeno cinque poesie, pena l’eliminazione dal concorso. 8. I racconti dovranno essere letti e commentati con assoluta lealtà e schiettezza. La redazione si riserva di eliminare quei commenti che siano in contrasto con questi requisiti.
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Post n°19 pubblicato il 12 Gennaio 2011 da ParafrasandoOblii
[Geschlecht in Fesseln - Die Sexualnot der Gefangenen, Germania, Drammatico, durata 106'] Regia di William Dieterle. «Mi faccia lavorare, non saprei come sostenere il dolore». Il film racconta la storia di una novella coppia di sposi trovatasi ad affrontare la divisione, in seguito alla detenzione del marito. La carcerazione è causata dall'aggressione che l'uomo compie contro un altro uomo che stava insidiando la donna sul posto di lavoro. Elemento scatenante quindi risulta essere la gelosia nella sua forma brutale e spasmodica di irruenza. In seguito alla morte dell'uomo aggredito, l'aggressore (ovvero il marito in questione) viene condannato a tre anni di carcere. Durante un primo periodo di detenzione l'uomo entra in contatto con un altro uomo, il quale di lì a poco verrà scarcerato, che prometterà poi di aiutare la moglie del compagno di prigionìa, essendo la donna rimasta sola e senza alcun lavoro. L'uomo manterrà la promessa non appena libero. Uno dei temi centrali dell'opera risulta essere la sentita mancanza fisica del consorte espresso magistralmente sia dal punto di vista dialogico, nella frase «perché possiamo mangiare, bere, dormire e non fare quello?», sia visivamente nella disperazione dei protagonisti. L'uomo tenterà di esorcizzare la mancanza assumendo oggetti quali un fazzoletto, oppure il pane a forma di donna, come feticcio di un legame compromesso dalla imperativa distanza. Particolare anche il disegno che il marito crea sul muro del carcere generando un'immaginifica temporanea relazione con la moglie assente. Alla donna è, invece, dedicata l'intera scena in cui questa si dimena, correndo dall'uno all'altro capo della stanza, scorgendo il marito in pose e quotidianeità irreali, frutto del ricordo misto alla disperazione. Quelle piccole oasi costituiscono dei veri e propri ologrammi che si infrangono all'istante all'urtare della donna contro mura, porte e così via. Non trovando soluzione all'uno e l'altro sconforto i due si abbandonano al peccato: l'uomo tradirà la moglie con un compagno di cella; la donna con l'uomo che l'aveva aiutata. A questo punto del film è però evidente come i due, nonostante il sentimento che provano l'uno verso l'altra, si allontanino a poco a poco. Una scena mostra come nel corso dei tre anni la distanza nel momento di visita si acuisca fino a far perdere definitivamente la parola. Tant'è che si raggiunge il paradosso: la donna riesce finalmente a farsi concedere del tempo da sola col marito, tempo però che passa nel silenzio. E' a dir poco atroce, si evidenzia quanto le barriere mentali possano rinchiudere, ancor più di quelle fisiche, imposte dalla società. Prima il carcere non permetteva loro di toccarsi, di amarsi; poi nonostante la vicinanza e la permissione sono stesso loro a non tentare nemmeno un passo verso l'altro, in qualità di un rimorso albergante e di un senso di vergogna che prende piede massacrando ogni virilità. Eppure, quando la donna tornata a casa parlerà con l'altro uomo, alla domanda «se andassi da lui affinché tu fossi libera e diventassi mia moglie» lei risponderà «no, no, io amo lui, solo lui». Si evidenzia così come il momento di colpa, l'attimo di perdizione, non mutano quanto l'uno prova nei confronti dell'altro. I sentimenti non escono sconfitti dalla realtà dei fatti, come si vedrà bene nel finale, «Noi ci apparteniamo sia nell'amore che nella colpa». Tale senso d'appartenenza scaturisce però, ed è facile desumerlo, dalla scambievole