Mondo Parallelo

MONDO CONSUMATO


Ci sono giorni in cui mi sento triste, solo con i miei mille pensieri. E non riesco a far nulla per liberarmi di quelle piccole vocine che mi rimbombano continuamente nella mente, e poi ogni canzone, che sfugge a una radio dalla porta accanto, accende in me piccoli indelebili ricordi. Prendo in mano il telefono pensando a chi chiamare e mi ritrovo a parlare con mia madre che non fa altro che accentuare ulteriormente il mio malumore con le sue opinioni dirette. Allora preso dalla frenesia, mi vesto in fretta ed esco. Vago per le strade tra la gente; in questi momenti non penso a dove vado, il posto è sempre quello: il mio studio, sono le gambe che mi ci portano senza che io le comandi, ormai conoscono la strada, ma oggi  la mia mente è intasata da tutt'altri pensieri. Mi sento invisibile o meglio gli altri lo sono, niente sembra esistere attorno a me, così non mi accorgo di nulla nemmeno degli sguardi e del salutare dei passanti; e non mi accorgo nemmeno delle lacrime che il vento freddo mi strappa e che piano piano nascono dai miei occhi per poi morire a bordo della sciarpa. Poche parole, come un ciao sussurrato, un “buona sera” con qualche gesto, un cenno del capo, ma tutto sembra pesare molto. Non mi preoccupo del  vento che sferza freddo il mio viso, non mi spaventa il pericolo di essere osservato, non mi importa nemmeno di non essere consolato perché non serve consolare quello che non esiste. Si rallentano i pensieri, quasi pronti ad arrestarsi. Vuoto è l'altare del mondo al mio arrivo, nulla trovo per me e in silenzio lascio che il mio corpo si fermi un istante alla ricerca di risposte che non verranno. Abbandonate le luci fastose, la sera, lì in fondo alla via, gli abiti della festa e le ricercatezze di una cena in allegria, mi accorgo che adesso essa non abita più qui: resta un po’ di buio negli occhi. Come un amaro boccone che non riesco ad ingoiare. L'estenuante fatica di ricominciare è tornata; sarà il vino che mi annebbia la mente, forse la stanchezza di un giorno infinito. È una forza irruenta, è incontenibile torpore, è il padre importante, quello che ti indica col dito puntato, è il suo bastone ed è l'incapacità mia più grande di obbedire a cui non so reagire. Il paesaggio non è bianco come neve sulle distese che s’aprono innanzi ai miei occhi, ma arida terra consumata come fosse brace. Vorrebbe solo riuscire a non sentirsi così, sola. Anche se sola lo è stata, sempre. Fino a che è arrivato quel sogno, un silenzio fatto di albe di color rosa con la sua presenza dolce e profonda, capace di riempirle quel vuoto d'anima che sentiva. Quel vuoto che nessuno coglieva in lei, solo quel vagare nella fantasia, che avendone la parte mancante, la sentiva, come un richiamo a distanza. Quella metà di lei, quella lontana, quella che con poco riusciva a riempirle il vuoto, il silenzio. Gli occhi da bambina non sorridono, bagnati ad oltranza da lacrime amare e solitarie, le labbra serrate in un muto richiamo, curvano tristi in quella smorfia passata. Gambe stanche non riescono a tenere il passo di quel suo cuore che batte, chiedono riposo, lo impongono rimanendo immobili e aspettando che gli occhi, sempre fissi a scrutare il loro orizzonte, riescano finalmente a vedere il suo passo, quello tanto atteso, quello che riporterà gioia negli occhi, calore nel cuore. Quello che rimetterà le parole in quella smorfia triste che è diventata il suo sorriso. Terra consumata, terra arida, rossa di fuoco come fosse brace. Terra ancora bambina. Notte fonda in questo scuro luogo interiore, in cui non trovo pace, adesso che guardo di fronte due vecchi chinati con le mani protese a chiedere uno spicciolo con cui mangiare. Nessun cammino che necessita di luna e stelle. Sonno profondo, rugiada che si posa sul viso mi porterà ad un risveglio quasi di fiaba, così indesiderabile alla luce d’un mondo consumato, da non essere nemmeno considerato.Giov@nni