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« L'angelo del faroL'angelo di pietra »

I due angeli

Post n°21 pubblicato il 20 Dicembre 2009 da gesabel1

In un museo importante, pieno di quadri e di visitatori, c'era una saletta nella quale non entrava quasi mai nessuno. Si trovava alla fine di una lunga galleria, dove erano esposti i ritratti di personaggi famosi: nobili dame, con tanto di pizzi e doppio mento, e cavalieri chiusi nelle armature fino ai baffi. Ma di ammirare questi personaggi avevano voglia in pochi. In generale i visitatori davano un' occhiata a quelle facce severe, storcevano il naso e scappavano via. Quasi nessuno s'affacciava alla saletta in fondo alla galleria e quelli che ci arrivavano, dopo aver visitato tutto il museo, o avevano i piedi gonfi per la stanchezza o avevano la pancia vuota. Così mettevano appena la testa dentro, dicevano in fretta e furia «Belli, belli», e se ne andavano. E i quadri di questa piccola sala, che stavano appesi lì da anni e anni, si annoiavano da morire. Tra questi ce n'era uno che rappresentava una Madonna con un Gesù Bambino addormentato sulle ginocchia e un angioletto accanto che lo guardava.

La Madonna era giovane e bella e l'angioletto era biondo, roseo e paziente. Appoggiava il braccio destro sulle ginocchia della Madonna, il fianco contro la sua gamba e guardava il bambino addormentato. Ma ogni tanto, forse perché lo guardava da molto tempo, si lasciava sfuggire uno sbadiglio. Ora, una volta capitò un fatto eccezionale: nella galleria dei ritratti arrivarono un uomo, una donna e un bambino. L'uomo e la donna erano i genitori del bambino ed erano venuti apposta in quel museo per ammirare i quadri della galleria, perché conoscevano di quei personaggi «vita, morte e miracoli», come si è soliti dire, e ne volevano vedere anche l'aspetto. Il bambino si chiamava Ubaldo, come uno di quei signori in armatura: era biondo, roseo e per niente paziente; anzi, era il bambino più irrequieto e prepotente che si possa immaginare. I suoi genitori erano due illustri studiosi e stavano tutto il giorno con la testa sopra i libri; per di più erano miopi come talpe e Ubaldo era costretto a urlare, fare capricci e combinare guai in continuazione, perché loro si accorgessero di lui. Anche quel giorno, il professore e la professoressa Polidoro Caldara Vecellio Papes Mosena (gli studiosi importanti hanno sempre molti cognomi), arrivati nella galleria dei personaggi famosi, dopo aver raccomandato al figlio «Ubaldo, fai il bravo», incollarono il naso al primo quadro e si dimenticarono completamente di lui. E Ubaldo, come sempre, fu libero di scorrazzare a suo piacimento. Ispezionò un paio di ritratti, fece le boccacce a una dama ingioiellata e a un omaccione vestito da guerriero, che non lo degnarono di uno sguardo, si ripulì con cura il naso con il dito, sbadigliò rumorosamente, strillò un paio di parolacce "Ubaldo, fai il bravo!" disse sua madre; e poi, non sapendo che cos'altro fare, passò nella saletta in fondo alla galleria.