peccaminosità dei due consorti. Entrambi, infatti, hanno tradito il loro sentimento, non solo uno, non solo l'altra. Alla fine risulta evidente che i protagonisti si perdonano a vicenda ma non riescono a perdonare se stessi, quindi la tragicità. Cosa ne sarebbe stato però di questo perdonarsi a vicenda se solo uno si fosse reso colpevole del tradimento? Fa quanto meno riflettere il fatto che il perdono dell'altro sia sempre agevolato dal proprio sentimento di colpa, magari passato, che permette una più facile comprensione della colpa altrui. E' vero perdono quello che si ottiene attraverso l'empatia, il riconoscersi nella colpa dell'altro, il redimere l'atteggiamento dell'altro perché anche noi un tempo abbiamo peccato? Come la fiducia non dovrebbe derivare dal perfetto comportamento del consorte, perché altrimenti sarebbe facile accordargliela; così il perdono dovrebbe ergersi al di sopra dell'orgoglio. Laddove non c'è orgoglio da recuperare, perché non è compresso l'equilibrio delle parti, in virtù del vicendevole sbaglio, allora non c'è perdono, ma comprensione. |
Post n°18 pubblicato il 17 Settembre 2010 da ParafrasandoOblii
Io sono una di quelle persone che non si diverte a "distruggere", cerco sempre di Un film di Ryan Murphy. Con Julia Roberts, James Franco, Richard Jenkins, Viola Davis, Billy Crudup.Titolo originale Eat Pray Love. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 140 min. - USA 2010. - Sony Pictures uscita venerdì 17 settembre 2010.
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Post n°17 pubblicato il 25 Giugno 2010 da ParafrasandoOblii
The Road è un film del 2009 diretto da John Hillcoat. Il film è un adattamento cinematografico del romanzo di Cormac McCarthy La strada, pubblicato nel 2006 e vincitore del Premio Pulitzer nel 2007. Protagonisti della pellicola sono Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee insieme alla sempre splendida Charlize Theron. La trama si svolge in un contesto "apocalittico" di crisi della realtà sociale, avvenuta in seguito a fenomeni tellurici di vasta portata. I terremoti avrebbero provocato, oltre il progressivo disboscamento, un’estinzione della fauna terrestre; la qual cosa ha condotto a sua volta verso un diminuire improvviso del bene primario per l’uomo: il cibo.
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Post n°16 pubblicato il 31 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
Il film che andiamo adesso ad analizzare è il primo di una trilogia che Bergman dedica al Silenzio di Dio. Come in uno specchio "Adesso noi vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia" (Prima lettera ai Corinzi, Capitolo 13, Verso 12, Paolo di Tarso) Innanzitutto l’ambientazione fu ispirata da un sopralluogo all’isola di Fårö, nel Baltico. Il luogo, a differenza delle isole Orcadi da lui pure visitate ma che non riuscirono a soddisfarlo, affascinò tanto il regista da divenire sfondo non che emblema della tematica scelta. Con la sua natura presente ma nostalgica, l’isola riesce bene a fondersi con lo stato d’animo dell’uomo spinto al culmine dell’essere esistenziale che lo contraddistingue. La storia narra di una famiglia colta nel doveroso assistere alla malattia di una donna: moglie, sorella e figlia. I personaggi riflettono, come in uno specchio, un amore che si fa dolore, filtrato dalle sfumature caratteriali dei tre. Il padre, scrittore famoso, combatterà l’avanzare del tempo che dilegua sempre più la possibilità di cogliere l’essenziale e lasciarsi andare ad esso. Il cruccio è quello d’aver perduto gli anni in una corsa forsennata verso tutto quanto alla fine non conta. "Vedi Karin si traccia un magico cerchio intorno a noi, escludendo tutto ciò Pare quindi che la crudeltà della vita sia proprio questa, quella di tendere egoisticamente verso scopi inessenziali, vani. L’altro