Mondo Parallelo

NOTTE DI SE


Stanotte uno splendido plenilunio, senza incertezze, bagnava delle nuvole la loro rigidità immobile, insieme all’estremo monito d’una cancellata made in China che mi lanciava sguardi teneri. Io povero recluso… dietro una cancellata. Io, a un passo, facevo finta di niente. Stavo intrattenendo un vaso che ruggiva fiori. Verso il vuoto. In grande complicità, fatale, una finestra teneva aperto un panorama tanto impossibile da non far dubitare della sua inclinazione alla trascendenza. Lontano da pregiudizi, quel vaso, così sfacciatamente in rosso, mi era parso un vaso per bene. Sedeva, composto, a un centro tavola. Il verde lo imbellettava con equilibrio. Un po’ pavone, traduceva, con successo, tenorili acuti in fiori esuberanti. Per fare di sé una crepitante essenza pregna di dialettica. Senza il minimo preavviso, si spense. Non aveva altro da dire. O non voleva dire altro. Imponente, con le ali aperte, il cancello mi balzò incontro l’uscita. Non la tirò in lungo. In una sproporzione di sgargiante giallo, all’istante, la occupò tutta senza alcun ritegno insistente verso di me. Onestamente mi sfuggiva il nesso con il già conosciuto o con il conoscibile a condizione di frequentare gli ambienti adatti, mi dicevo. Affatto sicuro, poi, che l’orfica rappresentazione intendesse sollevarmi, mio malgrado e con grande insistenza, dai più vigorosi dubbi esistenziali. Magari si trattava, in tutta semplicità, di un succinto saggio di quanto ci si possa divertire a raccontare balle. Pure nottetempo. Un vero rompicapo. D’altra parte si ragiona poco bene senza uno straccio di luce né audio, incalzati dalla dissolvenza. E ci si trascina dietro domande mostruose. ”Può la conoscenza essere frutto del buio? Culturalmente come ci si deve comportare in caso di insonnia? E gli incubi?”. Procedendo così, il gran daffare di zelanti dissertazioni, in veloce scorrimento, mi rovinò il sonno. Tra evanescenti e verbosi dettagli, tuttavia, mi pervennero alcuni dati significativi, dalla luna che mi stava guardando sorniona, e curiosa. Vediamo… principio primo… calcoli… riposi settimanali… Ah! ecco… nei primi dieci fatali minuti, sfuggì la seguente imperdonabile equazione:” La percezione della realtà è maggiore o qualche volta eguale, alla realtà stessa!”. Corollario: “Intellettualmente è probabile impantanarsi nella dilaniante, quanto inutile, consultazione di macchie d’inchiostro”. Dopo aver raggiunto una certa familiarità mentale con lo scontento, mi fu possibile la cognizione dell’errata corrige: “Sogni infiniti sono uguali a… meglio di niente! Nelle notti favorevoli però!”. Detto per inciso, i due passaggi si leggono anche come interminabile serie di puntini seguiti da eccetera, eccetera. In tutta franchezza, riesaminando l’intera faccenda, sarebbe stato opportuno inserire un meccanismo di un minimo di precisione. Cavolo! Nessuna garanzia che venga a galla un qualcosa con cui interpretare, senza equivoci, ad esempio, le istruzioni degli elettrodomestici. Se non altro per evitare che, alla ventesima saltellante rilettura, si sbattano fogli per terra. Sì, quando il sonno stenta a venire, e i pensieri turbinano disordinati, è un vero strazio. Stanotte, poi, uomini in tuba e frac mi attendevano. Li vedevo bene. Tutti uguali. I volti, all’ombra delle tese, una carnosità spalmata senza segni che facessero almeno intuire “l’unicità dell’essere”. In quel nulla, s’imponeva, gravida e informe una grossa inflorescenza. No, era la mia ombra proiettata sulla parete, enorme, io in chiaroscuro. Fu inevitabile, precipitai in mezzo a quegli ometti. Sentivo nella voglia di chiudere gli occhi al sonno, un vuoto di suoni in un silenzio che la terra dilatava con il suo categorico rispetto. Un qualcosa di niente… flash. La luna era ancora più grande, riempiva tutta la stanza e a poco a poco mi addormentai tra le sue braccia. Sorridevo al pensiero che il mattino, geloso, mi trovasse nel mio letto ancora abbracciato a lei! Giov@nni