Mondo Parallelo

COME ELISSA


Donna, roccia della tribù sbandata, toglimi queste maglie e cinture di rigidezza e paura con cui mi atterrisco e ti atterrisco. Donna oscura e umida di lacrime, voglio la tua larga, fragrante secolare e robusta sapienza, voglio tornare alla terra e ai suoi frutti che noi uomini cogliamo copiosi e con il peso e la completezza del mio essere voglio che tu m'illumini; non vorrei offrirti un dono qualsiasi, ti darei soltanto quello che i più non hanno. Quel tempo, che magari ti hanno tolto, per divertirti e per ridere; per il tuo fare e il tuo pensare, non solo per i tuoi cari, per i tuoi amori, ma anche per donarlo agli altri. Lo so che non basta mai, che le rughe coprono il viso giorno dopo giorno, ma tu non affrettarti a correre, e affacciati allo specchio del cielo per essere ancora più bella, per stupirti di te stessa, lo sguardo fisso su un orologio che non misura il tempo, ma la felicità di essere. E poi fermati a guardare le stelle per far crescere dentro il tuo petto la voglia di sperare nuovamente e di amare. Non ha più senso rimandare. Tu donna complice unica e terribile sorella di me che sono uomo, dammi la mano e torniamo ad inventare il mondo noi due soli. Voglio non distaccare mai gli occhi da quella donna statua fatta di frutta candita, quale tu sei. E lasciami sempre vedere la tua misteriosa presenza, il tuo sguardo di ala e seta e ricettacolo di sensazioni nascoste, celate nel tuo corpo tenebroso e raggiante, plasmato di slancio senza incertezze. E’, sì, il tuo corpo infinitamente più tuo che per me quello mio! Fallo ballare nelle notti di luna crescente, tra il cielo e il mare infiniti, ed io che in essi vago, come naufrago compagno d'un folle Ulisse, quando volgo lo sguardo e penso, preso da mille emozioni; sì, fallo ballare senza tenere niente solo per te, niente, così, come la luna, con il tuo essere illuminato tutto di generosità. Donna mendicante d’amore, come Didone regina in terra feconda, mito nel tempo rimasto immutato, Elissa, figlia di Tiro, prodigo porto dell'errante Enea! Non permettere che io dimentichi mai la tua voce con la parola calamitata che nel tuo intimo pronunci sempre netta e chiara, quella parola sempre giusta, intrisa di folgorante e selvaggia purezza del tuo amore a volte senza freno; con il gemito nettissimo della tenerezza e lo sguardo pensieroso della cruda, chiara verità dell'amore, che ti assorbe e ti divora il cuore. Si alimenta di te l'invisibile essere di me vagabondo, e allora dammi da mordere la frutta della vita, quella stabile pioggia di luce del tuo amare; e poi senza più indugiare, lasciami reclinare la mia fronte sul tuo seno di paradiso per addormentarmi e sognare, per spogliarmi e acquietarmi della colpa di non capire abbastanza la tua completezza, di non essere sempre un altro che con me per te parla, ma... soltanto me stesso.Giov@nni