è vissuto come un ostacolo, qualcosa da fuggire, ecco perché il padre annuncia ad inizio film la sua volontà rinnovata di partire per un viaggio culturale. "Dal mio animo vuoto sbocciò qualche cosa che non ho quasi il coraggio di nominare: un'amore per Karin, per Minus, per te", dirà poi al marito della figlia, confidandogli quindi, che nonostante il suo apparire egoista, c’era qualcosa, di gran lunga più grande di qualsiasi successo, che gli premeva, qualcosa che si era reso evidente in seguito ad un evento terribile: il tentativo di suicidio. Gesto culminante di un disprezzo di sé e della vita che lo aveva reso, e continuava a renderlo ogni giorno, un uomo indegno di ogni scelta. Affrontare la morte riesce quindi a scuoterlo dal torpore di un’esistenza spesa in un circolo vizioso che rifugge l'unico bene: l’amore. Il marito è un medico, l’uomo di scienza perduto in un amore destinato alla fine, non una qualsiasi, la più terribile: una malattia che condurrà la donna amata a scegliere tra due vite, due realtà. "Non si puo' vivere in due mondi, bisogna scegliere. C’è una porta che la donna continua ad attraversare, un varco tra i due mondi. In quel mondo esseri dal volto illuminato aspettano Dio, dicono che arriverà, sta già arrivando. L’attesa è amplificata anche da un udito più potente del normale, che costantemente la concede a delle voci. L’attesa di Dio è il nostro tempo, la nostra premura, eppure siamo costantemente rivolti ad altro, non udiamo le voci, perché siamo distratti da una realtà che prepotente fa soccombere l’altra ai nostri sensi. "Ho avuto paura, la porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me ed io l'ho visto in faccia, un viso ripugnante e gelido. Si è lanciato su me, voleva possedermi ma io mi sono difesa". Questa è la sola parte che ha destato qualche perplessità in me, per l’incongruenza che, come vedremo, avrà nei confronti di un’altra visione di Dio (in senso non letterale), quella del padre. E’ possibile, sebbene si tratti di ipotesi, che questo Dio di cui parla in queste parti la donna sia un essere diabolico che non coincide con il Dio che noi intendiamo. Credo che però in realtà si voglia così mostrare come la vita possa in tutte le sue sfaccettature, e soprattutto in situazioni limite, convincerci o dell’inesistenza di Dio (dell’essere quindi affacciati al nulla), oppure del suo essere malvagio. Ed è infatti accertato che l’uomo, all’insorgere di alcune situazioni, non riesca a concepire l’esistenza di un Dio buono. Si chiederà infatti: “Se esiste, perché fa succedere tutto questo?”. Questa è una delle conseguenze principali del silenzio: nessuna motivazione, nessuna voce che infiammi il buio di verità consolatrice. Il fratello, Minus, è un giovane ragazzino, tanto giovane da soffrire per una paternità che non si fa rispetto. Il rapporto tra Minus e la sorella sarà, invece, contaminato dall’insorgere della malattia in tutta la sua prepotenza, finendo nell’incesto. Eppure, nemmeno questo, riuscirà a scalfire l’affetto dei due fratelli, il loro amore ci colpirà, tra scambievoli premure e sentimenti di colpa, per la forza in cui riesce comunque ad essere puro, oltre le degenerazioni della malattia, oltre l’abbandono. "Affronto il supremo momento della perfezione e tremo di sublime gioia. Sembra che di fronte alla morte tutto perda di senso, ogni cosa decada. Persino l’amore ha bisogno di qualcuno che lo accolga, che lo consacri. Eppure, questa prospettiva così desolante verrà smentita proprio alla fine del film. Da notare quindi come i due poli dell’antitesi si collocano in posizione diametricalmente opposta: il giovane, ad inizio film, costruirà un’opera teatrale sul malessere dell’uomo che non riesce a rinunciare alla vita, nemmeno per l’amore. A fine film, il padre svelerà la sua verità al figlio.