Anche qui quadri, solo quadri! E il povero Ubaldo, disperato, si mise sulle braccia, a testa in giù, e cominciò ad andare avanti e indietro, indietro e avanti per la stanza. Tanto per fare qualcosa. Aveva appena incominciato, che senti qualcuno ridere. Si fermò di colpo, si rimise a testa in su, si guardò attorno e non vide nessuno. Riprovò, di nuovo a testa in giù, di nuovo la risata. Allora corse nella galleria: nessuno. Solo i suoi genitori con il naso incollato a un altro quadro. Ritornò nella saletta e fece un' altra prova. La risatina si ripeté. Era una risata piccola piccola, come un campanello, la voce di un bambino. Ubaldo si raddrizzò. - Dove sei? - chiese. - Sono qui. La voce veniva dall' angolo meno illuminato. Ubaldo si avvicinò e vide il piccolo angelo del quadro che rideva. - Perché ridi? - Non ho mai visto nessuno camminare così. - Vuoi che lo rifaccia? Il piccolo angelo fece di sì con la testa e Ubaldo ripeté l'esibizione. L'angelo rise di nuovo. - Dev'essere divertente, - disse. - Mi piacerebbe provare.- A me piacerebbe provare le tue ali, - disse Ubaldo. - Perché non facciamo scambio- Tu qui e io là? Il piccolo angelo era dubbioso: da quando l'avevano messo in quella posizione non si era mai mosso. Nemmeno con un dito. Poteva veramente? - Dài, - lo esortò Ubaldo, - solo cinque minuti. lo mi metto le tue ali e tu i miei vestiti. Non se ne accorge nessuno. In fondo, che male c'era? Solo cinque minuti, aveva detto il bambino; e l'angioletto si decise. Sollevò con delicatezza il braccio, spostò piano piano il fianco, si girò (non guardò il Bambino addormentato né la Madonna), fece un piccolo volo e fu a terra. Accanto a Ubaldo. Incredibile! I due bambini erano identici: stessi capelli biondi, stessi occhi, stesso colorito; eppure profondamente diversi. - Sbrigati, dammi le ali! - ordinò Ubaldo. - Ma prima devi toglierti i vestiti. - I vestiti? Mica sono scemo! - Con i vestiti sei troppo pesante, non puoi volare. Ubaldo a malincuore si spogliò, mentre il piccolo angelo, che non riusciva a toccare il pavimento perché era troppo leggero, indossò i vestiti di Ubaldo e per la prima volta in vita sua mise i piedi a terra. - Dammi le ali, adesso! L'angelo si tolse le ali, gliele fece indossare e gli mostrò come doveva usarle. - Però devi andare là: loro non possono rimanere soli. - Là dentro? Non sono mica scemo! Oh, che bello, volo! Voolooo!! Pistaa!! E Ubaldo cominciò a svolazzare per tutta la sala, qua e là, sbattendo contro i quadri e le pareti. - Devi entrare là dentro, solo cinque minuti, - ripeté l'angioletto con gentilezza. - L'hai promesso. Ma Ubaldo non sentiva discorsi. - Volo! Evviva, pistaaa!! Su, giù, in tondo, in modo sempre più frenetico. L'angelo gli ripeté la richiesta, ma quando s'accorse che Ubaldo non lo ascoltava nemmeno, alzò un dito, roseo e affusolato, e glielo puntò contro. All'istante, Ubaldo si ritrovò dentro il quadro: il braccio destro sulle ginocchia della Madonna, il fianco contro la sua gamba, a guardare il Bambino addormentato. Come dipinto. - Le promesse si mantengono, - disse il piccolo angelo e si mise a testa in giù, cercando di camminare sulle braccia. Una prima volta e ricadde, una seconda, e finalmente alla terza ci riuscì. - Evviva, cammino! Pistaaa! Mentre andava avanti e indietro per la stanza, arrivarono i genitori di Ubaldo, che avevano finito di visitare la galleria dei ritratti. Videro l'angioletto e lo scambiarono per il figlio. - Sei stato bravo, Ubaldo? Ti sei divertito?

Andiamo, che si è fatto tardi! Il piccolo angelo, ubbidiente com'era, si rialzò subito e, non osando contraddirli, li seguì. Da quel giorno visse con loro. Distratti e per di più miopi, il professore e la professoressa Polidoro Caldara Vecellio Papes Mosena non s'accorsero per niente dello scambio. Una volta sola, quando qualcuno per complimentarsi della bontà del loro bambino, disse: «Ma è un vero angelo! », si guardarono un po' preoccupati e l'uno disse all' altra - Trovi anche tu che Ubaldo sia cambiato? - Mah, non saprei. Comunque è sempre stato un angelo di bambino. E tutto finì lì. Nemmeno i visitatori del museo, né gli studiosi che ogni tanto esaminavano il dipinto notarono qualche cambiamento. Ecco la Madonna, ecco il Bambino, ecco l'angioletto biondo, roseo e paziente, che guardava il Bambino addormentato. Nessuno s'accorse mai che, appena voltavano le spalle, l'angioletto si girava e faceva loro le boccacce.

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