Mondo Parallelo

L'ABETE


Ricordo, non c’era neve come adesso, quell’anno. Mai ce ne fu abbastanza per coprire prati pieni di memorie, ma quell’anno il verde dei colli si stagliava nell’aria, attraverso il vetro della finestra. Mi raggiungeva pieno di lusinghe, e ricordo l’abete che, pieno di candeline colorate lasciava cadere insieme con me fiocchi di cielo. Lo piantai in giardino e ora la sua cima si inclina sul tetto della casa; indulgente accoglie nidi di passeri, piccoli ragni tessono la tela fra ramo e ramo. Ora, ancora addobbato di luci e di ghirlande color dell’oro, è un distinto signore, non troppo vecchio, diciamo di mezza età, che conserva nel tronco piccoli tratti fatti col carbone, e conversa con piccioni e lombrichi, e poi sembra non ricordare la tragedia di quando fu sradicato dal bosco e dai compagni vicini. “Non c’è mai neve abbastanza”, mi dice, quando nei giorni che fan da contorno al Natale ormai trascorso, ma ancora vivo, scivolo con la mia mano sul troco e ho braccia insufficienti e troppo piccole per contenerlo. E lo guardo mentre si scrolla di dosso la neve caduta ieri e rimasta sui rami. No, “non c’è mai neve abbastanza”, ripeto con lui, mentre già si incammina la sera, fra sbalzi di luce e di ombre, là sotto i rami sempreverdi. Fruscio d’erba e di ali, fragranze di nuvole, vento gelato e richiami lontani. Ricordo, mi diceva quando la neve cadeva: ”Non mi scacciare se questo è il paradiso, perché della neve che cade raccoglierò ogni fiocco, per i tuoi sogni poi ne farò colline, e tu ti fermerai sotto di me al riparo dal gorgoglio del vento”. E io, andavo a raccontare, tra le fronde in movimento, con le mie parole, silenzi e immagini distorte dalla luce dei lampioni lungo il cilindro d’asfalto più in là. No, adesso non c’è che dire di più, tutto già parla, tutto è divenuto semplice come una farfalla che danza sulle spighe di grano in estate. Così, mentre il tronco sembra avere mani per stringermi, nodoso e segnato dal picchiettare del tempo, piccole ferite ormai chiuse, nella corteccia più viva, io risento tra l’odore di resina familiari rumori, come il tonfo felpato della mia gatta che balza sul davanzale, o il passo lieve di mia madre sull’uscio che chiama. “Non c’è mai neve abbastanza”… va bene, lo so! Ma, mentre ripongo al suo giusto posto un addobbo che s’era staccato da un ramo, da sopra la punta ricurva, mi giunge un suono che par musica lenta, e certe volte mi pare che il cielo cammini con me. Una voce un po’ roca, un soffio di vento, poche parole dalle fronde mosse dal vento: “Son certo che quando l’inverno coi suoi chiaroscuri, segnati dagli spazi di nubi e di piogge, farà sbiadire immagini e colori, allora, sarà soltanto attesa o lento sopore, magari un sonno lieve, ma non troppo lungo… come il silenzio delle rondini, nell’incanto di un giorno che si spegne, insieme con l’eco delle mie parole in un pomeriggio, come questo, freddo ma pieno di sole". Giov@nni