A questo punto è evidente che l’identificazione Amore e Dio è alla base del pensiero dell’autore e che solo questa puo’ salvare l’uomo dalla nullificazione totale e lenire le sofferenze della malattia e poi della morte. Il dialogo finale si chiuderà con la gioia di un figlio che assiste alle parole del padre, quasi come fossero un’epifania, rivelazione di una qualche verità che generi conforto, non solo per il contenuto ma, principalmente, perché sente la sincerità di una comunicazione vera.
Dunque c’è nel silenzio qualcosa, qualcosa che non possiamo udire se non vegliamo, qualcosa che si riflette nel mondo ed in noi, come in uno specchio, qualcosa che noi tutti chiamiamo amore.
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Post n°15 pubblicato il 30 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
“Questa è la mia mano, posso muoverla e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo ed io Antonius Bloch gioco a scacchi con la morte”.
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Post n°14 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
Facciamo un gioco, vi va? :p Dovete scrivere un frammento contenente queste parole: Selciato Favore gesto equilibrio Il frammento deve essere di massimo 200 parole. Il premio consisterà in un ritratto fatto a mano da me, modificato poi al computer stile quello in alto. Ovviamente sarà necessaria una vostra foto o della persona alla quale volete regalarlo. Naturalmente la giuria consiste in me medesima. Good luck! |
Post n°13 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
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Post n°11 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
"Poesie dal Mare" è il primo concorso di poesia dedicato al mare organizzato dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto. |
Post n°9 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
CONCORSO INTERNAZIONALE LETTERA D'AMORE - DECIMA EDIZIONE ANNO 2010 |
Post n°8 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
"Big Fish" è spettacolare per la dimensione che riesce a creare, come un mondo sospeso tra la realtà e la fantasia, un mondo dove la linea del tempo si contorce su se stessa e genera strane antinomie. Con scene come quella della piazza di fiori o quella della vasca (giusto per nominarne due), questo film riesce ad entrare nell'animo di chi, se guarda un oggetto, non vede per forza solo quello. C’è il famoso detto, chi grida “A lupo, a lupo” quando poi c’è davvero il lupo non viene creduto, così il protagonista, da abile racconta favole, diventa un troppo grande racconta frottole. Il figlio, stanco di ascoltare ogni volta le stesse bugie, non trova più il volto del padre, perso nell’eroe che credeva che fosse da bambino e l’uomo smascherato dalla maturità e dalla ragione. E’ un padre senza volto, ogni suo ricordo un romanzo di avventura e febbricitante entusiasmo che, riesce così, a colorare una vita altrimenti comune. Al figlio che tenta, invano, di svegliarlo, di riportarlo alla cruda, grigia verità di una vita senza giganti, né streghe, l’uomo risponde con quelle espressioni di bambino che, forse vuole dirci Burton, dovremmo conservare tutti. Il problema è che se un bambino crede a babbo natale ispira tenerezza, mentre, se ci crede un uomo adulto muove pietà e compassione, se non disprezzo. Così il protagonista accumula i rancori del figlio, per una bugia troppo lunga, per un babbo natale con la barba finta che continua a dirsi vero. Burton vi fa perdere però in quel mondo fantastico, dal quale non vorreste più tornare, per poi mescolarlo alla realtà, amalgamarlo con una destrezza che solo una mente geniale puo’ avere. Alla fine, quando tutto sembra urlare contro il sogno e maltrattare la favola, è proprio lei che si presenta nel mondo con fare disincantato e tu capisci allora che è l’ineliminabile, amata, parte di te.
