felicita'e pensieri

Post N° 163


Ad un giovane che cominciava a lavorare nel suo giornale, il severo direttore di un quotidiano svizzero disse: «Quando scrive un articolo, si ricordi che ogni frase ha un soggetto, un predicato, un complemento oggetto e un punto; poi di nuovo un soggetto, un predicato, un complemento e un punto. Se qualche volta dovesse sentire il desiderio di adoperare un aggettivo, venga prima nel mio ufficio a chiedermi il permesso». La prima regola del giornalista deve dunque essere di scrivere con semplicità e chiarezza, evitando parole difficili che spaventano il lettore, frasi troppo lunghe che distraggono o annoiano, tante subordinate, eccesso di aggettivi e avverbi che ingarbuglino il discorso. Il dizionario della lingua italiana dello Zingarelli contiene 127 mila vocaboli. Alessandro Manzoni ha usato solo 8.949 parole per scrivere I promessi sposi, ma tutti quelli che l’hanno letto l’hanno capito. Possibile che per scrivere una notizia di poche righe non si riesca a trovare la forma giusta? Scrivere dunque per farsi capire. Ma da chi? Dal proprio lettore o ascoltatore, naturalmente. Ogni giornale, trasmissione radiofonica, conversazione o conferenza, ha un pubblico di diverso livello. Anche all’interno di uno stesso giornale, c’è differenza tra il lettore della cronaca nera e quello dei resoconti di borsa. Chi scrive sul giornale deve saperlo, rivolgendosi al suo lettore in modo adatto. Non c’è cioè un modo unico per scrivere sui giornali, un linguaggio universale per ogni tempo e occasione. Sta all’abilità del giornalista capire quando e come deve regolare il tono.