Mondo Parallelo

ANIMA APPESA


Si divertiva, lui, tra il serio e il compiaciuto, sordo alle mie grida d'aiuto, mirava dritto al mio cuore con le sue tristi parole. Io mi incupivo e mi voltavo a nascondere il viso, e lui con le dita fatte di fumo mi prendeva e mi rimetteva al mio posto, come fossi un pupazzo di stoffa, o come si fa con un quadro, che non è più dritto ma obliquo, e pende dalla parte dove ha peso e, scivolando va giù, sempre più giù. E mi guardava negli occhi, quel corvo dipinto di nero; lì sulla tela sembrava volare d’un tratto a me incontro come volesse balzarmi addosso per graffiarmi la faccia. Poi quegli occhi grandi e neri, fissavano la linea infinita a tratto sottile tracciata a matita tra il sogno e il reale. Occhi rotondi, neri come l’inchiostro, due grosse polle d'acqua in cui scrutava con lampi di gelo intorno alla stanza. Sciocco uccello piumato di nero, senza riguardo e nemmeno ritegno. E ingenuo, io. Io che restavo, a guardare impietrito oltre la tela di un quadro fatto di righe segnate sullo spartito del tempo con tinte pastello, troppo vicine e scure, le une alle altre confuse, indefinibili  a volerle scrutare e commentare. Troppo simili a un sogno fatto di tele di ragno che a mano a mano che avanzi, cadono e ti avvolgono come un vischioso ornamento. Forse sognavo, forse speravo di potermi svegliare ma facevo fatica a cercar di resistere al curioso vagare delle immagini attorno. Non ci fu mai una vera paura o un timore reale che mi potesse far male talmente dal dovere gridare e volermi svegliare d’impatto. Era come se il mondo prendesse le forme del quadro, quello obliquo che sembrava voler cadere, e il paesaggio cambiasse di colpo e mi volesse assorbire come fosse un universo nascosto dietro a uno specchio che non riflette ma ti fa passare dall’altra parte; e, subito indietro non pensi di dover tornare, talmente strano e fatato è quello che ti si para davanti, e lo vuoi scoprire, e lo vuoi visitare. Intorno tra arbusti spezzati e secchi, fili di parole tirati sopra quel mondo a nascondere il pianto delle stelle, come lunghi nastri lucenti cuciti alle nuvole, mossi dai sospiri degli amanti che un tempo si rincorrevano lungo i sentieri nascosti, ove ancora giaccion le impronte profonde dei loro passi, calcinate dal tempo, come se una colata di lava vi si fosse posata a renderle eterne. Soltanto da un lato, separati da un tratto di penna c'erano orizzonti viola disciolti in due oceani di malinconia. E laggiù in fondo, perso giù sullo sfondo cadente, su quella linea insensata e invisibile dove lo sguardo osa ma non si posa, su quella ferita del mondo che non è più cielo e non è ancora mare, lontano, laggiù nel vuoto, dove l'azzurro si macchia di blu, c'era la mia anima sola, obliquamente appesa. Giov@nni  (Somewere... 50 °C)