Da sottolineare le tinte burlesche, forti e vivaci, che colpiscono lo schermo per evidenziare il disagio di chi non sa vestire quei panni di evidente ipocrisia. Edward riesce ad adoperare le dure lame con così tanta leggiadria che il motivo di diversità lo rende per qualche istante centro di quel mondo, durerà poco. Un regista come Burton sa come una società del genere al primo errore sa radiarti e confinarti nella tua improvvisa unica via d’uscita, la solitudine. Il solo sentimento che resta, leggera e allo stesso tempo tragica melodia di fondo, è l’amore: unica tensione che sa accogliere la diversità e farne motivo di dolcezza. Memorabile la scena finale di lui che scolpendo il ghiaccio genera arte e fiocchi di neve che ricoprono la città, attutendone le tinte violente in sottile nostalgica meravigliosa malinconia. L’ultimo poetico regalo all’amata, la neve, i resti della diversità che sanno essere velo che coprendo svela la possibilità di una sola briciola di verità in un universo di menzogne. |
Post n°7 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
Sublime la scena finale, il suo sguardo che vede quello che vuole vedere, una finestra di cielo azzurro nel vuoto di una solitaria libertà. Non so se c'è una risposta, so però che possiamo chiederci perché ci ostiniamo a cercare dove non c'è, a rincorrere false sembianze di felicità. Possiamo chiederci perché l'uomo continua a costruirsi alibi vigliacchi e finti scopi per nascondere una bellezza che c'è, è lì, e noi non sappiamo guardarla. Io penso che chi abbandona la civiltà, non abbandona l'uomo, piuttosto abbandona quegli alibi e quei fini. C'è una piramide di letame che l'uomo adopera per tentare di scalare l'invisibile ed arrivare al cielo. Poi ci sono uomini che scavano nel letame perché forse hanno capito che è lì sotto la verità. La bellezza è nell'essere umano in quanto tale, nei suoi occhi che possono guardare il mondo e cambiarlo. Quando tutto non risponde all'immagine che vorresti, un'altra immagine, un fantasma dell'inadempiuto futuro si affaccia nella tua mente e ti propone fantastiche verità. C'è chi le coglie e ne fa il suo mondo, la sua realtà, inoltrandosi nel selvaggio. C'è chi invece si abbandona alle abitudini e sogna nell'inerzia di un divano che prende le forme del corpo. Ci sono uomini che sfidano se stessi, in realtà non stanno cercando di vincere la natura selvaggia con i suoi accidenti atmosferici, in realtà stanno cercando la bellezza dove non c'è l'uomo. E' l'identità che cerca l'identità senza l'altro, senza lo scontro di sguardi che l'altro presuppone. Ma una volta trovata, una volta di fronte la bellezza, di fronte la verità, vorrebbe correre, gridare a tutti che l'ha trovata, che è lì. Vorrebbe dire a tutti di vederla, di smettere di cercarla dove non c'è. Da sempre il saggio, l'uomo che trova la verità, come nel mito della caverna di Platone, tenta poi di trasmetterla agli altri. Come il grido di gioia di un successo, come la telefonata all'amico per l'esame vincente, come il pianto di commozione sulle spalle dell'altro, così la bellezza della verità deve per sua natura traboccare, esternarsi, perché la bellezza, che è verità, è che la verità è bellezza. Che il mondo è bellezza, che l'uomo ha nel mondo il suo paradiso di verità e bellezza, questa è la verità. Per natura questa verità deve specchiarsi negli occhi dell'altro. Perché se il mondo è bellezza l'uomo può essere bellezza solo essendo uomo, custodendo il suo posto nella natura. Se l'identità non è altro che una non alterità l'uomo è uomo solo davanti il sorriso o il pianto di un altro. Se l'uomo che è bellezza è uomo solo con l'uomo allora non è nella solitudine la bellezza. Tutti i tramonti e i cieli sconfinati che si perdono nell'orizzonte della natura selvaggia sono bellezza che si perde, che non si specchia, che non è verità, laddove non c'è uomo che osservandola senta il bisogno di condividerla. |
Post n°6 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
