Mondo Parallelo

LA NUVOLA BIANCA


            Le tende del balcone della mia camera si muovevano appena al soffio di brezza che veniva da est. Mi alzai per fermare le tende. Guardai fuori, e nel cielo blu della sera, schiere di nuvolette andavano qua e là portate dal soffio impetuoso dell’aria. Sembravano piccole mongolfiere tutte colorate e credetti di scorgere qualcosa di strano nella nuvola che mi sfilava davanti. In quella schiuma bianca, vidi riflessi il mio volto, i miei occhi, i miei capelli svolazzanti. La cosa mi impressionò molto. Rinchiusi la finestra e me ne andai a dormire. Non riuscivo ad addormentarmi però. Da dove proveniva quel richiamo? “Svegliati, vieni!” Mi misi a sedere sul letto, poi mi convinsi di avere sognato e tornai a dormire. Ma sul più bello, quella voce si fece udire di nuovo. Ancora una volta mi scossi, mi guardai attorno. Chi dunque m’aveva chiamato? Il cuore mi batteva forte. Pure, quella voce era reale. Aveva detto il mio nome! Istintivamente mi venne da pensare al volto che avevo intravisto in quella nuvola ed aprii la finestra. Rimasi deluso, non vedevo più nulla. I pensieri, improvvisamente liberi, presero la rincorsa come leprotti inseguiti dai cacciatori. Correvano, frugavano, esploravano ed io correvo dietro ognuno di loro. Non ero più una persona, ma tante, quanti erano i miei pensieri. Era come se da me fossero nate tante immagini uguali. Ad un certo punto, il pensiero dietro cui correvo svanì e mi ritrovai in una specie di palloncino, come quello che i ragazzini lasciano volare nei giorni di festa, non mi faceva paura il vuoto sotto di me. Altre nuvole mi tenevano compagnia. Mi sentivo come un bimbo tra le braccia della sua mamma. Voci cantavano, in un coro stupendo ma i cantori non si vedevano. In un giardino bellissimo, le nuvolette si aprirono e guizzarono fuori bimbi di ogni età, di ogni colore e si unirono ad altri mille che erano lì. Era, un asilo nido? Erano diversi l’uno dall’altro, ma avevano tutti qualcosa in comune che mi sfuggiva. Parlavano lingue diverse, eppure tutti si capivano. Ero rimasto un po’ in disparte ad osservare. Senza la mia nuvola mi sentivo a disagio. “Vuoi giocare con me?” Guardai incerta la bambina che mi si era avvicinata. Le sorrisi.: “Giocare con te? Non sono un bambino!”. “Ti sbagli! Siamo tutti bambini qui!”. Accondiscesi. “A che cosa giochiamo?”. “Ti piacciono le fiabe?”, “Credo di sì però… io non le so raccontare. Non me ne ricordo una.” “Sarò io a raccontartela; tanto per cominciare, te ne racconterò una molto bella. Potrebbe essere una storia vera!” La piccola cominciò a raccontare. Cosa strana era che, mentre lei raccontava, apparivano come su di uno schermo, immagini e luoghi che facevano parte della storia. Un giorno, arrivò Ester, da un paese lontano, diceva, oltre i monti, oltre il mare. Non aveva nulla con sé, solo la sua bellezza. Gli abitanti del paese, facevano a gara per ridarle il sorriso e la fiducia nell’avvenire, insieme a cibo, vestiti, affetto. Le ragazze erano invidiose di quella ragazza così bella dai capelli biondissimi. Intanto in paese molti giovani si erano innamorati di lei, Giorgio per esempio un giorno le chiese di sposarlo. Ma lei preferiva Franco, più bello e più ricco di lui. La bella forestiera, non sapeva chi scegliere, e decise di stare con l’uno e con l’altro. Incominciò a fare il doppio gioco, ma non si accorgeva di scherzare con il fuoco. Così, quando gli amici scoprirono la verità, vennero alle mani e uno di loro, gravemente ferito, morì. Per sfuggire agli insulti e alle minacce degli abitanti del paese, Ester fuggì attraverso la campagna, nascondendosi tra le spighe di grano non ancora maturo o tra i filari di girasoli che lì, crescono folti. Incominciò a girare di luogo in luogo in cerca di cibo e di lavoro. Era incinta, non aveva un mestiere, nessuno la voleva. Inoltre, nei dintorni, s’era diffusa la voce che lei portava disgrazie per la sua bellezza. Per non morire di fame aveva venduto i graziosi vestiti, i gioielli e tutto ciò che le era stato donato. Poi, qualcuno, le fece balenare l’idea che senza quel pancione, la vita sarebbe tornata a sorridere; le promisero che ne avrebbero fatto una stella, ma per realizzare ciò doveva liberarsi di quell’ingombro. Decise di farlo. In uno squallido ospedale il corpicino della bimba, sì, era una bambina, finì tra i rifiuti ma il soffio vitale no. Spaurito e triste si nascose in un angolo del cuore della mamma e volò via, in un sospiro mentre lei dormiva. ”E’ una storia triste, la tua le dissi. Perché hai voluto raccontarla proprio a me?”. “Ma non è finita!” Mi disse la vocina leggera come un petalo di rosa che sapeva di pianto. Riprese a raccontare dopo un attimo. “Mentre volava via, il piccolo soffio piangeva. Si sentiva smarrito in quel cielo immenso, senza la piccola culla di carne che gli avevano rubato. Un soffio di vento caldo la portò in questo bellissimo luogo che vedi”. Mi guardai intorno e vidi meravigliato un numero infinito di piccini che giocavano e danzavano in girotondo. E lei continuò: “La bimba però non aveva dimenticato la sua mamma che non le aveva voluto bene. Pensava a lei, ne sentiva la voce, qualche volta, anche il battito del cuore. In un angolo nascosto rimaneva a guardarla. E divenne il suo piccolo angelo che la proteggeva da ogni minaccia”. “Ma… Allora…!”. “Così la mamma cominciò a lavorare, e qualcuno si innamorò di lei ancora una volta: era un uomo maturo, gentile e buono. La prese con sé, la sposò e insieme andarono a vivere nel paese di lui. Ancora una volta la mamma rimase incinta. Ma, questa volta c’era lui che la proteggeva ed era felice di diventare padre. Nacque una  piccina molto graziosa, che crebbe, ed è diventata una ragazza gentile e felice”. Io la guardai con attenzione. In miniatura, quella bimba aveva i miei stessi lineamenti e i miei occhi, la mia stessa maniera di muovermi, quasi mi avesse studiato a lungo come un mimo. “Come ti chiami?”, le domandai infine, mentre il cuore mi batteva forte. “Non mi hai detto ancora il tuo nome.” “Il mio nome è Lisa, la mamma ha dato a tua sorella il nome che non ha potuto dare a me. “Allora tu sei…” “La tua prima sorellina. Da qui io posso vedervi e partecipare ai momenti belli o tristi della vostra vita. Per me, è una gioia sapere che la mamma non è rimasta sola e che nei suoi pensieri ci sono anch’io. E so anche che tu la vai a trovare spesso”. Piangevo di commozione, avrei voluto abbracciarla, chiederle tante cose. Mi sarebbe piaciuto rimanere ancora con lei, ma la nuvoletta bianca mi riprese e in volo, mi riportò a casa, dove ritrovai tutti i miei pensieri.Giov@nni