Giornalista per caso

UN PEPITO D'ORO


ROMA – Il cognome è lo stesso: Rossi. Uno in Spagna vinse un Mondiale nel 1982, l'altro invece da due anni sta facendo faville nella Liga, la stessa di Cristiano Ronaldo e Messi. Per distinguerli Bearzot, sapendo che il più famoso, Paolo, era soprannominato Pablito, decise per il più giovane, Giuseppe, l'appellativo di Pepito. Pablito e Pepito o se preferite Paolo e Giuseppe hanno due punti in comune: il primo è il cognome, l'altro la familiarità con il gol. Se l'ex attaccante di Juventus, Como, Vicenza, Perugia, Milan e Verona ha però vinto tutto quello che c'era da vincere sia a livello di squadra – 2 scudetti, una Coppa dei Campioni, una Supercoppa Europea, una Coppa Italia e soprattutto una Coppa del Mondo – che personale – capocannoniere in Serie B, in Serie A, in Coppa Campioni e al Mondiale oltre al Pallone d'oro – l'emergente Giuseppe (classe'87) ha sinora nella sua bacheca una Coppa di Lega inglese. Per uno strano vizio che da sempre caratterizza il nostro paese e che vuole un uomo politico di 50 anni esser definito giovane, quando Blair più o meno alla stessa età si era già ritirato dalla scena politica inglese, Giuseppe è dovuto emigrare. Prima sotto l'ala protettiva di Ferguson al Manchester United che lo fa debuttare in Premier e poi – dopo la doppia parentesi in prestito a Newcastle e Parma, dove contribuisce con 9 reti in 19 partite  alla salvezza dei gialloblù – trova casa a Villareal che lo acquista per 11 milioni. Troppi per le società italiane che in quel periodo preferiscono investirne 9 per Cicinho, 13 per Suazo e 10 per Poulsen. Non gli bastano 48 gol in 118 gare nella Liga e diventare nella storia del Villareal il miglior marcatore di sempre a quota 49 (ora è già arrivato a 71): di lui si continua a dire semplicemente che è un giovane interessante al punto che l'ex ct Lippi in Sudafrica lo esclude dalla lista dei 23. In questa stagione il boom: 50 gare ufficiali e 28 reti divise fra campionato spagnolo, Europa League e Nazionale. Già perché il nuovo corso firmato Prandelli si accorge (finalmente) di lui. I media e il pubblico, invece, impiegano un po' di più. Serve un gol alla Pablito in amichevole contro l'Ucraina per fare in modo che Pepito - al quale oramai fa la corte il Barcellona con buona pace di Juventus, Napoli, Lazio e Roma – torni in auge: «Dicevano che ero troppo un bravo ragazzo – ha spiegato ieri - io sono semplicemente me stesso. Come dice Prandelli ho raggiunto maturità ed equilibrio». E forse anche un po' di consapevolezza delle sue doti. Con la rete dell'altra sera in poche apparizioni in azzurro ha già raggiunto Cassano a quota 5, che di questa Nazionale dove essere, insieme a Balotelli, l'emblema. Ma Giuseppe, che sa come funzionano le cose nel nostro paese, fa finta di nulla e rilancia: «Non vedo perché io e Totò non possiamo giocare insieme. Il calcio moderno è questo: tanta tecnica, possesso palla, capacità di far girare il pallone e velocità». Già, finalmente ce ne siamo accorti anche qui e senza andare a controllare la carta d'identità. STE CARARTICOLO PUBBLICATO SUL MESSAGGERO IL 31-03-11