C’è una bellissima canzone di Roberto Vecchioni che dice “Vorrei essere tua madre per guardarti senza voglia, per amarti di altro amore…”. Questo film ci mostra un amore insolito, un amore che riesce ad oltrepassare l’erotismo sconfinando in un oltre che vince la normalità, vince il quotidiano crescere insieme. Lui nasce vecchio e morirà giovane, lei nasce giovane e morirà vecchia. La fine e l’inizio si intrecciano, si confondono, l’una diventa l’altro e l’altro l’una. Come due passeggeri di treni diversi fermi per pochi istanti alla stessa stazione così i protagonisti si ameranno, con la consapevolezza di un futuro in cui l’altro sarà assente. L’impossibilità di amare si trasformerà in un altro tipo di amore, un amore che abbraccia la diversità. Lei lo amerà ancora, anche quando sarà un bambino, anche quando non ci sarà più niente in lui dell’uomo che ha amato, lei lo prenderà tra le braccia e lo amerà. Lo cullerà come una mamma in un amore che si farà dolcezza, stringerà al seno un bambino che è lo stesso uomo virile e forte che l’ha resa madre. Lui l’amerà anche quando lei perderà la linea del corpo, amerà le sue rughe, le sue calze da donna matura, i capelli legati. Lui è stato un vecchio bambino incompreso, disadattato, non amato dai genitori, lui sa dove sta andando lei, sa a cosa va incontro. Lei è stata come tutti i bambini irrequieta, dipendente dagli altri, lei non può non capire a cosa lui va incontro. Entrambi custodiscono la fine dell’altro, così si comprendono come nessuno potrebbe mai, così si amano come nessuno potrebbe mai. Così va all’indietro anche la vita del protagonista, partendo da un futuro infelice, fatto di cecità e artrosi e calvizia e tutto quanto attende inesorabilmente l’uomo, migliorando poi lentamente, avvicinandosi progressivamente alla perfezione della pelle di un bambino, sogno dei chirurghi plastici affannati a ricostruire l’uomo. Incolliamo quello, tiriamo quell’altro… l’uomo diventa un fantoccio nelle mani di altri uomini, fino a situazioni paradossali. Almeno il bambino non è abbastanza maturo per soffrire la dipendenza dall’uomo, sofferenza che è direttamente proporzionale all’età. Così molti uomini preferirebbero vivere al contrario, come dice Woody Allen, nascere al contrario. |
Post n°5 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
Parte prima: ripresa e decadenza di una tradizione |
Post n°4 pubblicato il 28 Maggio 2010 da ParafrasandoOblii
Un intellettuale e uno scienziato, chiamati "Scrittore" e "Professore”, si avventurano nella "Zona", un luogo isolato da un cordone di sicurezza governativo, in cui nessuno osa spingersi.
Lo scrittore conosce la sua natura, sa che abbandonandosi ad essa getterebbe in faccia all’umanità tutto il suo marcio e lo farebbe per un suo profitto personale, ne trarrebbe giovamento, chissà forse ricchezze. Eppure, sia lui che il porcospino, reagiscono a questa situazione, in un modo o nell’altro. Banale è ricordarvi che il tutto va letto metaforicamente. Vorrei però sottolineare ancora l’importanza di questo passo. Per quanto l’essere umano sia per natura costretto nei suoi desideri più nascosti a fremere per ricchezze ed egoismi, c’è qualcosa che gli fa ripudiare tutto questo, che gli fa disprezzare la sua natura, che lo fa reagire contro essa, facendolo rinunciare a dei beni per sé. Nel nostro quotidiano spesso denunciano la falsità di comportamenti coscienziosi, cauti, oserei dire delicati. La denunciamo perché non ci sembra conforme alla nostra natura. Ebbene, personalmente credo che questa sia la grandezza dell’essere umano, la possibilità di ergersi al di sopra dell’egoismo che lo connatura, la ribellione direbbe Camus.
La sofferenza dello Stalker sarà grande per questo, lui che tanto ha sacrificato la sua vita, tutto, per condurre i miserabili alla stanza, lui soffrirà perché tutti infine lo abbandoneranno, tutti si scandalizzeranno, nessuno avrà fede.
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Inviato da: porno_zombie
il 16/02/2012 alle 16:26
Inviato da: rubenviola1975
il 19/01/2011 alle 13:07
Inviato da: cherytamtam
il 16/10/2010 alle 00:58
Inviato da: ParafrasandoOblii
il 14/10/2010 alle 22:28
Inviato da: ilmaredinotte71
il 14/10/2010 alle 21:09