GIORNALE WOLF

Editoriale


Nelle discussioni introno al Partito Democratico è importante fare chiarezza sul termine democratico come sul termine partito: Ossorio, vicepresidente della Commissione Bilancio della Camera, in un articolo del 15 maggio sul Corriere, risponde a D’Alema, che è tornato a parlare di liberalismo, apprezzandone l’efficacia nel consentire l’inclusione dei cittadini trascurati dallo stato. Un riconoscimento interessante se si accompagna ad una ripresa degli autori centrali del liberalismo, non in quanto tali, non in quanto oggetto di storia, ma per i chiarimenti che hanno portato alle idee della politica. Che in parte richiedono un taglio sociologico e comunicativo, da un altro una meditazione di filosofia politica, che renda chiari i concetti. Ad esempio il termine Partito è del tutto equivoco al giorno d’oggi; chi ha memoria dei partiti concretamente esistenti, li ricorda come luoghi di riunione, più che altro – le decisioni passavano sempre per luoghi ristretti – cui si accedeva con molta pazienza e lavoro; oggi l’impressione è peggiore, perché la stessa vita dei partiti è diventata troppo simile alle lobbies – e ciò sembra molto moderno – ma non è liberale. Perché se il partito è un luogo politico, l’economia vi è una componente importante ma non coincide con la sua istituzione. La politica liberale è appunto quel metodo che certo non ignora né la storia, né la politica, né i rapporti di potere: ma in sé è qualcosa di diverso, cioè è proprio il punto in cui tutte queste cose si incontrano senza scontrarsi frontalmente, cercando la mediazione per realizzare un progetto. Inoltre, mediazione non vuol dire spartizione: vuol dire far quadrare una coerenza nuova, in cui le ragioni diverse di persone diverse si combinino in un progetto possibile e dotato di qualche presentabilità, di una struttura di un punto di vista angolato che è appunto la mediazione operata dal Partito: tra queste poi in Parlamento si costruisce la mediazione dello Stato, attraverso il Parlamento. Questo è il luogo della politica.Se nel Partito, come tanti amano dire, si realizza il motto “Non sono d’accordo con te, ma mi batterò perché tu possa sostenere la tua idea”, non è per far costringere l’altro a marcare presenza regalandogli un po’ di pazienza, così che poi lo si possa indurre a far quel che vogliamo noi. Il motto vuol dire che ogni voce è importante, che se il Partito rappresenta quel gruppo di persone e non le mette fuori dal proprio campo, ciò evidentemente è perché vuole far entrare nella mediazione anche quell’interesse. Non sono mai esistiti, naturalmente, questi luoghi edenici, dove ognuno lascia il passo e gioca al fair play – forse è bene ricordarlo, la politica è terra di lupi. Ma il principio, la legge, deve essere tale, che la pratica possa corromperla solo parzialmente, lasciando intatto l’ideale. Che deve essere chiaro.   E poi democratico, ricorda Ossorio, vuol dire nato da una politica liberale ed in esso confluente. Il liberalismo democratico non è una dottrina liberista. Perché non si basa solo sul laissez faire - laissez passer con cui è nato il liberalismo nella rivolta antifeudale. Oggi lo Stato non ha semplicemente una funzione di garante delle regole, come voleva Einaudi. Perché quel principio nacque contro l’aristocrazia feudale, che fu sconfitta. Oggi invece viviamo in un regime di monopoli e in un paese di aspiranti monopolisti: lasciar fare non significherebbe come allora lasciare il campo alla borghesia operosa, o forse al proletariato – significherebbe lasciare spazio a chi più ha per garantire i suoi diritti, aumentandoli a dismisura. Si creerebbe una società di monopolisti: anche qui esiste naturalmente la libertà – ma di uno o di pochi, e nessuno la chiamerebbe liberalismo o democrazia: si tratta di tirannia o aristocrazia. “Il Pd, conclude Ossorio,  deve necessariamente aprirsi a quella tradizione culturale e politica, che dal dopoguerra ad oggi ha cercato di interpretare un liberalismo progressista e non conservatore”.Speriamo che il PD ascolti questo consiglio. Clementina Gily