Mondo Parallelo

VENTO DEL NORD


Il vento del nord se n’è andato, così, all’mprovviso com’era venuto, lasciando nell’aria un profumo di cose lasciate al passato, come un amaro ricordo che non si è mai allontanato. Riprendo la strada di prima tra il fragore di un tuono lontano; qualche goccia mi trafigge la mano, tesa a raccogliela, per sentirne il fresco rotolare sul palmo fino a cadere. Bandiere al vento dai variopinti colori, nazioni dipinte in uno stendardo che libero si staglia nel cielo divenuto sereno. Mi siedo in una seggiola in vimini di un caffè vicino al muretto che divide il cielo dal mare, sulla riva del porticciolo nascosto in una cala tranquilla. Abbassate le vele del trimarano, adesso lo vedo ondeggiare nella risacca con un monotono andirivieni, aspettando  che il vento più forte riprenda a soffiare, e come un guscio di noce poi perdersi in mare. Le mani d’un bimbo, ricordo, ero piccino, han tolto il gheriglio e, plasmata della mollica di pane, hanno riempito la nicchia e infilata su un piccolo stelo, una vela di carta a triangolo acuto, bianca, come bianche eran le nuvole davanti ai miei occhi. Poi, lasciata la piccola vela tra le braccia della corrente, un flutto più  grande degli altri quel piccolo guscio fece affondare: la vela bagnata inzuppata di sale s’era staccata e galleggiava un attimo ancora fino a sparire nel mare. Io che cerco, io, che aspetto, adesso, nello stesso posto di ieri, di ricordare quello che ieri avevo scordato, io che non trovo, perché coperto dai rami, un sentiero nascosto che finiva di sopra una duna con in cima una palma di cocco. Un guscio di noce coperto di sabbia, non ha mollica e manca la vela, non può  galleggiare perché ha uno squarcio profondo, non c’è vicino lo stelo a sorregger una randa fatta a triangolo,  e poi questo  silenzio che cola dal cielo più azzurro, mi prende e mi avvolge come fosse un amico lontano. E, adesso mi stringe la mano, gli occhi fissi a guardare più  a fondo nel cuore a cercare un pizzico di rosso colore: lo stesso del sole che mi brucia la pelle, lo stesso che adesso mi trovo nel petto, nascosto da un guizzo di un indistinto bagliore, nel vento disperso. E  piano mi perdo nel giallo arancione del giorno che si tuffa nel mare per riposare e lasciare posto alla notte, con le stelle rubate agli abissi, appese come lanterne; là dove il manto diventa più fitto con la luna che aspetta e sorride nell’andirivieni della risacca vicina, piano, come il vociare di una bimba ancora piccina, che corre nel vento e io la sento che grida di gioia, e poi a salutare con una mano alzata al confine del cielo, felice, si china.Giov@nni