Mondo Parallelo

LE RADICI DELL'ANIMA


Mara si affacciò alla finestra stiracchiandosi a lungo. Io ero nella stanza accanto dell’ostello che ci ospitava: un gruppo di amici in un viaggio che da Istanbul ci aveva portati a Venezia a pochi chilometri dalla mia città. Aprile appena iniziato, era una giornata nuvolosa e incerta, minacciata dalla pioggia e dal vento forte, come se anche la natura volesse ricordare il giorno in cui il papà di Mara se n’era andato, qui a Venezia. Erano passati tanti anni ma il suo sguardo caldo e premuroso non se lo poteva dimenticare. Era l’unico sguardo dove si era sentita veramente al sicuro. Le rimase impresso, mi raccontava spesso, lì, nella parte più nascosta dell’anima, anima di bambina, anima che allora si rifiutò di crescere per non dimenticare che una volta, qualcuno l’aveva amata veramente. Erano passati tanti anni ma tutto era rimasto intatto nella memoria, come il giorno che dovette lasciare Istanbul per lavoro e recarsi a Venezia e da lì a Padova e poi di nuovo a Venezia. Voleva assolutamente portare un fiore su quella tomba sepolta dalle erbacce dei tempi e polveri di memorie a brandelli. Il sentiero tortuoso del suo vivere aveva allontanato ogni cosa a lei cara: l’amore, la terra, gli affetti e anche quest’ultimo legame dei numeri primi, una tomba su cui piangere. Di colpo risentì quel dolore acuto levargli il fiato, un dolore dell’anima imprigionata. In un attimo si rese conto di quante cose le aveva tolto la vita. Non l’avevano mai voluta, né amata, non aveva una terra, una famiglia, non era diventata la donna che da piccola sognava di diventare, e persino la gioia del ritorno a “casa” le era stata tolta. Era una estranea per la sua terra ed una straniera per chi l’aveva accolta. Non aveva né radici, né rami, né boccioli. “Si dice che non c’è futuro senza un passato, ma non ci sarà alcun futuro se continuerò a guardare solo il passato”… pensò. Una soave melodia, arrivava da oltre l’orizzonte, da oltre il mare, come se fossero le note di un valzer lento. Allungò le mani, come per fare un ponte tra lei e il mare; io ero lì che guardavo da lontano, seduto su un muretto che osservavo quella figura che si muoveva stranamente come volesse abbracciare il mondo. Sentiva il suo lamento, diceva, il lamento del mare, instancabile e infinito. Il cielo che lo accarezzava della luce del giorno per domare la tristezza che le si leggeva negli occhi. Di notte lo abbracciava muta come non volesse disturbare il sospiro delle sue onde. In fondo, anche il cielo, e me ne accorgevo guardando lei, si rispecchiava nel fruscio incomprensibile del mare e lei me lo faceva capire con gli occhi, nel canto nascosto di ogni onda che si frange sugli scogli, in ogni inutile approdo sulla spiaggia. Ma lui, il mare, amava anche gli scogli, gli stessi che una volta, inermi, lo fermano nel suo instancabile ritorno. Sono come un muro che lo infrange, lo spezza, tronca ogni suo lamento, lo piega, lo nega, rinnega, per poi fermare il suo canto. Il mare si avvinghia e combatte, urla ogni volta con un grido di assalto in battaglia, piange e si ritira andando su e giù in balia dei venti. Mara si raccontava al mare, quella sera, e a me che stavo a sentire sbigottito le sue parole, ed il mare l’accompagnava con le sue onde sui turbolenti pensieri che provavano a rincorrersi ancora, e ancora. Lei sussurrò triste, come parlasse a me, ma poi capii che era rivolta al mare la sua parola: ”Sei come me… ”. Ricordo, eravamo seduti al bar insieme ad altri amici, in piazza San Marco. Si era fatto tardi e il cameriere si fermò davanti al nostro tavolino. Di colpo si attardò a guardare Mara e le chiese: “Ma lei chi è? Non l’ho mai vista da queste parti”. Silenzio intorno, io facevo finta di niente, tante volte ero stato ospite di quel bar, ma non dissi nulla. Mara si alzò voltandosi lentamente. Poi allontanandosi, rispose piano: “Non so”. “Non so… Non sono mai solo una lacrima e un sorriso”. Guardando il cielo salutò col pensiero la sua città, il papà, e il mare, lui, l’unico che ogni volta che si allontanava l’avvolgeva di un richiamo immutabile. “La tua casa sarà sempre qui, lungo le mie rive, tu lo sai… Tornami a trovare ogni volta che vorrai, e io ti riscalderò avvolgendoti l’anima in un abbraccio come nessuno dei tuoi amici umani ti saprà mai dare.” Di colpo ci accorgemmo che pioveva forte. Era quasi buio, un buio freddo sceso sulla giornata plumbea, e stranamente quella pioggia non infondeva più la tristezza che avrebbe dovuto nel cuore della ragazza. Sorpresa guardò tutto il grigiore intorno e poi tra le lacrime lanciò il suo grido: “Oggi, in fondo, dopo tutto, risento il sussulto delle mie antiche radici e sono di nuovo a “casa”. Oggi sono decisamente sorriso…” . "Sì, oggi sono solo... sorriso!".Giov@nni