Mondo Parallelo

IL GIOCO DELLA VITA


Certo non si diventa vecchi perché si è vissuto tanti anni: si diventa vecchi quando si rinuncia agli ideali. Gli anni segnano la pelle, la perdita di ideali segna lo spirito. Pregiudizi, dubbi, timori, perdita di speranza sono nemici che poco per volta spingono gli occhi e il corpo a terra, anzitempo, ancora prima di tornare alla terra. Giovane allora, lo posso definire, chi ancora riesce a  meravigliarsi ad entusiasmarsi; chi ancora chiede, come un insaziabile bambino: “E poi?”, e chi provoca gli eventi e sa gustare il gioco della vita. Siamo giovani come la nostra fiducia, vecchi come il nostro dubbio; giovani come la fede in noi stessi, nella nostra speranza, vecchi come il nostro scoramento. Credo che resteremo giovani, finché rimarremo ricettivi per il bello, il bene, il grande, e pronti a cogliere quelli che sono i messaggi che la natura ci invia, ricettivi per quanto ogni giorno ci viene regalato da lei perché noi siamo parte del suo mondo e come figli irriconoscenti e irriverenti non le portiamo rispetto; lo stesso che neghiamo al nostro prossimo, nell’incomprensibile spira d’odio che siamo capaci di creare con le nostre mani, annullando il nostro essere in simbiosi con la natura, nella nostra stupidità di onnipotenza. E adesso che a questa natura io mi rivolgo, cercando di cogliere in lei i segni di un possibile perdono, confuso dalle sue ferite aperte, e dalle sue viscere tormentate, dallo scorrere deviato dei fiumi, dalla strage dei suoi figli, dalle foreste rese cenere dal fuoco, percepisco parole che mi lacerano il pensiero e mi corrodono il cuore: “Sì, ho conosciuto l’amore degli uomini, ed era possessivo, mi ha privato del mio essere; ho conosciuto la loro amicizia, ed era sfruttamento; ho conosciuto il loro aiuto, ed era solo umiliazione; ho conosciuto la loro pietà verso le mie creature, ma era falsa come la loro protezione, perché aveva un secondo fine; ho conosciuto la loro giustizia, ma era parziale e sommaria; la loro forza, ma era brutalità; ho pensato alla loro onestà, nei giorni in cui i pesci nel mare venivano a riva e da uomini riportati al largo, ma era apparenza. Ho conosciuto la loro fede quando li vedevo implorare, gli occhi rivolti al cielo, alla ricerca di chi potesse scagionarli, ma era prigione; così come la loro filosofia, che era nulla più che cenere; mi sono illusa, come una madre piena di speranza che guarda il proprio figlio malato credendo nella loro scienza, ma era cecità, era solo amore di madre. Ed io rispondo e non trovo parole: “Certo però che non ti sei mai sentita sola e nemmeno ti sei riposata con l’uomo a fianco come compagno! Nemmeno i vulcani lo hanno messo a disagio, né il fuoco dei giorni in cui il sole mieteva deserti laddove prima scorrevano i fiumi! “Sì ho conosciuto la compagnia degli uomini, ma non mi riempiva. Nemmeno adesso riesco a colmare il mio vuoto con quello che dentro mi è stato lasciato”. Poi rimane in silenzio e io chino la testa, e fisso il tramonto e la palla di fuoco che cade dal cielo come un bimbo che, stanco, si riposa in grembo alla madre, per trovare riparo e conforto. Tutto mi parla di quello che in un istante ho potuto capire restandone turbato, e ho solo compreso di non essere morto a me stesso. Così, se un giorno, il nostro cuore fosse corroso dal pessimismo, avvinto dal cinismo, e non ci rifletteremo più nelle acque limpide dei rivi per farne uno specchio, speriamo che almeno, chi sta al di sopra di noi, abbia pietà della nostra anima, dell’anima… di un vecchio. Giov@nni