Il gioco

Carmelo Bene


LorenzaccioLorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova. Disapprova l'agire. E la storia medicea, dispensata, non sa di fatto stipare questo suo (?) enigma eroico; ha subìto e glorificato di peggio, questa storia. Ma le cose son due: o la storia, e il suo culto imbecille, è una immaginaria redazione esemplare delle infinite possibilità estromesse dalla arbitraria arroganza dei “fatti” accaduti (infinità degli eventi abortiti); o è, comunque, un inventario di fatti senza artefici, generati, cioè, dall’incoscienza dei rispettivi attori (perché si dia un’azione è necessario un vuoto della memoria) che nella esecuzione del progetto, sospesi al vuoto del loro sogno, così a lungo perseguito e sfinito, dementi, quel progetto stesso smarrirono, (de)realizzandolo in pieno. Certosini nel lavorio paziente del  lucidar la trama dei preparativi, cauti, meticolosi, febbrili dell’angoscia inconfessabile dell’insonnia d’esserci – onnipresenza inumana intollerabile del sé a se stesso - , precipitarono nell’attimo tutta una vita pensosa: il gesto. E non furono più. Per un attimo. Estromessi dalla godibilità del vuoto dalla felicità sempre invisibile; per svegliarsi subito dopo, nuovamente sovreccitati e infelici, mascherati da zingare a cavallo – turisti o esuli poco importa – per le vie dell’acqua putrida a Venezia, città termale del nostro secolo per coloro che vogliono morire.(…) Ogni azione, per quanto comprensibile, è impensabile, e la Storia è un’ipotesi dell’antefatto, o il dizionario del mai accaduto.