Mondo Parallelo

TIENIMI PER MANO


Tienimi sempre forte per mano, e allora io andrò dove tu andrai. Tu ti fermerai, io mi fermerò, la tua gente sarà la mia gente, il tuo deserto sarà il mio giardino, e ovunque tu vada la tua solitudine sarà la mia intimità, e poi tu mi darai gli occhi del cuore per contemplare la mia ombra sulla sabbia e trasportarla e farla sparire fuori da ogni granello, là nell'azzurro dove mi acceca la luce del sole. Non so, ma sarà perchè oggi è un giorno un po' strano, e il cielo sembra più azzurro che mai; non so, sarà che c'è sempre sole e un venticello fine mi accompagna ogni momento e mi accarezza la pelle, tanto che a volte, fermo il respiro perchè mi sembra di non sentirne più il sibilo e il soffiare lieve. Poi nel silenzio riprende, lo sento di nuovo e m'acquieto. Nel chiarore di bianche case accostate le une alle altre, un continuo di specchi che riflettono la luce abbagliante del sole. Mi chino a raccogliere un sassolino che ha colpito il mio sguardo con un raggio d'argento. Mi accorgo che non era un diamante, ma un pezzo di vetro di verde colore, magari mi era caduto dal cuore e non me n'ero accorto; arrotondato nei suoi contorni, la forma di un fiore. Lo lascio cadere, in mezzo alla sabbia, con lui un mio pensiero intinto di sole, e... questo silenzio che mi invade dentro. Lo lascio parlare per me. E poi, vicino, guardo quel vecchio stanco, le rughe profonde, gli occhi scavati, ancora vivi, un poco opachi nel nero profondo delle pupille. Ma l'iride è ancora chiaro nel suo azzurro di cielo. Gli porgo uno sgabello più vecchio di lui; scricchiola sotto il suo peso, sono solo ossa posate sul legno, non c'è peso, solo tendini e nervi a far da sostegno, e, a fasciare insieme, su quello sgabello posate, quel vecchio treppiedi di legno. Quante grida, quante cadute, quante battaglie perdute, celate in quel mucchio d'ossa appuntite. Non ho voglia di commiserare, tantomeno di lasciarmi afferrare dalla tristezza. Distolgo lo sguardo e lo poso in fondo alla strada per guardare dei bimbi che giocano a rimpiattino tra i viottoli bianchi, risate lontane. Rumore di sassi, là lungo il sentiero di sassi, punto ultimo in cui tutto s'inoltra. Punto d'approdo fino al dono di sé, la strada che inghiotte il destino dei bimbi che giocano senza timor di cadere bocconi tra i sassi. Così sembrano dire coi visi ridenti: "ci sia concesso di non aver paura d'amore quel giorno che lo sapremo capire; quando amare sarà il dono più bello.". Così, rinnegare se stesso non è tradire le proprie possibilità. È invece prendere la strada per realizzare appieno l'ostacolo maggiore del vivere liberi, così come quei bimbi che corrono a perdifiato tra i ciottoli bianchi. E, difficile è il vincere il nostro ripiegarci ossessivo su quell'io interiore che continua a farci campare in un sistema esistenziale tolemaico. Ci crediamo il centro dell'universo e tutto deve girare cortigianamente attorno a noi. È meglio guardarci dentro rinnegando quanto ci angoscia. Meglio farlo se non vogliamo inciampare su noi stessi e ritrovarci a piangere una vita sprecata nella nostra solitudine egoista. Capacità di andare fino in fondo, adesso ti ho trovata, adesso, sì, tra i ciottoli bianchi, dei sentieri nascosti del cuore. ---- Giov@nni (By now)