Il Museo di Santa Giulia a Brescia prosegue il coraggioso ciclo di mostre dedicato agli artisti “scomodi” agli occhi del potere: dopo Zehra Doğan e Badiucao, è la volta della russa Victoria Lomasko...
Lomasko nasce in una città industriale a circa cento chilometri da Mosca. Ha appena tredici anni quando, nel 1991, l’Unione Sovietica viene ufficialmente sciolta. Lomasko, dunque, trascorre l’adolescenza durante i cosiddetti “Devyanostie” (“Anni Novanta” in russo), passati alla storia come “selvaggi” a causa degli eventi epocali di cui sono stati testimoni: la dissoluzione dell’URSS e le ventate di liberalismo occidentale non furono altro che un fuoco di paglia, immediatamente spento dal collasso degli apparati statali e da un’inflazione galoppante. Nel 2003, Lomasko consegue il diploma in Arti Grafiche presso l’Università di Mosca e, da subito, intraprende la strada di un’arte provocatoria, già percorsa da suo padre, anch’egli artista. Quella di rimanere in Russia e di praticare un fervente attivismo (o meglio “artivismo”, come direbbe Vincenzo Trione), nonostante il pericolo e la censura con cui inevitabilmente si scontrava, non fu una scelta, bensì un’azione di responsabilità in quanto artista. Con lo scoppio del conflitto russo-ucraino, tuttavia, la pressione politica su coloro che contestavano il regime di Putin è aumentata a tal punto da costringere Lomasko a lasciare il suo paese, rinunciando al prezioso punto di vista interno di testimone. Victoria Lomasko, nel corso degli anni, ha esposto le sue opere al museo Reina Sofía di Madrid, che ha acquisito parte dell’archivio, nonché a Basilea e a Londra. Il suo lavoro, inoltre, è stato esposto a Documenta 15, a Kassel.